“Più SSD, meno Ghz” è il motto che ha reso “celebre” il nostro Maurizio nei blog di settore: infatti, spesso si crede che la velocità di un sistema dipenda esclusivamente dal processore (“il mio telefono Android ha ventordici processori, quindi è più potente di iPhone!1!1!”) e non anche da altre componenti, quali la RAM e, per l’appunto, i dispositivi di archiviazione di massa. Spesso, installando un SSD molto performante su una macchina di qualche anno fa, la si riporta a nuova vita.
Sembra pensarla allo stesso modo anche IBM che ha reso pubblica una sua recente scoperta che potrebbe riportare in auge i dispositivi ottici. Utilizzando la tecnologia Phase Change Memory, gli ingegneri della società sono riusciti ad incrementare il numero di informazioni memorizzabili per ogni cella. Passando da 1 a 3 bit aumenta notevolmente la capacità di archiviazione a parità di superficie, inoltre cresce la velocità di lettura, che, secondo IBM, può arrivare ad essere 50 volte maggiore rispetto una tradizionale memoria flash. Qualcosa di analogo è giù successo per gli SSD nell’ultimo decennio, passando dalle SLC alle MLC e, infine, alle TLC più usate oggi.
Secondo la società, le applicazioni della nuova tecnologia potrebbero essere tanto nel campo degli smartphone (in abbinata alle tradizionali memorie flash) quando nel campo dei computer, sia come sostituti degli SSD che della RAM.