Fin dal lancio dell’Apple Watch avevo sottolineato che il suo ciclo di rinnovo non poteva seguire quello degli smartphone. Per fortuna così è stato e l’anno di vita è stato superato due giorni fa, visto che le vendite sono iniziate il 24 aprile del 2015 (26 giugno in Italia). Questo non significa che lo smartwatch di Cupertino non avrà un erede, a cui presumibilmente si sta già lavorando da diversi mesi. Personalmente punterei ad un rinnovo biennale, ma è possibile che si opti anche per 18 mesi, andando così a posizionarsi esattamente a metà del ciclo vitale di 3 anni che Apple ha previsto come durata media del dispositivo per il primo acquirente. In questo modo si potrebbe “suggerire” all’utente di cambiarlo ogni due generazioni, ottenendo un salto in avanti piuttosto pronunciato in termini di design e funzioni.
Per il momento le novità si sono limitate al sistema operativo, reso più maturo con watchOS 2, nonché ai nuovi cinturini, che nel corso del suo anno di vita hanno consentito di parlare nuovamente del prodotto portando una fresca ventata di novità. Ma quali potrebbero essere i cambiamenti di un ipotetico Apple Watch 2 (o edizione 2016)?
Ciò che è più facile attendersi è un SoC più performante, il quale consenta di usare con maggiore velocità le varie app. Anche con le versione native, che ora sono obbligatorie, l’esperienza d’uso rimane infatti piuttosto lenta e frustrante. È possibile immaginare un leggero redesign, anche se questo avrebbe maggior ragione di esistere in una ipotetica terza generazione. Di certo Apple dovrà fare attenzione a mantenere invariato l’innesto per il cinturino almeno per un po’, visto che moltissimi utenti ne hanno acquistati almeno un paio, invogliati dalla semplicità con cui è possibile sostituirli. E considerando il prezzo medio di questi ultimi, si tratta anche di un discreto investimento.
Impossibile non augurarsi un aumento dell’autonomia, ma il passaggio prevedibile non andrà oltre i 2gg mantenendo tutte le attuali funzionalità. E, per come la vedo io, tra un giorno e mezzo e due non vi è una grandissima differenza. La vera praticità si otterrebbe raggiungendo almeno metà settimana, così da cambiare drasticamente l’esperienza d’uso ed offrire maggiore praticità per chi volesse indossarlo di notte per il monitoraggio del sonno.
Tra le caratteristiche mancanti nella prima generazione, ve ne sono un paio sulle quali è possibile porre l’accento. La prima è l’assenza del GPS, il quale consentirebbe al dispositivo di fare un netto salto di qualità in ottica di fitness tracker, destinazione d’uso su cui l’azienda ha spinto moltissimo nella sua comunicazione commerciale. Altro elemento mancante, se così vogliamo dire, è quello della connessione dati. Allo stato attuale, pur con i vantaggi dello sviluppo nativo apportato da watchOS 2.0, il dispositivo rimane strettamente vincolato allo smartphone per il fetch dei dati, rendendo le operazioni inevitabilmente più lente. Con una scheda telefonica interna questo problema sarebbe immediatamente risolto e la Apple SIM, inserita nativamente nell’iPad Pro 9,7″, sarebbe la soluzione ottimale. Certo pagare un nuovo piano dati per lo smartwatch non sembra essere una cosa comoda, infatti i modelli pre-Apple Watch con SIM non hanno riscontrato i favori del pubblico, tuttavia potrebbe servire un pacchetto dati piuttosto esiguo e le compagnie telefoniche avrebbero tutto l’interesse di vendere lo smartwatch con associato un piano dati di 200 o 500MB al mese. Una soglia simile dovrebbe essere più che sufficiente non dovendo fare streaming di contenuti video e navigazione web.
Secondo il Wall Street Journal Apple starebbe proprio lavorando in tal senso per la seconda generazione di Apple Watch, dotandolo di una SIM che lo renda completamente autonomo e potenzialmente utilizzabile anche da chi non possegga un iPhone. Pur con le attuali limitazioni, però, il primo dispositivo indossabile di Cupertino ha ottenuto un notevole successo. Si stima che abbia venduto ben 12 milioni di esemplari in un anno di vita, una cifra doppia rispetto a quella del primo iPhone, con ricavi tre volte superiori a quelli ottenuti da Fitbit considerando tutti i suoi fitness tracker mesi insieme.