Il 1° aprile sta per giungere al termine, insieme al suo carico di scherzi di cui non abbiamo volutamente parlato, anche perché ne sono stati fatti talmente tanti che non sapremmo da quale iniziare (da Google Olezzo al microonde di Nokia, passando per gli eco-alberi di Samsung e la linea Animalia di Sony). La riflessione che facciamo stasera è però seria. Il prossimo evento Facebook si avvicina, e a quanto pare arriveranno davvero sia una “nuova casa” su Android che uno smartphone firmato HTC appositamente ideato, conferme che arrivano da un’immagine di sistema del misterioso terminale ottenuta in esclusiva da Android Police.

facebookhome

L’HTC Myst, questo il suo nome in codice, dovrebbe avere uno schermo da 4,3″ a risoluzione 1280×720, insieme a doppia fotocamera con 5 Megapixel per la posteriore e 1,6 per quella frontale. Il processore risulterebbe essere un dual-core Qualcomm Snapdragon S4, accompagnato da 1 GB di RAM. Non mancherebbero Wi-Fi 802.11n e Bluetooth 4.0. Sul lato software sono presenti Android 4.1.2 e l’interfaccia proprietaria Sense 4.5. Altre informazioni non sono per ora disponibili, ma i dati già trapelati sembrano indicare un onesto prodotto Android di fascia media, tra i 299 e i 399 € ipotizziamo salvo grandi sorprese.

Le personalizzazioni di Facebook dove si inserirebbero? Nelle indagini di Android Police il tutto sembrerebbe girare attorno a una versione potenziata dell’app già esistente, comprensiva della capacità di ampliare, se non sostituire del tutto, le funzionalità della schermata home presente, rendendo più profonda l’integrazione col social network di Zuckerberg. Il resto dell’ambiente grafico non sembrerebbe essere invece soggetto a variazioni, aspetto che le permetterebbe di coabitare non solo con la Sense, ma anche con altre interfacce come quella stock dei Nexus e la TouchWiz di Samsung. I riferimenti trovati nel codice fanno appunto pensare a una disponibilità decisamente più ampia rispetto a quella offerta da un singolo terminale; Facebook Home potrebbe quindi proporsi direttamente su Google Play come app a sé stante, affiancando quella più classica per chi preferisce una presenza più discreta.

È bene tenere a mente che le scoperte di Android Police sono state fatte all’interno del codice contenuto nella ROM ottenuta, senza possibilità di provarla fisicamente su uno smartphone in quanto l’accesso è ristretto ai soli dipendenti Facebook. Ciò significa, quindi, che quanto visto sia solamente la punta dell’iceberg di un progetto ben più grande. E anche se all’inizio fosse semplicemente una schermata home a tutto social, viene difficile pensare che nel lungo termine il buon Mark si accontenti di un “soggiorno” su Android relativamente poco invasivo. Poche volte mi sento d’accordo con Mike Elgan del circuito Cult Of Media, ma nella sua più recente analisi sembra aver trovato la chiave di tutta la strategia: combattere Google utilizzando una sua stessa creatura.

Perché proprio Android? Perché non tentare qualcosa di più ambizioso, come stanno facendo Mozilla e Ubuntu? I vantaggi sono molteplici. Il lavoro su un sistema operativo di sana pianta è dispendioso in termini di risorse, denaro e soprattutto tempo. Oltre all’interfaccia e a un ecosistema di base come lo store di applicazioni, va predisposta l’impalcatura tecnica con API specifiche, kernel e supporto hardware. Quando si ha la maggior parte del lavoro già pronta e soprattutto Open Source, invece, è possibile concentrarsi solo sulla parte più superficiale, lasciando tutte le fatiche dietro le quinte agli ingegneri di Google e limitandosi alla fine a una semplice ottimizzazione in modo da rendere l’esperienza d’uso più fluida e su misura. Meno sviluppatori da dedicare al progetto, meno soldi da spendere e rilascio decisamente più rapido.

È la strada che sta percorrendo Facebook, ma è anche ciò che ancor prima ha fatto Amazon. Nel mio Kindle Fire HD, la presenza di prodotti e servizi fatti in Mountain View è quasi nulla: c’è un’interfaccia espressamente pensata per la fruizione dei contenuti Amazon, lo store proprietario App Shop, ci sono negozi digitali di musica e film, Cloud Drive come spazio di archiviazione, il browser Silk e applicazioni completamente differenti per posta elettronica, calendario e foto. Il motore di ricerca predefinito è inoltre Bing di Microsoft, ad aggiungere un’ulteriore punto di distacco. Eppure, sotto questa coltre grafica si tratta sempre di Android. Prova ne è stata, ad esempio, l’installazione di Dropbox: non disponibile sull’App Shop, ho inserito l’app nel dispositivo tramite il suo APK. Nell’uso, funziona allo stesso modo in cui funzionerebbe su un Nexus 7 o su un Galaxy Tab, ad eccezione della necessità di tenerla manualmente aggiornata in quanto non posso disporre del Play Store per farlo (a meno di non ricorrere al rooting, ma dato che il principale utente del Kindle non sono io preferisco evitare).

Se non puoi batterli, unisciti a loro. Un vecchio dato che vale oggi più che mai. Addomesticare l’androide alle proprie esigenze commerciali in modo da arrecare danno e beffa a Big G. Danno perché Amazon e Facebook allontanano i propri utenti dai servizi Google. Beffa perché l’assist per farlo arriva proprio da quest’ultima. Del resto, quando non viene posta alcuna limitazione nell’uso, è una conseguenza di cui bisogna tener conto. C’è da chiedersi, quindi, per quanto durerà ancora questa situazione. Probabilmente, per il tempo in cui le versioni “alternative” inizieranno a creare seri grattacapi, l’accesso completamente libero sarà già da considerarsi un ricordo.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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