È un Craig Federighi diretto, incisivo ma pacato quello che emerge da un pezzo – scritto di suo pugno – circa la querelle Apple / FBI pubblicato dal The Washington Post. “Ciò che vuole l’FBI, è la creazione di un software specifico che apra una backdoor in iOS per bypassarne i meccanismi di sicurezza. Una volta sviluppato, potrebbe diventare una falla che hacker e malintenzionati potrebbero sfruttare per violare la privacy e la sicurezza di ognuno di noi”.
Il dirigente sostiene che la tutela dei dati personali è il terreno di battaglia per il futuro e che, ovviamente, si giocherà il tutto e per tutto sulla crittografia: qualora questa dovesse essere indebolita “per legge”, si richiederebbe di avvantaggiare chi vuol causare disordini. Inoltre, sottolinea come l’affermazione dell’Autorità circa la bontà degli standard di sicurezza implementati sino ad iOS 7 sia totalmente illogica, visto che il modo per violare le protezioni è addirittura commercializzato da società del settore o – peggio – usato da chi vuole impossessarsi dei dati altrui. Proprio per questo, Apple ha implementato in iOS 8 un sistema di crittografia associato al PIN ben più sicuro.
“Sono diventato un ingegnere perché credo che la tecnologia possa migliorare la qualità della vita diffondendosi nel mondo in un batter d’occhio” – continua Federighi – “ma anche il codice maligno si propaga con la stessa velocità ed è per questo che, oggi, molti sono preoccupati per la sicurezza dei propri dati”. E, forse, l’esempio del primo ransomware per OS X che si è diffuso tramite Transmission ne è la prova.