Steve Jobs, il film che aspettavamo e che non mi ha deluso

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Steve Jobs si ripresenta nelle sale cinematografiche italiane, ritorna e conquista. È un ritorno particolare, diverso dal precedente. Riappare in una pellicola di qualità che, questa volta, racconta davvero bene la personalità del fondatore di Apple. E non è mica facile. Sull’ex CEO di Cupertino è stato detto e scritto tutto e il contrario di tutto e non poteva essere diversamente: quella di Jobs era una personalità forte, particolare, si è fatto amare e odiare, tutti lo hanno descritto in maniera diversa. Raccontare (bene) Steve Jobs è un rischio e il libro, il film o il documentario che intende farlo finisce spesso per celebrarlo o criticarlo, senza trovare il giusto equilibrio. Abbiamo aspettato a lungo un’opera che fosse in grado di darci una visione quanto più equa possibile del fondatore di Apple e a quanto pare siamo stati accontentati. Dal 21 gennaio è disponibile nelle sale italiane “Steve Jobs”, il lungometraggio diretto da Danny Boyle (The Milionarie, Trainspotting) dedicato al cofondatore di Apple.

Jobs, film 1

Come detto poco sopra, non è la prima volta che il compianto CEO fa la sua comparsa sul grande schermo. Nel 2013, infatti, Joshua Stern diresse “Jobs”, ma non fu un gran successo. Qualcuno lo ha giudicato troppo severamente, come Fantozzi fece con “la Corazzata Potemkin”, ma anche se oggettivamente aveva diversi limiti, personalmente ritengo meritasse la sufficienza. Qui, invece, il discorso cambia e l’opera è tutta di un altro livello. Basato sulla biografia di Walter Isaacson, il film è ambientato nel backstage del lancio di tre prodotti storici dell’azienda: il Macintosh (1984), il Cube di NeXT (1988) e il primo iMac (1998).

Jobs, film 2

Michael Fassbender interpreta il personaggio in maniera eccellente. Riesce a calarsi perfettamente nei panni del CEO e a conquistare il pubblico, cosa non certo semplice. La non somiglianza con Steve Jobs si fa sentire, soprattutto se ripensiamo ad Ashton Kutcher, ma la sua interpretazione ci permette di superare lo “shock” e goderci lo spettacolo. Alla fine, insomma, ci si fa l’occhio e la recitazione ha la meglio sul fattore estetico, come è giusto che sia. Dietro il lancio di ogni prodotto, si ripete quasi sempre lo stesso rituale: Jobs prova i suoi discorsi, detta ordini, si arrabbia, si calma e ricomincia. A stargli vicino è la sua “moglie da lavoro”, ovvero il capo marketing Joanna Hoffman, interpretata da un’eccezionale Kate Winslet e candidata, come Fassbender, agli Oscar per il ruolo.

In ognuno dei tre atti saranno ricorrenti anche gli incontri/scontri con Steve Wozniak (Seth Rogen), John Sculley (Jeff Daniels), CEO Apple e Andy Hertzfeld (Michael Stulbarg) ingegnere software del progetto Macintosh. Quello con Sculley, però, è uno scontro tra titani: inscenato in maniera sublime, narra il momento più buio della carriera di Jobs. Mentre i due dialogano animatamente, una serie di flashback scorrono sullo schermo per spiegare allo spettatore come, quando e perché Steve fu licenziato da Apple. Un’eccezionale colonna sonora accompagna la sequenza, ma non tutti riusciranno a coglierla complessivamente. Come ho detto, il film si basa sulla biografia autorizzata, perciò chi non l’avesse letta rischia di trovarsi un po’ disorientato.

Jobs, film 4

La regia e l’ottimo montaggio di Eliot Graham si notano, ma è la sceneggiatura a farla da padrone. Aaron Sorkin compie un lavoro straordinario: 122 minuti di dialoghi, parole dall’inizio alla fine, senza punti morti. Dialoghi concitati, frustrazione, gioia, rabbia e sguardi si susseguono fino ai titoli di coda. Non c’è un attimo di pausa e lo spettatore non si annoia mai, almeno quello che conosce la storia. Graham non sperimenta, fa bene il suo lavoro e riesce a non deludere. Una cosa simile l’aveva fatta in “The Social Network”, il film che racconta la storia di Mark Zuckerberg e la nascita di Facebook, ma questa volta si è superato. Certo, il carattere di Jobs può aver facilitato le cose, ma era solo un ingrediente che ha contribuito al successo della ricetta.

Jobs, film 3

“Steve Jobs” di Danny Boyle non racconta la storia in ordine cronologico, dal garage alla gloria, ma sceglie tre momenti fondamentali. Quello che viene descritto non è Jobs il visionario, non ci viene mostrata la presentazione dei prodotti, ma si scava nell’intimità del personaggio per metterne in luce gli aspetti negativi e quelli positivi. A dir la verità, i primi prevalgono suoi secondi e allo spettatore viene restituita l’immagine di un narcisista, di un uomo scontroso e presunto, cosa che non rispetta la completa realtà dei fatti. Ecco, forse è questo l’unico difetto che posso trovare al film, ma alla fine Jobs non era certo rose e fiori.

Il regista ci mostra il genio dietro le quinte, alle prese con paure e gioie. Costretto a lottare  contro le sue aspettative e i suoi tormenti, obbligato a fare i conti con sé stesso e con Lisa; la figlia che irrompe nelle presentazioni in cerca di un padre che la rifiuta perchè immerso nel suo lavoro, perché impegnato a far dire “Hello” ad un computer. È un Jobs testardo, impulsivo, che cade e si rialza. È un Jobs che sbatte la testa al muro, che capirà di aver sbagliato e cercherà di rimediare.

Jobs, film 4

Boyle e Sorkin, insomma, ci restituiscono  un’immagine completa di Steve Jobs, di una delle figure più idolatrate e controverse del nostro tempo. Tirando le somme, dunque, mi sento di dire che “Steve Jobs” è un prodotto riuscito. I dialoghi sono belli e coinvolgenti, ma a volte si fanno troppo contorti e lo spettatore che non conosce la storia o non ha letto Isaacson, farà fatica a stargli dietro. Il rapporto del CEO con Chrisann Brennan (Katherine Waterston) si potrebbe dire banale, ma alla fine rispecchia esattamente quella che fu la realtà dei fatti. Steve Jobs, il film, non è da Oscar e sinceramente non credo voglia esserlo. Racconta una la storia di un uomo, ma non è un film biografico in senso stretto. Nonostante alcune imperfezioni, non si può negare che sia un prodotto di qualità, difficile da superare e capace di catturare e coinvolgere lo spettatore.

Giovanni Scionti

Junior Editor

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