A volte a causa della paura di essere continuamente spiati contro la propria volontà e dell’esistenza di un grande fratello che possa sapere tutto di noi si rischia di fare il passo più lungo della gamba e di ritrovarsi a perdere una causa contro Apple.
È il caso di alcuni utenti iPhone che avevano citato in giudizio l’azienda temendo di essere spiati anche quando avessero disabilitato la geolocalizzazione. Secondo il giudice Koh (la stessa che si è pronunciata già due volte a favore di Apple nei due processi promossi da Samsung), “gli attori devono dimostrare che effettivamente la propria privacy sia violata dalla convenuta e non devono semplicemente assumerlo in citazione”. In parole povere, non si può addurre di essere spiati senza avere uno straccio di prova in merito, né si può sperare che per una domanda così generica si possano disporre perizie di ufficio.
Questo è stato uno dei primi processi promossi che ha visto Apple accusata di violazione della privacy degli utenti e, in seguito ad esso, sono nati altri 19 processi collegati che, a questo punto, rischiano di avere un epilogo abbastanza prevedibile.
Una gran bella vittoria da parte di Apple contro chi, spesso, si nasconde dietro citazioni fumose per ottenere una qualche forma di risarcimento o, peggio, un po’ di pubblicità.