Tornando dal cinema mi chiedevo dove avessi già visto un “uomo lupo” di tali fattezze. E dopo un po’ mi è tornato in mente:
Le uniche differenze che noto tra le due interpretazioni del licantropo dipendono dai 25 anni di differenza (che in quanto ad esperienza dei truccatori non sono pochi) e dalla caratterizzazione del film: commedia il primo, horror il secondo.
Oltre a questo e a qualche sussulto in sala, dovuto più agli improvvisi e sapienti salti di volume che ad una sana e reale suspense, non mi è rimasto altro della pellicola. Wolfman è una rivisitazione dell’omonimo film (The Wolf Man) del 1941, con cui Curt Siodmak, prendendo spunto dal folclore e dalla mitologia, crea il mito cinematografico dell’uomo lupo. Un cast di attori di qualità come Benicio Del Toro, Anthony Hopkins, Emily Blunt e Hugo Weaving, non basta per dare corpo e sostanza a questo B-Movie gotico, che non va più in là di una storia che sa di già visto e di qualche effetto speciale al limite dello splatter.
Forse proprio basandosi sulla estrema riconoscibilità della storia e dei suoi simbologismi, il regista si affida ad una sceneggiatura con vistosi buchi, dove si passa in pochi minuti da una cittadinanza assolutamente incredula ad una che parla sapientemente di lupi mannari e pallottole d’argento. Senza che vi sia nel mezzo neanche un briciolo di trama, di mitologia o di semplice spiegazione.
Tutto sommato è un film guardabile per trascorrere un paio d’ore, ma se cercate un po’ di spessore nei personaggi e nella trama rimarrete delusi. Tra un salto dalla poltrona all’altro, ho quasi rischiato di prendere sonno. Però la fotografia… beh, quella non poteva essere migliore. Cupa, gotica, tenebrosa. Ogni fotogramma del film trasuda di una minacciosa incombenza. È senza dubbio la parte migliore del film.