Recensione: MacBook Pro 15″ (2016) con Touch Bar, al di là della Touch Bar

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Ho atteso così tanto tempo per pubblicare questa recensione che ora dovrei dirvi qualcosa di davvero unico per renderla interessante. Qualcosa che non abbiate già letto o sentito dire altrove, ma non è certo un obiettivo facile da raggiungere. Questo tipo di “pressione” non giova all’obiettività di una prova, in quanto rischia di diventare il centro di gravità di ogni singolo pensiero. Per evitare di cadere in questa trappola verbale ho preso la decisione di ignorare tutto quanto sia stato già detto sul MacBook Pro 15″ 2016, compreso ciò che abbiamo pubblicato su SaggiaMente. L’unico articolo che è consigliabile aver letto prima di questo è la recensione del MacBook Pro 13″ senza Touch Bar, in cui ho approfondito alcuni aspetti che trovo inutile ripetere una seconda volta. Ma basta con le premesse, diamo uno sguardo a questo magnifico computer.

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Magnifico è il termine giusto, perché anche se la linea è sostanzialmente invariata da diversi anni a questa parte, le modifiche strutturali rispetto ai modelli precedenti lo hanno perfezionato e reso ancora più stupefacente. Non ho praticamente elaborato le foto proprio per cercare di rendere il suo aspetto naturale senza enfatizzarlo, perché non ne ha davvero bisogno. Capisco bene chi si lamenta dell’infruttuosa rincorsa all’assottigliamento dei dispositivi, ma quando si vede dal vivo questo computer se ne apprezzano i risultati. Il peso rimane importante con i suoi 1,8Kg, ma è davvero compatto considerando l’hardware di cui dispone e l’ampio schermo da 15,4″.

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Io ho scelto il modello base con l’aggiunta di un SSD da 512GB, ma ho avuto risultati di prima mano anche di quello più potente con le CPU e GPU in opzione. Parliamo sempre della sesta generazione di chip Intel Skylake, i7-6700HQ nel primo caso e i7-6920HQ nel secondo; nel mezzo si trova l’i7-6820HQ che Apple propone come processore della configurazione top “liscia”. Sono tutti quad-core, con frequenze di clock rispettivamente di 2.6, 2.7 e 2.9GHz. Abbiamo già spiegato il motivo di questa scelta, così come anche quello che ha costretto Apple ad adottare la LPDDR3 e non la LPDDR4, non supportata da questa generazione di CPU (che era il meglio che si potesse avere per un portatile di fascia alta al momento della sua immissione sul mercato).

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A parte lo spessore ridotto, cornici più sottili intorno allo schermo e il nuovo colore grigio siderale, le altre novità più superficiali riguardano alcune assenze illustri, come il pratico connettore MagSafe e l’illuminazione del logo Apple, cose che non ci hanno sorpreso essendo già sparite nei MacBook 12″. Pur non ritenendoli peccati mortali, devo ammettere che la porta magnetica per la ricarica era un dispositivo di sicurezza molto valido per tutte le volte in cui si inciampava nel cavo, mentre la mela luminosa è assolutamente ininfluente per l’utente ma potrebbe avere risvolti negativi per Apple in termini di marketing, in quanto i suoi portatili saranno ora molto meno evidenti. Pensate a tutte le volte che avete riconosciuto i MacBook in una platea proprio per via di quel dettaglio.

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Aprendo il coperchio si rimane catturati dalla Touch Bar, ma l’elemento più evidente è probabilmente l’enorme Trackpad Force Touch. È veramente sterminato e ben più ampio di quello già grande del nuovo 13”, tant’è che Apple ha dovuto inserire un secondo controller per gestirne l’intera superficie. Le caratteristiche ormai le conosciamo: si preme comodamente in qualsiasi punto e si ha anche la possibilità di effettuare un clic più deciso per attivare funzionalità aggiuntive. L’uso risulta piacevole, confermando la leadership di Apple per la qualità dei dispositivi di puntamento nei computer portatili. Inoltre se ci si abitua a sfruttare tutte le gesture per mostrare la scrivania, attivare Mission Control, Launchpad, ecc.. la produttività migliora vertiginosamente.

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Rispetto al modello da 13” arriva più ai lati della tastiera, per questo ho notato un maggior numero di volte in cui ho mosso involontariamente il cursore durante la digitazione. Per i clic avevo risolto disattivando l’opzione “Tocca per fare clic”, ma ne ho sentito troppo la mancanza. In fin dei conti ci si dovrà forzare a mantenere i polsi inclinati verso i lati, nella speranza che diventi rapidamente un’abitudine. Una cosa davvero strana è che non risponde sempre con puntualità al trascinamento delle finestre con tre dita (funzione che apprezzo e che mi spiace Apple abbia confinato nel pannello di preferenze Accessibilità).

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Alcune volte non va al primo colpo e devo ritentare, cosa che non mi era mai capitata con nessun MacBook, neanche il 13” di quest’anno. Forse dipende proprio dal fatto che ci sono due controller touch separati, la cui sincronizzazione avrà richiesto del lavoro aggiuntivo, per cui spero possa essere risolto lato driver in breve tempo. Tutto sommato questo trackpad risulta molto comodo oltre che piuttosto impressionante da vedere. Speriamo che Apple valuti in futuro la possibilità di introdurre il supporto per la Apple Pencil, perché lo spazio di certo non manca e sarebbe una funzionalità potenzialmente molto utile, che aprirebbe tutta una serie di nuovi scenari.

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Per la tastiera valgono le medesime considerazioni espresse nella recensione del MacBook Pro 13” senza Touch Bar, riassumibili in: comoda ma un po’ rumorosa. Continua a stupirmi la precisione con cui si può premere un tasto in qualsiasi punto, sentendolo scendere giù dritto come su un binario. Il miglioramento rispetto il meccanismo a farfalla di prima generazione visto nel MacBook 12” è evidente, con una corsa più estesa ed un feedback finalmente chiaro. Il discorso rumorosità, che quando scrivo di notte mi dà piuttosto fastidio, è il rovescio della medaglia di questo preciso meccanismo, che richiede una quantità di forza moderata per premere un tasto ma poi non bisogna accompagnarlo continuando a spingere. Non è semplice da spiegare, ma se la provate sentirete un minimo di resistenza all’inizio della pressione che sparisce completamente nello spazio di un decimo di millimetro, facendo quasi sembrare che il tasto si ritragga da solo sotto le dita.

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Insieme al Touch ID, la Touch Bar è tra gli elementi più importanti di questo aggiornamento. Si tratta di un display OLED lungo e sottile, che riproduce una serie di controlli che possono variare a seconda del contesto. Nella configurazione di base questa mostra un gruppetto di 4 tasti virtuali sulla destra, che costituiscono la “Control Strip”, ed un blocco centrale di “controlli app” alla cui sinistra è localizzato il tasto Esc.

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Dal pannello di preferenze Tastiera si può modificare questa impostazione, scegliendo di vedere solo la Control Strip espansa o solo i controlli app. La prima soluzione ci porta ad un utilizzo sostanzialmente identico a quello delle vecchie tastiere, avendo in seconda funzione i normali F1/F12 visualizzabili con la pressione del tasto Fn. Anche questa opzione è modificabile dallo stesso pannello di preferenze Tastiera.

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La situazione può sembrare molto complessa all’inizio viste le diverse possibilità offerte, ma vi dico una cosa: mai lamentarsi dell’eccesso di opzioni. Specie con Apple e specie quando queste sono tutto sommato logiche e comprensibili. La voglia di cambiare qualcosa sarà forte per alcuni, tuttavia consiglio di mantenere le cose inalterate per i primi giorni, perché ho provato diverse combinazioni ma con il tempo ho apprezzato di più quella di default. In particolare all’inizio non mi convincevano le quattro icone predefinite della Control Strip: luminosità schermo, volume, silenzioso e Siri. Questo finché non ho realizzato di usare male le prime due, perché tappavo su luminosità o volume e poi le aggiustavo muovendo il cursore che appariva, mentre invece si può fare tutto in un unico gesto, tenendo premuto e muovendosi in orizzontale.

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L’area definita “controlli app” è quella che varia in base al software, a patto che questo supporti la nuova funzionalità. Nell’elenco delle app compatibili ve ne sono tantissime: si parte da tutte quelle di sistema, comprendendo anche le ex iLife e iWork, per poi annoverare la suite Adobe CC (non tutta), 1Password, Pixelmator, AirMail 3, PCalc, Ulysses, Touchbar piano, 2Do, Battery Health 2, BetterTouchTool e tante altre che dimentico e che si aggiungono quasi quotidianamente. Quello che non mi è piaciuto molto è come si personalizzano le icone e i comandi presenti in quest’area, poiché l’ho trovato poco organico in termini di collocazione. La Control Strip si modifica dal pannello di preferenze tastiera, mentre i controlli app vengono demandati al menu interno dei vari software (logico), dove non vi è però un’attenta continuità. Anche negli stessi programmi nativi di Apple troviamo la voce “Personalizza Touch Bar” in posizioni diverse all’interno del menu Vista – una volta in cima, una volta in fondo, una volta a metà… – mentre in alcuni altri manca del tutto. Credo che avesse molto più senso metterla sempre allo stesso punto come linea guida se non addirittura nelle Preferenze delle app.

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La personalizzazione della Touch Bar è uno degli aspetti più intriganti in termini di funzionamento, in quanto le icone disponibili sono riprodotte sulla parte bassa dello schermo principale, ma noi possiamo portarle sulla Touch Bar con un drag&drop verso il basso, proprio come se si trattasse di un display secondario. In fin dei conti è esattamente questo, uno schermo OLED da 2170 x 60 pixel, ma è una cosa che si tende a dimenticare vista la sua posizione e dal momento che lo usiamo per impartire comandi col tocco.

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Una cosa che fin qui non ho sottolineato è la qualità di questo pannello OLED, che Apple ha perfezionato per una visione ottimale da un’angolazione compresa tra 45 e 60°, ovvero quella tipica che ci si trova ad avere abbassando gli occhi sulla tastiera. Con questo non intendo dire che non si veda bene se ci posiziona perpendicolarmente, ma la tonalità del grigio dei tasti virtuali diventa un po’ troppo chiara. Insomma, parliamo di quei dettagli che davvero poche aziende al mondo vanno a considerare come fa Apple.

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Dopo questa carrellata sul funzionamento e sulla qualità della Touch Bar, parliamo un po’ di esperienza d’uso. L’implementazione nativa di Apple è molto convincente, specie quando non viene usata per dei semplici tasti. Mi riferisco ad esempio allo scorrimento rapido di un video con tanto di immagini a colori o, più banalmente, alle miniatura delle varie tab aperte sulla finestra di Safari attiva, consentendoci di passare rapidamente dall’una all’altra. Sono tutte cose molto cool e non nego di averle usate di tanto in tanto, ma per lo più mi sono imposto di farlo. Trovo infatti che siano più efficaci i controlli aggiuntivi rispetto quelli duplicati. Ad esempio mi è piaciuto molto l’uso della Touch Bar durante una registrazione di QuickTime, dove si può vedere il tempo trascorso, la dimensione del file generato e si ha la possibilità di interrompere comodamente.

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Volutamente sorvolo sull’uso a mo’ di tastiera iOS, con i suggerimenti di scrittura e le onnipresenti emoji. Sono consapevole che è una cosa carina, ma oltre a trovarlo poco utile (⌃⌘Spazio mi sembra più veloce) mi voglio illudere che non sia questo l’uso principale che se ne vuol fare o che sia stato previsto da Apple. Ci sono diversi ambiti in cui effettivamente la Touch Bar può essere comoda per chi non è avvezzo all’uso di combinazioni da tastiera, ma se dovessi dare un parere dopo queste prime settimane d’uso, la definirei più bella che utile. Non inutile, voglio precisare, però l’ago sulla mia bilancia di valutazione tende più verso l’effetto scenico che non sulla praticità. Inoltre vi ho trovato una serie di problemi che, per un divoratore di tastiere, si fanno sentire. Il primo è posturale: sia io che diversi amici con cui mi sono confrontato, ci siamo trovati tante, troppe volte a premere involontariamente Esc o Indietro (che in alcune app come Safari si trova subito alla sua destra) solo poggiando le mani sulla tastiera in posizione di riposo.

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E si rimane davvero spiazzati se si sta guardando solo lo schermo, in quanto si vedono succedere “cose strane” senza collegare immediatamente di esserne i colpevoli. Questo perché la Touch Bar non ci avverte in nessun modo dei tasti premuti se non visivamente. Non emette un suono, una vibrazione o un feedback aptico, che a mio avviso sarebbe la soluzione migliore oltre che la cosa più urgente da implementare nelle prossime versioni. Ad essere pignoli ho sentito anche la mancanza del Force Touch, perché ho trovato diverse situazioni in cui sarebbe stato utile, ad esempio per chiudere un tab di Safari con un pressione più profonda, mentre al momento possiamo solo attivarle.

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Meno frequente ma comunque poco gradevole è l’uso di combinazioni miste tra tasti reali e virtuali. Penso ad esempio a ⌘⌥Esc che serve per forzare la chiusura di applicazioni o a ⇧F5 che uso spessissimo in Photoshop per riempire, tutte cose che risultano poco ergonomiche per il diverso feedback delle due superfici. Anche in questo caso, però, un ipotetico Taptic Engine potrebbe aiutare a livellare la risposta sensoriale, ragione in più per considerarlo un upgrade necessario.

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Se il mio personale feeling con la Touch Bar è stato così così, non posso che lodare l’implementazione del Touch ID. L’ho trovato incredibilmente utile fin dal login, dove riconosce l’utente in base al dito, nonché per evitare di mettere la password amministratore in diverse aree di sistema (non tutte, purtroppo), anche se personalmente l’uso più assiduo che ne faccio è con 1Password, che consente di avere a portata di mano tutti i nostri accessi e le informazioni riservate in modo sicuro. Ricordo che Apple ha implementato in questi MacBook Pro con Touch Bar il chip T1, che si occupa proprio di memorizzare in locale le impronte con un’architettura di protezione definita Secure Enclave.

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Un piccolo peccato veniale è che se usiamo il portatile in modalità clamshell, ovvero a coperchio chiuso, la finestra di autenticazione continua a proporre l’impronta come scelta predefinita invece della digitazione della password, cosa sciocca perché macOS a quel punto sa bene che il Touch ID non è raggiungibile. Nulla di grave, ovviamente, ma volendo essere pignoli si nota come in questi casi non si perda solo il vantaggio del Touch ID ma serva anche del tempo aggiuntivo per cliccare manualmente sul tasto “Usa Password”. Arriverà una Magic Keyboard 2 con Touch Bar e Touch ID? Forse sì, anche se costerà parecchio e dovranno cercare di mantenere un’autonomia decente senza farla diventare troppo spessa (che in Apple sembra essere considerata la peggiore sciagura possibile).

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Sullo schermo non c’è molto da dire oltre quello che si può facilmente immaginare. Contrasto eccellente, neri profondi, gamma cromatica estesa DCI P3, ottima visibilità dai lati, riflessi sempre più contenuti, luminosità molto buona (500 nit) e risoluzione 2880 x 1800 in modalità Retina. Faccio solo notare che in questo computer Apple ha smesso di usare il fattore intero 2x per la scrivania. In questo caso, cioè, si parte da uno spazio di lavoro equivalente ad un 1680 x 1050 e non con la metà esatta dell’effettiva risoluzione del pannello, che avrebbe dovuto essere 1440 per 900 pixel (le altre risoluzioni disponibili partono da un minimo di 1024 x 640 fino ad un massimo di 1920 x 1080).

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Questa scelta, a mio modo di vedere assolutamente corretta, è legittimata dagli ottimi risultati che si ottengono grazie al particolare metodo usato da Apple per renderizzare l’output sugli schermi Retina. Ne ho approfondito il funzionamento ormai diversi anni fa, spiegando che macOS elabora effettivamente un’immagine a dimensione doppia rispetto quella della scrivania, anche se questa eccede i limiti fisici del pannello. Nel caso specifico, ad esempio, lo spazio di lavoro 1680 x 1050 viene elaborato a partire da immagini virtuali di 3360 x 2100 pixel, le quali poi vengono scalate per essere riprodotte su un pannello 2800 x 1800. Questo passaggio può sembrare una inutile complicazione – e in effetti è a causa sua se i primi Mac con schermo Retina faticavano più del dovuto con le animazioni – ma nel medio periodo si è rivelato un vantaggio importante in termini di flessibilità, offrendo delle risoluzioni non intere in cui i difetti dovuti all’adattamento risultano praticamente invisibili. Sia Windows che Linux sono lontani da un risultato altrettanto valido.

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Per lo stesso motivo io uso schermi 4K con i computer Apple e ritengo che la differenza di resa effettiva rispetto i 5K sia praticamente impercettibile se si imposta la modalità 2560 x 1400, seppure questa sia una riduzione intera partendo dal 5K e frazionata rispetto il 4K. Inoltre dal 27″ in poi preferisco lavorare con almeno 3008 x 1692 pixel, per cui la moltiplicazione sarebbe non intera anche rispetto al 5K. Per collegare uno schermo esterno su questi nuovi computer abbiamo diverse possibilità, ma tutte vanno sempre ricondotte all’unica tipologia di porta disponibile: Thunderbolt 3.

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Ne abbiamo quattro in tutto, due per lato, ognuna delle quali supporta il Power Delivery in entrambe le direzioni (ricaricando quindi anche il computer), una banda massima di 40 Gbps con dispositivi Thunderbolt 3, 10 Gbps con quelli USB-C 3.1 Gen 2 e 5 Gbps con quelli Gen 1. Da qui a scendere è tutto possibile con opportuni adattatori, ad esempio da Thunderbolt 3 a 2, oppure da USB-C 3.1 Gen 2 ad una vecchia USB-A 3.0. L’intero settore si sposterà inevitabilmente verso la porta USB-C, l’unica cosa che non possiamo prevedere è la velocità con cui ciò avverrà. Ero piuttosto fiducioso al tempo dell’arrivo del MacBook 12″, ma dopo 2 anni in sua compagnia lo sono un po’ meno. Per il momento uscire con uno o più adattatori è ancora una necessità per cui, a meno di non essere dannatamente sicuri di non aver bisogno di connettere qualcosa, converrà portarsi dietro almeno un piccolo hub con un paio di porte USB-A e uscita HDMI.

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Personalmente non ne faccio un dramma, però arrivando dal modello precedente ho avvertito un po’ di fastidio per questa incombenza. Più che altro perché ci si ritrova ad acquistare fin troppi adattatori e, per essere pronti a tutto, si rischia di portarsi dietro anche cose che poi non si usano. Questo perché la volta che si parte leggeri e fiduciosi di non averne bisogno, è proprio quella in cui sarebbero stati utili. La potete chiamare sfortuna o potete prendervela con il Rasoio di Occam, ma fidatevi, capita. Per l’uscita video prima si avevano l’HDMI e la mini DisplayPort “inclusa” nella Thunderbolt 2, ora servono due adattatori separati a meno di non trovarne uno che le abbia entrambe e che funzioni. E poi oggi ci vuole almeno una porta USB in formato tradizionale, ma meglio abbondare con un paio di adattatori USB-C/USB-A. Quello di Apple funziona bene e non costa troppo caro con l’attuale sconto, ma è comunque un po’ ingombrante, soprattutto se se ne usano due. Si potrebbe tentare con quelli mini e a buon mercato, comodi da portare e magari da lasciare connessi ai cavi dei device che usiamo più spesso, ma sembrano avere tutti limiti di velocità. Alla fine si converrà che è più pratico un hub, ma a quel punto è meglio che sia dotato anche di uscita video per semplificarsi la vita. Purtroppo in tutti quelli attualmente in commercio si trova la HDMI 1.4 che non gestisce il 4K a 60Hz. L’unico a non avere questo limite è l’adattatore CDP2HD4K60 di StarTech, che però fa solo quello e si dovrebbe quindi aggiungere al precedente hub. Inoltre ci hanno tolto lo slot per le memorie e molti di noi dovranno sopperire, magari prendendo la palla al balzo per acquistarne uno che legga nativamente anche le microSD e con supporto UHS-II. Ma questo avrà probabilmente la porta USB a pieno formato visto che il modello di SanDisk proposto da Apple con USB-C ha ancora lunghe previsioni di consegna (io uso e consiglio il Kingston MobileLite G4).

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Il futuro sarà dell’USB-C, questo è abbastanza prevedibile, ma il presente è un marasma pazzesco. I problemi – non avendo timore di chiamarli con il loro nome – nascono e crescono in relazione all’uso che si farà di questo computer, perché è facile che vi siano anche utenti che lo acquisteranno usandolo ad 1/10 delle sue potenzialità. Utenti per i quali un hubettino da 30€ risolve tutti i limiti dovuti alla retrocompatibilità con i dispositivi già in possesso o necessari. Ma non è in base a questi che si deve valutare il MacBook Pro, altrimenti lo staremmo trattando come un MacBook. In effetti il primo adattatore che sarà probabilmente necessario ai più è quello Apple da Thunderbolt 3 a 2, il quale consente di rimettere in pista le precedenti catene di archiviazione. Però questo non supporta il segnale video, per cui ne serve uno separato e specifico per avere la mini DisplayPort (e non funzionano tutti, vi consiglio di dare un’occhiata a questo articolo). La situazione richiederebbe un approfondimento davvero sterminato, soprattutto perché le esigenze possono variare moltissimo da caso a caso, ma ci sono almeno altri due aspetti che non si possono ignorare.

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Il primo riguarda i cavi, i quali possono riservare davvero delle brutte sorprese. Se non fosse già abbastanza strano che tutti i device Thunderbolt 3 associati al chip USB-C di prima generazione non sono compatibili con i MacBook Pro 2016 senza un hack, ci si mettono anche i cavi a creare una gran confusione. Ad occhio lo riconosciamo il connettore USB-C, ma in commercio ce ne sono almeno di tre tipi: USB 2.0, USB 3.1 Gen 1 e USB-C Gen 2. Poi ci sono quelli Thunderbolt 3, apparentemente identici ma con l’icona del fulmine, i quali a loro volta si suddividono in base al supporto USB che offrono. Ad esempio il cavo Thunderbolt 3 che Apple ci dà in dotazione con questi computer è USB 2.0, per cui non gestisce il trasferimento dati (di conseguenza neanche quello video). In sostanza potreste pensare di usarlo per connettere due dispositivi Thunderbolt 3, ma non funzionerà. Neanche se si tratta di due MacBook Pro. C’è il serissimo rischio, se non la certezza, di trovarsi in breve tempo con una marea di cavi apparentemente identici ma sostanzialmente diversi e di impazzire per ricordarsi cosa funziona con cosa. La soluzione migliore – se non ci si può o vuole limitare ad usare solo quelli nativi – è quella di comprare cavi Thunderbolt 3 con USB-C Gen 2, che funzioneranno più o meno con tutto. Ma non è neanche una certezza assoluta, perché può capitare di trovarne alcuni ottimi, come quelli di Cable Matters, che però sono limitati a 20 Gbps su Thunderbolt 3. Non sarà un grande limite nella maggior parte dei casi, ma c’è sempre l’eccezione. Ad esempio se si vuole usare uno schermo 5K serve almeno il cavo di StarTech, che però è più caro. Apple vende sul proprio sito quelli di Belkin che sembrano molto buoni, ma con tutto lo sconto attuale servono 22€ per il taglio da 0,5m e ben 59€ per quello da 2m.

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La seconda questione da valutare è quella della ricarica, che è parzialmente correlata anche ai cavi. Tutti quelli fin qui citati supportano Power Delivery per un massimo di 60W secondo le specifiche, che sono quelli richiesti dal MacBook Pro 2016 da 13″, mentre ne servono 87 per il 15″. Sono infatti curioso di vedere che cavo ha inserito LG nel suo monitor LG UltraFine 5K 27″, in quanto il sito Apple specifica che fornisce fino a 85W. Cavi e alimentatori a parte, la questione richiede comunque delle precisazioni. In primo luogo con una Power Delivery di 60W non significa che non si possa ricaricare la batteria del MacBook Pro 15″, solo lo si farà più lentamente. In condizioni normali non si avrà alcun problema, perché giusto nelle fasi in cui si spreme al massimo l’hardware – ad esempio durante un rendering – il computer consumerà più corrente di quanta ne riceve. Potrà dunque capitare di vederlo scendere per qualche minuto al di sotto del 100%, ma appena si ritornerà a ritmi di lavoro normali riprenderà a caricare regolarmente. Io lo sto usando proprio adesso con il monitor LG 27UD88 e cavo Cable Matters ed è fisso al 100%, mentre con il cavo originale da un lato carica e dall’altro no (e ve lo possono confermare altri possessori). Ma come, non era una porta standard, simmetrica e reversibile?

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Chiaramente tutto questo trascende dalla valutazione del MacBook Pro, ma essendo il primo portatile ad arrivare con Thunderbolt 3/USB-C Gen 2 e senza neanche una porta alternativa, non c’è un momento migliore per parlarne. Voglio dire che non è un demerito di questo computer il fatto che ci siano millemila cavi diversi in commercio, poca chiarezza sui nuovi “standard” e scarsa reperibilità di alimentatori USB-C con Power Delivery profilo 5 (che è quello che arriva a 100W, mentre il 4 si ferma a 60W). Certo, in futuro ci saranno sempre più monitor e dock adatti, con il pregio di ricaricare anche il computer e fornire un hub di connessioni aggiuntive, ma al momento la scelta in tal senso è molto ridotta. Se siete di quelli che vedono il bicchiere mezzo vuoto, quasi sicuramente avvertirete soltanto problemi e limitazioni per le connessioni di questo computer, ma se riuscite a dare priorità alla parte mezza piena, potreste essere ben felici di sopportare qualche piccolo grattacapo oggi per essere già pronti per il domani.

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Il disco flash inserito in questo MacBook Pro è realizzato con NAND di Samsung ed offre ottime prestazioni. Si parla di circa 3GB/s in lettura e poco più di 2GB/s in scrittura, valori che potevamo solo sognarci fino a poco tempo fa. Un SSD di questo tipo garantisce velocità eccellenti in fase di avvio del computer e delle app, così come nella gestione dei file (apri, salva, ecc..), ma è anche utile per mantenere reattivo macOS quando la RAM è prossima alla saturazione e si ricorre allo swap su disco. In commercio esistono altri dischi NVMe con prestazioni analoghe, tra cui i Samsung 960 EVO/PRO o il Patriot HellFire, tutti con connessione M.2. Purtroppo Apple ha deciso di saldare l’SSD sulla scheda logica, per cui non si avrà la possibilità di eseguire un upgrade in futuro. Non se ne sentirà sicuramente il bisogno per la velocità, ma nel medio/lungo termine poteva essere utile aumentare lo spazio di archiviazione. Visto che ciò non sarà possibile è opportuno valutare con più attenzione la capacità in fase d’acquisto, perché i 256GB del modello base da 15″ non mi sembrano adeguati per l’uso avanzato cui il computer è indirizzato, specie nel caso in cui non si voglia ricorrere troppo spesso a dischi esterni e adattatori.

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I test di Geekbench che vedete qui sopra sono i migliori che io e Luca siamo riusciti ad ottenere con i nostri rispettivi MacBook Pro 15″. Grazie alle CPU i7 quad-core la differenza rispetto i modelli da 13″ è enorme, ed è una precisa scelta di Apple quella di creare una netta distinzione tra i due: il più piccolo è destinato alla portabilità ed è, di conseguenza, votato al contenimento dei consumi; il secondo punta sulle performance e si può quasi considerare come una piccola workstation mobile. La CPU a sinistra è quella da 2,6GHz del modello base (i7-6700HQ) mentre quella a destra è la più potente da 2,9GHz (i7-6920HQ) che è disponibile solo in opzione con un’aggiunta di 380€. Il salto prestazionale è del 10% circa, lascio a voi decidere se valga o meno il prezzo richiesto dall’upgrade (io dico di no). Da notare che la configurazione top “liscia” proposta da Apple monta un terzo processore, ovvero l’i7-6820HQ da 2,7GHz che si posiziona a metà tra i due e richiede sempre un esborso aggiuntivo per passare a quello superiore da 2,9GHz (in questo caso +240€). Tutti e tre condividono la grafica integrata Intel HD 530, che è sufficiente per pilotare il monitor integrato nell’uso semplice del computer, ma si passa subito a quella dedicata nel momento in cui si collega un monitor esterno 4K/5K o si lavora di più con la grafica.

Versioni Predefinito Opzione (€)
BASE CPU i7-6700HQ 2,6GHz i7-6920HQ 2,9GHz (+380€)
GPU Radeon Pro 450 2GB Radeon Pro 460 4GB (+240€)
TOP CPU i7-6820HQ 2,7GHz i7-6920HQ 2,9GHz (+240€)
GPU Radeon Pro 455 2GB Radeon Pro 460 4GB (+120€)

Anche per questa ci sono diverse opzioni, a partire dalla Radeon Pro 450 con 2GB di RAM del mio modello (ovvero quello base), per passare alla 455 che si trova in quello top. In opzione vi è la 460 con 4GB di memoria, che richiede un’aggiunta di 240€ partendo dal primo e di 120€ dal secondo. Apple conferma dunque la sua preferenza per i chip grafici di AMD, essenzialmente perché questi sono ottimizzati per macOS e Metal. Se si analizzano le prestazioni nude e crude c’è un bel miglioramento rispetto la precedente generazione, ma anche una vecchia entry-level NVIDIA (la GTX 950M) supera la Radeon Pro 450. È vero che consuma di più, ma il rapporto con la potenza è comunque a vantaggio della GeForce. La più potente 460 presente nel MacBook Pro di Luca ha ottenuto 78.23fps in Cinebench R15 contro i 70,62 della mia 450, per cui ancora una volta si tratta di un 10% in più. In questo caso, però, potrebbe essere più utile rispetto quello della CPU per via del raddoppio della RAM, il cui apporto è determinante in alcuni ambiti (nel montaggio video si fa sentire).

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In termini di prestazioni nude e crude, vi lascio immaginare cosa succede comparando tali schede con le pur vecchie 970/980M di NVIDIA. Il punto, però, è che fintanto che non si gioca e si lavora con le app native per Mac – come Final Cut Pro X, Affinity Photo e simili – allora si andrà sufficientemente veloci già con la Radeon Pro 450. Anzi, se parliamo di montaggio video ed esportazione in H.264, Premiere perde nettamente (sia su Windows che su macOS) pur avendo a disposizione una GPU più potente. Per cui la scelta di Apple non è affatto insensata, ma conferma questo costante e progressivo allontanamento dalla suite Adobe, che, in verità, vede le colpe equidivise tra i due. Gli ultimi aggiornamenti della Creative Cloud hanno portato il supporto per Metal in alcune app e la cosa aveva fatto ben sperare. Nelle operazioni in real time ho notato che OpenCL continua però ad essere più veloce, mentre nelle esportazioni i due mi hanno dato esattamente lo stesso tempo su questo MacBook Pro. Il Mac Pro 2013 con due FirePro D500 migliora di circa 1/3 nel rendering H.264 su Premiere Pro usando Metal, per cui ci sono alti e bassi ed una ottimizzazione non ancora del tutto efficace.

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In sintesi direi che questo MacBook Pro è ritagliato su misura per l’uso con un limitato set di applicazioni, le quali sfruttano a dovere il suo hardware ed offrono un’esperienza d’uso appagante. Purtroppo io sono profondamente legato alla suite di Adobe in questo momento storico del mio lavoro e devo dire che Lightroom fatica non poco, Photoshop è lentuccio con file grandi e su Premiere Pro anche una TimeLine a 720p con Lumetri Look ed un paio di effetti presenta continui drop frame. In 4K, invece, si vede perennemente il bollino giallo dei frame persi, anche riducendo la qualità dell’anteprima. Facendo la stessa cosa con Final Cut Pro X tutto scorre liscio, in parte per la migliore ottimizzazione, in parte perché questo non offre la stessa trasparenza nella qualità dell’anteprima, riducendola dinamicamente per mantenere la fluidità elevata. Non approfondisco ulteriormente la questione per non divagare troppo, ma vi dico che se per i progetti video lavorativi continuerò necessariamente ad usare Premiere (per via dell’integrazione nella suite CC, la comodità e robustezza dovuta al supporto nativo di LUT, curve, ecc.. e la più efficiente gestione in gruppi di lavoro), sto valutando di riprendere in mano FCPX almeno per i progetti personali e del sito, al fine di valorizzare al meglio questo MacBook Pro.

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Metto in un unico paragrafo alcune considerazioni aggiuntive riguardo le specifiche non ancora trattate, ad iniziare dal comparto audio. Già gli speaker stereo del 13″ mi avevano stupito, ma questi vanno ancora oltre. Anche se vediamo le due griglie ai lati della tastiera, è quasi impossibile capire esattamente da dove provenga il suon, che pare diffondersi dall’intero computer rimbalzando sullo schermo. Il volume è forte, i bassi non mancano e lo stage è ampio. Non è un hi-fi, ma a memoria non mi pare di aver sentito nessun altro portatile suonare così bene, anche quando erano spessi il triplo. Purtroppo quello di Luca riproduceva dei fastidiosi “pop” (non quelli relativi ai driver Windows, che non usa), per cui è ritornato in Apple per una sostituzione.

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Il mio, invece, lo stavo mandando indietro per sospetti problemi alla batteria, ma poi ho realizzato che sono tutti così. Apple è sempre stata molto attenta nel descrivere l’autonomia dei suoi portatili, specificando le attività testate e differenziandoli anche per piccole variazioni. Questa volta ha dichiarato 10h di autonomia per tutti i MacBook Pro 2016, sia 15” che 13”, con o senza Touch Bar. La cosa sembra piuttosto improbabile e, in effetti, lo è. Il più economico dei tre ha una batteria abbastanza ampia e una potenza contenuta, per cui se la cava bene, mentre il 15” dura molto meno nell’uso misto. Con luminosità bassa, Safari e solo siti senza contenuti pesanti può fare quanto promesso, ma chi lo usa così questo computer? A me dura 3h con impieghi pesanti e meno di 5 quando lavoro leggero con testi, navigazione e fotoritocco. Il precedente 15” che avevo non faceva di meglio, per cui la polemica a cui si è assistito non è del tutto fondata, però è logico che scrivendo 10h invece di 7h Apple ha creato delle aspettative fin troppo elevate. In risposta è stato rilasciato un aggiornamento di macOS che ha tolto la possibilità di avere l’autonomia residua espressa in tempo nella barra di stato, giustificandosi dicendo che la stima non era precisa. A me sembra che tutti abbiano sempre saputo il significato di quella utile previsione e capito perché variava in base all’uso del momento, per cui direi che la decisione di Apple di privarci di questa opzione sia stata del tutto fuori luogo. Mettere la testa sotto la sabbia non risolve i problemi.

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Dimenticavo che per l’audio è rimasta l’uscita da 3,5mm sulla destra, che non supporta però più il segnale ottico (come già visto nel 13”), mentre la videocamera FaceTime HD a 720p è solo accettabile, il Wi-Fi AC piuttosto efficiente così come il Bluetooth 4.2.

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Conclusione

Il MacBook Pro 15” 2016 è oggettivamente un computer strepitoso. Il linguaggio stilistico inizia ad essere un po’ stantio, ma in questo modello il corpo è stato visivamente ridotto e i piccoli tocchi dovuti al nuovo colore Grigio Siderale, al Trackpad gigantesco ed alla Touch Bar gli hanno garantito una notevole rinfrescata anche all’esterno. Alcune delle sue principali doti sono state confermate e migliorate, come lo schermo o la tastiera, per non parlare dell’audio, ma ha anche diversi difetti. Il più evidente è sicuramente il prezzo che, giustificabile o meno, parte da sontuosi 2.799€. Se Apple producesse anche un 13” quad-core ad un prezzo inferiore ai 2.000€ la lineup sarebbe decisamente più user-friendly, mentre così chi ha bisogno di prestazioni o di uno schermo generoso è obbligato a spendere una cifra davvero elevata. Dal mio punto di vista anche le GPU scelte rappresentano una limitazione, ma questo dipende dal fatto che mi sono progressivamente allontanato dai software professionali di Apple nel momento in cui l’azienda ha iniziato a trascurarli. Questioni personali a parte – che non incidono più di tanto sulla valutazione – i “problemi” si hanno essenzialmente se si lavora con la Creative Cloud, perché Adobe (come il resto del mondo extra Apple) ha investito per ottimizzare sulla più prestante e promettente architettura CUDA di NVIDIA. E se nel video il problema può essere considerato relativo, perché ormai FCPX è finalmente maturo ed offre buone prestazioni su questo computer, è molto più difficile far allontanare i fotografi da Lightroom ora che Aperture è morto e non è affatto risorto in Foto. E poi Premiere significa anche After Effects e li l’accoppiata FCPX + Motion (che pure apprezzo) non credo regga il confronto. In alcuni casi le alternative ci sono, penso ad esempio al bel pacchetto di Affinity, ma nella maggior parte degli studi con cui ho a che fare, Acrobat, Photoshop, Illustrator e InDesign non si toccano. Per non parlare poi dei reparti di stampa di grandi e piccole aziende. E badate bene che non sto citando settori a caso ma alcuni di quelli dove i Mac sono stati da sempre più presenti. Dai numerosi feedback diretti che ho avuto, devo dire che i progressivi aumenti di prezzo (più pesanti in Italia per via del cambio), rischiano anche di allontanare gli sviluppatori indipendenti, cosa da monitorare per possibili ripercussioni sul futuro della piattaforma iOS (visto che Xcode non si può usare altrove) e dei suoi contenuti al di fuori del mercato mainstream (dove Apple continua a guadagnare e far guadagnare tanto).

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Lavoro su questo computer quasi tutti i giorni da circa un mese e devo dire che se mi soffermo a valutare il rapporto prezzo/prestazioni con alcune app che uso non c’è da essere troppo contenti, ma è ancora una volta “colpa” della GPU perché la CPU va benone. Infatti se tornassi indietro lo ricomprerei, perché escludendo la fatica che fa con Premiere durante l’editing in real time con un po’ di color correction, mi offre una reattività complessiva ed una comodità eccezionali. Se lavorassi solo su quei software tutto il giorno, tutti i giorni, probabilmente mi sarei indirizzato su altro (come sto facendo per la workstation) ma come portatile per la produttività personale avanzata non ha rivali. Inoltre risulta validissimo anche per tutti i professionisti in campo multimediale a cui l’offerta software specificatamente pensata e ben ottimizzata per macOS sia sufficiente per la propria attività. Lo possono usare anche tutti gli altri, ovviamente, a patto di volere questo computer anche per tanti altri motivi. Dopotutto Apple è sempre stata questo e gli acquirenti non la scelgono perché le specifiche tecniche sono migliori a parità di prezzo, ma perché offre un pacchetto di design, ingegnerizzazione, ergonomia, stabilità e supporto che meritano mediamente più rispetto la concorrenza. Tuttavia c’era stato un periodo in cui computer come i MacBook Air risultavano anche economicamente vantaggiosi per la loro categoria, mentre oggi sia i MacBook che i MacBook Pro hanno definitivamente perso questa bella caratteristica.

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Rimangono per molti versi all’avanguardia e Thunderbolt 3, Touch Bar e Touch ID ce lo ricordano, ma ci sono alti e bassi anche lì e ne abbiamo parlato. In tutti i casi bisogna ricordare che parte del merito per l’efficienza di questo computer non è da ricercare nell’hardware ma nel software. macOS inizia ad avvertire qualche acciacco (nutro grandi speranze per Apple File System in arrivo nel 2017), ma rimane un sistema operativo davvero godibile e con alcune piccole-grandi comodità ed app che non hanno rivali su Windows: Alfred, Ulysses, Coda, Tweetbot, Reeder e PDF Expert sono solo le prime che mi vengono in mente tra quelle che uso quotidianamente e che non sono riuscito a rimpiazzare degnamente. Mi vien da dire che se si rimane catturati da questo sistema operativo risulta difficile farne a meno, arrivando a digerire più facilmente alcune scelte poco felici e, in parte, anche il prezzo. Spero che in Apple non dimentichino mai questo loro vantaggio e dedichino più attenzioni a macOS, perché credo basterebbe fare nuovamente l’errore di darlo in licenza a terzi per vedere le vendite dei Mac crollare sensibilmente. Per fortuna è un’ipotesi quasi impossibile, per cui anche quella fetta di utenti insoddisfatti (che ci sono sempre stati e sempre ci saranno, per una ragione o per un’altra), è facile che acquistino il MacBook Pro anche a causa dell’assenza di alternative. Detta così può sembrare un’affermazione fin troppo negativa, ma il punto è che se non si ha fretta si può benissimo rimanere sui precedenti 2014/2015 per ancora un paio d’anni, dando il tempo al mercato di adeguarsi almeno alla USB-C Gen 2 (per la Thunderbolt 3 la questione è più complessa). Tuttavia Apple continua a macinare ordini e su questi computer rimane un tempo di spedizione medio di un paio di settimane, per cui o ne stanno producendo due al mese (difficile) oppure gli scontenti non sono poi così tanti. C’è qualche problemuccio dovuto alla prima edizione, che sia io che Luca abbiamo riscontrato, ma il MacBook Pro 15″ 2016 si fa certamente apprezzare per tantissimi altri aspetti positivi. E no, l’economicità non è tra questi: il modello top con le varie opzioni su CPU, GPU e disco arriva a costare 5000€. Io lo ritengo insuperabile nel complesso, ma se vogliamo guardare solo le specifiche allora è probabilmente vero che per alcune attività un Dell Inspiron da 15″ può essere più veloce (1499€ per i7 quad core con 16GB di RAM, 512GB PCIe e GTX 960M), così come un Razer Blade 14″ (2200€ per i7 quad-core con 16GB di RAM, 256GB e GTX 1060)… insomma, avete capito, ma il punto è che per un computer da scrivania magari si può anche ragionare per sommatoria di componenti mentre ciò non vale assolutamente per un portatile. Ho qualche remora, non lo nego, ma complessivamente il giudizio è certamente positivo.

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PRO
+ Dimensioni compatte in relazione allo schermo
+ Ottima costruzione, molto curata per materiali e finiture
+ Processori validi in tutte le configurazioni
+ Dischi SSD PCIe molto veloci
+ Ampia flessibilità di connessione grazie alle quattro Thunderbolt 3
+ Trackpad Force Touch
+ Nuova tastiera precisa e veloce
+ La Touch Bar ci dà una bella sensazione di un futuro presente
+ Il Touch ID è comodissimo
+ Lo schermo è semplicemente ottimo sotto ogni aspetto
+ Il comparto audio è molto buono

CONTRO
- Prezzi troppo elevati e poca possibilità di configurazione
- Per ora si dovrà convivere con gli adattatori e non sarà sempre economico
- Il Trackpad non è ancora funzionalmente perfetto come quello del 13″ e si rischia più facilmente di toccarlo involontariamente
- Si sente molto l’assenza di un feedback fisico sulla Touch Bar

DA CONSIDERARE
| Le GPU AMD consumano poco e sono ben ottimizzate per macOS, ma troppo inferiori rispetto le NVIDIA
| La batteria con uso medio non raggiunge le 5h
| Questa volta hanno deciso di saldare anche l’SSD…
| Le porte T3+USB-C non sono ancora veramente standard e i cavi lo sono ancora meno: c’è da fare attenzione
| La tastiera risulta un po’ troppo rumorosa in aree silenziose
| Anche la configurazione più potente non regge in scioltezza i programmi della Creative Cloud (ma usate quelli nativi per macOS e non avrete problemi)

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

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