Vi dedichereste ad un hobby dove uno strumento elettronico permette di interpretare la luce sotto forma di informazioni binarie che devono essere necessariamente tradotte dalla macchina stessa o da uno specifico software per la successiva visione sotto forma di immagini digitali? Se la risposta è si, e pensate che sia la fotografia, è meglio fermarsi un attimo a riflettere. Se la risposta è no ma siete comunque fotografi (amatoriali, professionisti o prosumer) forse avete una concezione più romantica della fotografia. Probabilmente conoscerete il concetto fisico dietro la diffrazione. I concetti di ottica, così come le spiegazioni fisiche e matematiche, attirano molte persone, compreso me, ma portate all’estremo rischiano di mostrare un lato troppo sterile della fotografia. Quel lato dove contano solo rapporti tra segnale e rumore, oppure un 1 Ev di gamma dinamica in più, e si osservano scrupolosamente i crop al 100% delle fotografie per analizzare la resa di sensore e obiettivo.

Dopo una premessa così estrema devo necessariamente bilanciare assumendo una posizione opposta, ragionare sul perché i numeri sono importanti e, infine, giungere ad una conclusione. Se non si conosce il rapporto tra ISO, diaframma e velocità di scatto è impossibile comprendere la fotocamera, entrare in sintonia con lo strumento ed usarlo per raggiungere i risultati che desideriamo. Copiare i dati di scatto da qualcun altro non ha nessuna utilità se non si comprende come questi abbiano portato a creare una determinata fotografia, perché le condizioni non saranno mai identiche e sono le piccole differenze a creare quelle sfumature che rendono uno scatto buono ed un’altro memorabile. Allo stesso modo conoscere concetti come l’iperfocale, la diffrazione, il rumore termico, di luminanza e cromatico permette di ottenere quella padronanza necessaria per ottenere il meglio da ogni condizione e dalla propria attrezzatura.

Tornando a sostenere la tesi più romantica, è chiaro che se il fine della fotografia è creare una bella immagine che trasmetta qualcosa, oltre ad avere un senso è imprescindibile anche lo studio della luce, del soggetto, dell’ambiente e della situazione. Il fattore umano è quello che fa la differenza, la fisica e la matematica centrano poco o nulla. Alla fine chi creerà la foto da ricordare? Forse il personaggio tutto numeri e formule, che vede il codice sorgente della fotografia in stile Matrix ma probabilmente sta inquadrando un brutto camion sulla statale (rigorosamente sul terzo!) creando un perfetto effetto mosso di un soggetto terribile in un ambiente squallido? Oppure colui che non ricorda neanche da dove si cambia l’ISO ma è riuscito a cogliere una bella atmosfera, con la luce che filtra tra la nebbia donando al signore di passaggio un’aura quasi mistica, ma magari ha scattato a tutta apertura e dimenticandosi di selezionare il giusto punto AF ha ottenuto un’immagine terribilmente sfocata su tutti i piani?

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Io direi: nessuno dei due. In medio stat virtus, con una citazione di una banalità sprezzante possiamo cogliere rapidamente il significato di tutta questa pergamena. Gli estremi non portano mai a buoni risultati, potrei aggiungere per puntualizzare. In realtà la tecnica è veramente utile al fotografo ma non è data solo da nozioni, piuttosto è una complicata combinazione tra conoscenza ed esperienza. Non si può sempre studiare senza applicare; non si può rappresentare una bella fotografia con una funzione; non tutto è esprimibile con i numeri; ma difficilmente si ottiene qualcosa di buono senza la necessaria conoscenza tecnica. Tuttavia possiamo dire che il fotografo che avrebbe potuto cogliere la foto migliore nell’esempio di prima sarebbe potuto essere il secondo, quello in grado di leggere una situazione di luce favorevole.

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Se vicino a lui ci fosse stato un terzo fotografo dotato di sufficiente competenza tecnica, avrebbe saputo che con la nebbia la messa a fuoco della fotocamera tentenna e che non aveva bisogno di una ridotta profondità di campo. Perciò avrebbe usato un diaframma più chiuso, magari f/8, perché l’esperienza gli avrebbe suggerito che con il suo 35mm quel diaframma offre una resa ottimale. La messa a fuoco sarebbe stata manuale, più o meno sul soggetto. Non era molto distante ma si sarebbe avuta la sufficiente profondità di campo, forse anche estesa fino all’infinito (cadendo sull’iperfocale). La fotocamera potrebbe essere impostata su Auto-ISO e magari avrebbe alzato automaticamente la sensibilità fino ad 800 (valore ancora accettabile) per evitare di scendere sotto il tempo minimo di sicurezza, in questo caso di sicurezza doppia, ovvero 1/70 in base ai 35mm. L’esposizione (matrix o multi-zona) potrebbe essere gestita in modalità A, ma con una compensazione di -1EV perché il nostro amico sa bene che altrimenti la fotocamera avrebbe schiarito troppo, per via del controluce, ottenendo una foto sbiadita, mentre lui vuole che il passante sia visibile come una scura siluette che si staglia sulla nebbia illuminata. Così facendo avrebbe ottenuto esattamente la foto che aveva in mente, tecnicamente perfetta ma non priva di contenuto e di bellezza.

Alessio Andreani

Special Editor - Sono nato a Loreto, nelle Marche. La fotografia occupa gran parte del mio tempo, sia per lavoro che per passione, due aspetti che a volte coincidono. Vivo a Milano. Pagina Facebook

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