Il Mac App Store continua a perdere pezzi e l’App Store è un forte freno per iPad Pro

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MacAppStore

Possiamo senza dubbio considerare l’arrivo dell’App Store su iOS nel 2008 come una delle principali ragioni del successo dell’iPhone. Forse la più importante. Allo stesso modo il Play Store di Google e il Windows Store di Microsoft sono diventati il punto di riferimento indiscusso nelle loro rispettive piattaforme mobile. L’ultimo ad arrivare in casa Apple è lo store per tvOS, il nuovo sistema operativo che muove la Apple TV 4G. La cosa che caratterizza tutti questi “negozi di software” con una ricetta apparentemente vincente è che sono arrivati in piattaforme dove gli utenti hanno imparato a scaricare app solo attraverso di loro. Su desktop, invece, il Mac App Store è solo un sistema parallelo, che per giunta nasce con diverse limitazioni implicite. Nel 2010, poco prima che fosse realmente disponibile, ho scritto un articolo di cui vi riporto alcuni passaggi:

Sul piano personale conservo un approccio di rigetto verso lo store di applicazioni per il Mac. Su iPhone la ricetta ha funzionato alla perfezione sul piano commerciale ed economico [..] ma non è minimamente accettabile e proponibile nel mondo dei computer. [..] Apple dice che nello store non saranno accettate beta, demo, trial o applicazioni di test. [..] se sugli iDevice si è creato qualcosa da zero, su Mac esiste già un ecosistema florido di piccoli/grandi software che è poi parte integrante del successo di Apple. Pensate che per regola non esisteranno forme di upgrade (come su iOS). Già questo è sufficiente a capire che i professionisti e le aziende non potranno essere incanalati in questo store che, come è già confermato, sarà solo un di più.

A distanza di cinque anni abbiamo imparato ad apprezzare il Mac App Store per alcune cose, in particolare per la semplicità di installazione da una sola fonte delle proprie app su tutti i computer in uso, ma i miei dubbi rimangono tali. Anzi, direi che gli eventi successivi li hanno tramutati in realtà consolidate. Abbiamo visto che i grandi i player non si sono proprio affacciati in questo negozio o lo hanno fatto solo con app limitate (vedi le versioni Elements di Adobe) e dal canto suo Apple è risultata essere sorda alle richieste di apertura degli sviluppatori. Tutti i problemi che c’erano già nella prima versione sono rimasti tali e sono state aggiunte anche ulteriori limitazioni come la Sandbox a partire da Lion. Nella lista delle cose negative va anche aggiunto il fatto che il Mac App Store continua ad essere molto lento da navigare, con una ricerca poco utile e con diversi bug in fase di download ed aggiornamento. Ad esempio quando si clicca per scaricare non si capisce bene cosa succede e spesso rimane il pulsante attivo che gli utenti continuano a premere, finché non si capisce dalla barra di progressione sotto il Launchpad che c’è un download in corso. In più Apple ci ha creato qualche difficoltà facendo scadere un certificato e nei giorni scorsi molti utenti si sono trovati nell’impossibilità di avviare le proprie app. Tutte queste cose hanno lentamente portato anche gli sviluppatori che erano entrati nel Mac App Store ad allontanarsi, con una lunga lista di defezioni che continua a crescere. L’ultima in ordine temporale è Sketch, che sta avvisando gli acquirenti con un popup in cui invita ad inserire la propria email per ottenere una licenza tradizionale.

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Ma i nomi di quelli che non sono entrati nello store di Apple sul Mac o che sono andati via in un secondo momento sono tantissimi, alcuni dei quali citati anche nelle pagine di SaggiaMente. L’ultima volta che ho configurato un Mac da zero mi sono accorto che sono solo una decina i software che scarico da lì, mentre la maggior parte seguono ancora (o di nuovo) il percorso tradizionale. Il Mac App Store mantiene certamente una una sua utilità, specie per i novizi, ma Apple non è riuscita a capitalizzarne il potenziale, dimostrandosi incapace di farlo evolvere nella giusta direzione. Il suo tradizionale approccio di imposizione di un cambiamento non ha funzionato in questo caso e le premesse per capirlo anzitempo c’erano tutte (vedi mie citazioni risalenti al 2010).

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Su iOS, invece, l’App Store rimane l’unico canale da cui scaricare software legalmente, per cui la situazione è naturalmente più florida. Gli sviluppatori si sono dovuti inventare una serie di escamotage per aggirare alcune limitazioni nella distribuzione, ma anche in questo caso le lamentele non mancano. In particolare i problemi potrebbero essere determinanti, in senso negativo, per l’evoluzione del parco app su iPad Pro. Questo nuovo tablet si propone di fare qualcosa di più degli altri, ma in realtà si distingue quasi esclusivamente per la presenza della Apple Pencil. Per realizzare software di calibro professionale servono ingenti investimenti e gli sviluppatori sentono la mancanza delle versioni trial, utili per far provare tutte le funzionalità ma per un periodo limitato, oppure della possibilità di offrire degli aggiornamenti a prezzi scontati. Con le attuali regole le uniche possibilità sono quelle di proporre gli acquisiti in-app (dove però l’utente non può testare l’esperienza d’uso completa prima dell’acquisto) e di creare nuove versioni per gli aggiornamenti rilevanti, senza però poter riservare delle scontistiche ai possessori delle precedenti. Sono cose che scontentano tutti, anche gli utenti. Alcuni grandi player stanno risolvendo creando degli account con abbonamenti a tempo, ma sono pochi quelli che possono “permettersi” un approccio simile, mentre i piccoli sviluppatori difficilmente riusciranno ad imporre un canone. È emblematico il caso si uMake, ottima app che, per bilanciare i costi di sviluppo e rientrare nelle regole di Apple, viene proposta a $19.99/mese e che proprio questa ragione fatica a prendere piede. Tutte queste considerazioni, unite alla chiusura intrinseca della piattaforma, non fanno che sollevare dubbi circa il futuro dell’App Store, proprio ora che Apple sta alzando il tiro con l’iPad Pro. Non ho intenzione di lanciarmi in previsioni, ma è certo che le premesse per assistere ad una rapida esplosione della piattaforma vacillano. Sarebbe proprio il caso che a Cupertino iniziassero a snellire le limitazioni dei loro store.

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

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