“Vuoi passare il resto della tua vita a vendere acqua zuccherata o vuoi avere una chance per cambiare il mondo?”

È con queste parole che Steve Jobs, dopo un lungo corteggiamento, è riuscito a conquistare la fiducia di John Sculley (al tempo CEO di Pepsi).

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Jobs è un personaggio carismatico. Non credo che esista al mondo un’altra persona capace di creare quello che Burrel Smith chiamò “reality distortion field”, il “campo di distorsione della realtà” per cui il CEO di Apple è tanto famoso. Che il termine sia usato con accezione positiva o negativa poco importa: se Steve parla tutti lo stanno ad ascoltare, come ipnotizzati da un bravo illusionista.

Ma Jobs non è soltanto magnetismo. Ha l’abilità di vedere in pochi attimi le qualità di un prodotto e di saperne riconoscere i difetti. Si racconta che liquidò uno dei primi prototipi dell’iPad con la frase “Tornate a lavorarci su, questo [iPad, ndr.] è buono solo per andare su internet mentre sei al bagno”. Sappiamo tutti la qualità della prima versione del tablet creato da Apple, quindi Jobs ci aveva visto giusto anche quella volta.

Intanto, l’azienda di Cupertino sforna successi su successi. L’iPod ha conquistato una percentuale di mercato vicina al 70%, l’iPhone è uno dei più grandi status symbol del decennio, l’iPad ha completamente rivoluzionato l’approccio ai computer nel salotto e in mobilità, i Mac vendono come mai prima d’ora. Il tutto coronato da una crescita esponenziale del titolo AAPL nel mercato azionario, passato da un valore di un centinaio di dollari a più di trecento cinquanta in meno di due anni.

Il futuro per l’azienda creata nel 1976 da Steve Jobs e Wozniak è più roseo di quanto si possa immaginare. C’è un gruppo di persone però che non la pensa così, il quale crede che una dipartita del CEO possa mandare in fumo questi risultati. Ma è la realtà? C’è futuro per Apple nel momento in cui Jobs si ritirerà o lascerà questo mondo? Io credo di sì, e non sono l’unico.

Oltre a creare prodotti straordinari, uno degli obiettivi di Jobs negli ultimi anni — o meglio, nell’ultimo decennio — è stato riuscire a “inculcare” nella mente dei dipendenti la sua visione. È da una decade che sta continuamente plasmando la sua azienda a sua immagine e somiglianza, in modo che una sua dipartita non possa intaccarne le qualità.

Un recente articolo scritto da Adam Lashinsky sulla rivista Fortune rivela — tra gli altri — un dettaglio importante della società. Nel 2008 Steve Jobs assunse Joel Podolny, rettore della Yale School of Management col fine di creare una Apple University. A suo tempo poco si sapeva quale fosse l’obiettivo di questa “scuola”, ma Lashinsky è sicuro che si tratti di una vera e propria università atta a formare una scuola di pensiero “Jobsiana”. La parte più interessante è che tutti gli aspetti societari sono presi in considerazione, con l’attenzione soprattutto rivolta verso le grandi decisioni che Apple ha dovuto affrontare in passato. In questo modo viene codificato in forma scritta l’essenza dell’azienda di Cupertino, così da renderla sempre più indipendente dal suo fondatore.

Inoltre, due eventi nel passato di Jobs sono stati determinanti e credo che lo abbiano allo stesso tempo impaurito e messo fiducia: il quasi-fallimento raggiunto da Apple dopo che fu licenziato e i successi di Pixar.

La crisi nera degli anni novanta ha sicuramente marchiato a fuoco Jobs, con quest’ultimo che ha dovuto osservare da lontano la lenta rovina della sua creatura senza poter fare qualcosa a riguardo. Egli ha più volte ripetuto in passato come questo evento gli abbia fatto riconsiderare la sua strategia e di come abbia deciso di modificarla per includere un processo di formazione dei dipendenti.

Il secondo fattore da tenere in considerazione è la Pixar: l’azienda acquistata da Jobs negli anni ’80 e successivamente rivoluzionata. Fin dal primo grande successo “Toy Story” continua a produrre blockbuster su blockbuster ogni anno, nonostante Jobs non vi sia più strettamente coinvolto.

L’attuale livello di segretezza di Apple non permette di formulare ipotesi troppo affidabili sul suo futuro, ma col tempo è trapelato un numero sufficiente di indizi tali da portare a credere che questa azienda possa *resistere* ad un addio — più o meno forzato — del suo creatore e più importante elemento. Quindi mi sento abbastanza sicuro nel rispondere alla domanda posta nel titolo di questo articolo: “Sì, per Apple un futuro senza Jobs è possibile, e ne abbiamo le prove”.

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