Apple vs. FBI: dagli sviluppi sull’indagine alle controverse posizioni dei big di settore

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La vicenda dello sblocco dell’iPhone dell’attentatore di San Bernardino ha assunto dei connotati tali da coinvolgere non solo altre istituzioni, ma anche personaggi ed aziende operanti nel settore delle telecomunicazioni. Innanzitutto, come già supposto, l’FBI ha ammesso di aver cambiato la password dell’account iCloud con l’aiuto della contea di San Bernardino (effettiva proprietaria del telefono, visto che il terrorista era dipendente del suo dipartimento per la salute), al fine di ottenere l’accesso all’account iCloud dell’attentatore. Infatti, sembra che il suo iPhone 5c non abbia eseguito più alcun backup dallo scorso 19 ottobre e uno dei modi per accedere ai backup sarebbe stato quello di installarlo su un nuovo dispositivo tramite il ripristino da iCloud. Se la contea non avesse cambiato la password, Apple sarebbe stata in grado di fornire i backup successivi (ammesso che questi siano mai stati effettuati) collegando l’iPhone ad una rete Wi-Fi sicura e, quindi, forzando il backup del telefono sullo spazio iCloud dell’account del terrorista. Ad ogni modo, l’FBI insiste affinché Apple crei una backdoor in iOS per l’iPhone dell’attentatore, anche perché i backup di iCloud non contengono tutti i dati che possono essere immagazzinati su iPhone.

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Per spiegare al meglio gli sviluppi della vicenda, è opportuno puntualizzare che da iOS 8 in poi, qualora sia configurato il codice di blocco, tutto il contenuto del dispositivo viene criptato con una chiave composta in parte dallo stesso PIN scelto dall’utente, in parte dall’Unique ID del terminale. A sentire Edward Snowden (famoso alle cronache per il caso Wikileaks) l’FBI potrebbe accedere all’iPhone 5c dell’attentatore anche senza l’aiuto di Apple. Il procedimento (spiegato dal consulente di sicurezza informatica per IOActive), in realtà, richiede perizia e, soprattutto, rischia di distruggere per sempre i dati qualora dovesse essere svolto in maniera non corretta. Secondo l’hacker, i tecnici dell’FBI dovrebbero smontare l’iPhone, prelevare il chip in cui è memorizzato l’UID del telefono, sciogliere il rivestimento protettivo con l’acido e con un laser a ioni leggere letteralmente il codice. La stessa operazione dovrebbe poi svolgersi sul chip che memorizza il PIN di sblocco di iOS, in modo che, avendo a disposizione entrambi i dati, l’FBI possa decodificare la chiave per accedere ai dati memorizzati sull’iPhone o per leggerne il backup, qualora ne estragga uno.

La vicenda si è ulteriormente scaldata a causa di un rumor riportato da The Wall Street Journal che riferisce che in passato il dipartimento di giustizia americano e la stessa agenzia federale per le investigazioni stiano premendo su Apple per entrare in almeno altri 12 iPhone per altre indagini non meglio specificate (comunque non per reati attinenti al terrorismo), ma l’azienda preferisce glissare sull’invito di collaborazione invece di creare ulteriore rumore sulla vicenda.

Le testate giornalistiche d’oltreoceano, ovviamente, hanno raggiunto i principali big del settore per conoscerne l’opinione. Fra i tanti, sia Huawei che Bill Gates hanno sostenuto che, di fronte ad avvenimenti del genere, il diritto alla privacy dovrebbe venir meno. In particolare, il fondatore di Microsoft ha sostenuto che Apple dovrebbe creare la backdoor solo per permettere le indagini sull’attentato di San Bernardino, senza che questo possa costituire un precedente per casi meno importanti. Huawei, dal canto suo, ha sostenuto che ogni produttore dovrebbe mettersi a disposizione dell’Autorità giudiziaria, qualora questa ne faccia richiesta. I più maligni sostengono che Huawei abbia rilasciato tali dichiarazioni per abbia paura di perdere contratti con la pubblica amministrazione USA, di cui pare sia il principale fornitore per le infrastrutture. Invece, il fondatore di Telegram, Pavel Durov, si è schierato dalla parte di Apple, sostenendo che se ben 100 milioni di persone hanno scelto il suo client in luogo di quelli alternativi è proprio perché tutela il diritto alla privacy.

La questione, quindi, si fa sempre più intricata, tanto da dividere l’opinione pubblica americana: persino le vittime (rectius, le persone offese) dell’attentato si sono divise sul punto. Ad esempio, la madre di uno dei ragazzi morti in seguito all’attentato si è schierata a favore di Apple, sostenendo che il diritto alla privacy contribuisce “a rendere grande l’America”, mentre alcuni sopravvissuti sostengono esattamente il contrario.

Elio Franco

Editor - Sono un avvocato esperto in diritto delle nuove tecnologie, codice dell'amministrazione digitale, privacy e sicurezza informatica. Mi piace esplorare i nuovi rami del diritto che nascono in seguito all'evoluzione tecnologica. Patito di videogiochi, ne ho una pila ancora da finire per mancanza di tempo.

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