Perché conviene sempre scattare in RAW

Dopo alcune recensioni di macchine fotografiche e qualche leggero articolo di approfondimento, mi sono reso conto di non essermi mai soffermato a spiegare perché è sempre meglio scattare in RAW. Per chi abbia dimestichezza con la fotografia tradizionale il valore dei file grezzi può essere facilmente compreso se li si equipara ai negativi analogici. Sviluppando un rullino insieme alle foto ci vengono consegnate delle “strisce” contenenti le esposizioni. Tenendole da parte si può ottenere una nuova stampa, o anche un ingrandimento, senza perdita di qualità. E senza il negativo? L’unica possibilità che rimane è quella di una scansione e successiva stampa, causando non solo un naturale deterioramento dell’immagine nei vari passaggi, ma anche l’impossibilità di ottenere una foto più grande senza perdita di risoluzione.

Al posto della pellicola nelle digitali abbiamo il sensore. I dati che esso cattura sono sempre di tipo analogico (provenendo dal mondo “reale” e più precisamente dalla luce) ma poi devono essere memorizzati sotto forma di bit. Una prima “traduzione” viene effettuata in camera, miscelando tutte le informazioni catturate nelle tre componenti cromatiche primarie della sintesi additiva (rosso, verde, blu). Se si sceglie di salvare in JPG (o TIFF) avviene anche un successivo passaggio in cui i dati vengono “fissati” scartandone numerosi e scegliendo solo quelli utili ad ottenere l’immagine secondo l’algoritmo della camera e sulla base dei parametri di nititezza, bilanciamento del bianco, saturazione, etc.. definiti dall’utente. Con il JPG in particolare avviene poi un immediato ed ulteriore deterioramento dovuto alla compressione di tipo lossy che caratterizza tale formato. Ed ecco dunque il nostro file d’immagine da pochi megabyte.

Quando invece si scatta scegliendo di memorizzare i file grezzi (RAW) tutto il processo descritto non avviene e ci si ferma subito dopo la conversione analogico-digitale. In quel punto preciso la camera memorizza tutti i dati che il sensore ha catturato e ne salva i bit in un file, che sarà ovviamente molto più pesante del JPG. A questo punto però questa non è ancora un’immagine, anche se nel display ne vediamo una preview, e prima di essere vista correttamente va sviluppata in quella che viene definita “camera chiara”. Di norma ogni produttore fornisce il proprio viewer/convertitore ma tra i più potenti ci sono sicuramente Adobe Camera RAW, fornito con LightRoom e Photoshop, ed Apple Aperture (62,99€).

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Con questi strumenti, dopo aver aperto un file RAW, si possono cambiare tantissimi parametri senza mai andare a modificare veramente l’immagine. In pratica è un po’ quello che si faceva in passato dosando sapientemente tempi ed acidi nel buio di una camera scura delicatamente illuminati dalla purpurea luce inattinica. E le correzioni possono essere 10, 100, 1000 senza che mai i dati originali subiscano reali modifiche, esportando poi il risultato in JPG, TIFF o quel che si preferisce. Non ci sono aspetti negativi nel cambiare immediatamente le proprie abitudini ed iniziare ad usare solo file grezzi se non quello della loro maggiore occupazione, che satura più velocemente le memorie delle macchine fotografiche.

lightroom

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

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