Una nuova proposta parlamentare: la tassazione sui proventi della pubblicità online

Prima di iniziare l’articolo, pubblico un breve disclaimer: le valutazioni espresse non sono di natura politica, non è questo lo scopo del blog. Inoltre sto utilizzando volutamente una terminologia poco tecnica, in modo da essere il più chiaro possibile. Infine, occorre tenere bene a mente la differenza fra tassa e imposta: la prima è un tributo che deve essere pagato per ottenere in cambio un servizio dallo Stato, la seconda deve essere pagata e non prevede alcun servizio in cambio.

Il Partito Democratico, tramite il suo deputato avv. Ernesto Carbone, ha proposto due emendamenti alla legge delega sulla riforma fiscale per colpire i guadagni derivanti dalla vendita delle inserzioni pubblicitarie online. Google, Amazon, Apple e tutte le altre multinazionali utilizzano a loro vantaggio la legislazione fiscale comunitaria che prevede il pagamento di imposte e tasse nella nazione UE in cui hanno la propria sede legale (di solito Irlanda o Olanda), onde evitare l’eccessiva tassazione negli altri paesi.

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Tale comportamento prende il nome di elusione fiscale che, a dispetto di quanto si possa pensare, è assolutamente lecito anche per il nostro ordinamento, purché gli atti volti a tale pratica non abbiano tutte queste caratteristiche: non devono essere privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare norme tributarie e volti ad ottenere una riduzione del carico fiscale altrimenti indebita.

In Italia l’imposta pubblicitaria è di natura comunale (proprio perché grazie al pagamento del tributo vi è la concessione del suolo pubblico) e quindi la pubblicità online è per sua stessa natura non soggetta ad alcun tipo di balzello. La proposta dell’on. Carbone prevede alternativamente l’obbligo in capo ai colossi della tecnologia di apertura di una partita IVA dedicata alla compravendita degli spazi pubblicitari o l’introduzione di una specie di studio di settore che possa stimare il guadagno delle società per tassarle.

L’emendamento, per quanto populisticamente presentato (qualcuno ha detto che così “si potrebbe evitare l’aumento dell’IVA di un punto percentuale”), andrebbe a stridere, come ho spiegato qualche riga più su, non solo con la normativa nazionale, ma anche con quella europea. Inoltre non dimentichiamo che in USA, checché abbia dichiarato l’on. Carbone, tali tipi di transazione sono soggetti sia al pagamento della VAT allo stato in cui la società ha sede, sia all’imposizione fiscale federale che, però, non si avvicina per niente al nostro 43% di imposta diretta (escludendo, ovviamente IVA e balzelli vari).

Infine, qualora a Google, Facebook, Amazon e a tutti gli altri operatori non convenisse più generare traffico pubblicitario in Italia, potrebbero benissimo decidere di sospendere o chiudere i propri programmi di advertising, lasciando letteralmente a terra qualche migliaio di famiglie che si reggono grazie al lavoro di piccole e grandi webagency specializzate in adv online.

Purtroppo, ancora una volta, la politica italiana ha dimostrato di essere incredibilmente lontana dalla semplice ricetta per il risanamento dell’economia nazionale: ridurre la spesa pubblica, abbassare le aliquote fiscali ed aumentare la severità del sistema punitivo per gli evasori. Fino a che l’obiettivo sarà quello di aumentare le entrate senza diminuire le uscite e gli sprechi pubblici, la situazione non potrà mai cambiare.

Elio Franco

Editor - Sono un avvocato esperto in diritto delle nuove tecnologie, codice dell'amministrazione digitale, privacy e sicurezza informatica. Mi piace esplorare i nuovi rami del diritto che nascono in seguito all'evoluzione tecnologica. Patito di videogiochi, ne ho una pila ancora da finire per mancanza di tempo.

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