Fitbit e Pebble: dopo la crisi, un fronte unito per resistere ad Apple Watch

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Siamo in debito con voi di numerose recensioni, tra cui quella dell’Apple Watch 2 (che di questo passo rischiamo di pubblicare giusto un paio di giorni prima dell’uscita del 3). Vi faccio però una sintesi da utente “non sportivo”, dicendovi che, tutto sommato, non ho avvertito un cambiamento epocale rispetto al precedente. Anzi, li alterno spesso per questioni cromatiche e non soffro quasi per nulla dei “limiti” del primo modello. Non dico che non ci siano vantaggi nella nuova generazione, sia ben chiaro, ma che nell’uso relativo a notifiche e risposte andava già bene il primo. Per le attività aggiuntive ogni tanto provo a comandare le luci hue o lanciare qualche app, ma tutte le volte me ne pento. Uso anche un Huawei Watch ogni tanto, collegato al mio S7 Edge, e devo dire che va altrettanto bene per quel tipo di uso.

Per i veri sportivi ci sono soluzioni ad hoc con funzioni ed efficienza nettamente superiori, per tutti gli altri l’uso “smart” dell’orologio si limita ad evitarci di prendere il telefono un tot di volte al giorno. Nel mio caso il tot è un numero molto elevato, quindi ben venga, ma ne ho regalato anche uno a mia moglie (prima generazione, lo ammetto) e sono rimasto stupito da quanto lo usi. Temevo sarebbe stato uno di quei “pensierini” che noi geek facciamo alle nostre consorti più per nostro piacere che per il loro, e invece sono davvero contento che lo abbia apprezzato tantissimo. L’Apple Watch, per me, è questo. Un dispositivo che quatto quatto si insinua nella tua quotidianità e che ti manca quando non lo hai al polso. Ma è ben lontano dall’efficienza di dispositivi dedicati, come ad esempio la Mi Band che trovavo utile/divertente (forse più la seconda) per monitorare il sonno, cosa che con uno smartwatch diventa più complicata per via della minore durata della batteria.

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Vuoi per un motivo, vuoi per l’altro, l’Apple Watch piace e vende parecchio. Snobbato dai più e ignorato dai media – che l’hanno visto come un fiasco solo perché non era un iPhone – questo dispositivo tutto sommato limitato nelle funzioni e con un estetica che non fa gridare al miracolo (parere personale, si intende), si è imposto in un mercato preesistente senza se e senza ma. Non che gli Android Wear non piacciano o non vendano, ma come al solito Apple con un solo modello (ehm, diciamo due va) è riuscita a prendersi la fetta più importante in termini di guadagni e visibilità. Non per niente i nomi storici che hanno fatto faville prima dell’arrivo dell’Apple Watch, hanno resistito benissimo alla prima ondata variopinta di Android Wear, ma non sono usciti incolumi dall’avvento dello smartwatch di Cupertino. Mercati diversi? Sì, si potrebbe direi di sì, ma la maggior parte di quelli che li compravano era costituita dagli early adopters, quelli che amano testare tutte le nuove tecnologie. Ne ho visti con braccialetti fitness che contavano i passi giornalieri dal divano al tavolo da pranzo e, ahimé, sono stato anche io uno di questi. Ma quanta soddisfazione in più dà un Apple Watch? C’è chi lo ama per rispondere alle telefonate in stile Ispettore Gadget, chi lo usa come interfaccia per Siri, chi si diverte a mandare disegni e cuoricini… e poi c’è anche qualcuno che lo usa per l’attività motoria. Scherzo: se guardiamo i video promozionali di Apple tutti lo usano per allenarsi! Ma chi si ricorda i Pebble? Ai posteri l’ardua sentenza, perché le loro tracce si ritroveranno solo nelle pagine di Wikipedia – avete fatto un donazione? – o nei cassetti dei collezionisti compulsivi di tecnologia: cioè tutti noi. L’azienda che era sulla cresta dell’onda neanche un paio di anni fa, ora non sembra riuscire neanche a consegnare gli ultimi gioiellini per i quali aveva raccolto fondi, tant’è che diverse fonti riportate da 9to5Mac suggeriscono che verrà presto acquisita da Fitbit.

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Non che quest’ultima se la passi meglio, ma probabilmente unendo il loro know how potranno riuscire a creare un fronte più resistente. Di Pebble, però, si mormora che rimarranno solo le competenze e i brevetti (speriamo anche le persone), per cui il marchio dovrebbe essere completamente archiviato. Dispiace certamente, ma potrebbe venirne fuori qualcosa di interessante. L’idea dello schermo e-ink era – e forse è ancora – valida, l’ho apprezzata quando ho avuto il mio primo ed unico Pebble, ma credo che sul fronte del design l’azienda avesse serie lacune. Ha avuto le carte in regola per ingolosire noi nerd, ma non di certo le potenzialità per sfondare con il grande pubblico. Di contro Fitbit realizza prodotti molto più curati. Ho avuto un Alta che faceva poche cose ma era davvero gradevole. Per cui nutro discrete speranze per i prodotti nati da questa fusio-acquisizio-ne, che, a conti fatti, potrebbe costare a Fitbit pochi spiccioli.

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Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

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