Abbonati all’abbonamento: il software non si compra più, ora si noleggia

Leggi questo articolo grazie alle donazioni di Antonio Martella, Stefano Maria Meconi, Manuel Riguer, Giovanni Pepe, Giorgio Gullotti, Alessio Soraci, Giacomo Fortunati.
♥ Partecipa anche tu alle donazioni: sostieni SaggiaMente, sostieni le tue passioni!

C’era un tempo, per la verità neanche troppo lontano, in cui per lavorare con un Personal Computer si compravamo dei supporti fisici con il software. Oppure eravamo noi stessi a creare ciò che ci serviva, utilizzando i linguaggi di programmazione presenti nel sistema operativo. Appena uno sviluppatore ha deciso di mettere a frutto i propri sforzi vendendo il suo software è nata la pirateria. Anzi, la leggenda narra che nacque un giorno prima. Quando ho aperto la mia prima azienda di grafica ho acquistato diversi programmi, tra cui l’immancabile Photoshop. Al tempo c’era la versione 5.5, il cui CD con chiave per Mac e PC costò circa un milione di lire. Non è stato il più costoso, ve lo posso assicurare, e non vi dico i prezzi che avevano i software destinati al CAD. C’era già un focolaio di software libero ma la battaglia dell’open source non ha mai davvero conquistato i nostri schermi, seppure abbia vinto in ambito enterprise.

cc-max2011

Premiamo su avanti veloce e ritroviamoci nel 2011, anno in cui Adobe annunciò al MAX l’abbonamento Creative Cloud, affiancandolo alle normali licenze perpetue e divenuto esclusivo due anni più avanti. Non è stata la prima a proporre una soluzione del genere ma è stata certamente quella che ha avuto un impatto maggiore nel mondo informatico, sia per notorietà che diffusione. Sempre nel 2013 Microsoft ha presentato il piano in abbonamento Office 365 e da lì in poi si perde il conto di quanti li hanno seguiti. Il passaggio da acquisto a noleggio, da possesso a usufrutto, da software a servizio, si è diffuso ancor di più negli ultimi due anni, essendo adottato sempre più spesso anche dai piccoli sviluppatori. Proprio ieri abbiamo segnalato sui social che anche Ulysses, che uso personalmente per scrivere (anche in questo momento), ha deciso di adottare la medesima strategia.

ulysses-pagamento

Il nostro utente Davide ci ha scritto una mail per sollecitare una nostra riflessione ed è quello che vorrei fare, ma non è facile valutare un cambiamento nel momento stesso in cui lo si sta vivendo. Come utenti noi possiamo decidere se dare i nostri soldi a chi ha sviluppato un determinato software, ma è una leva che diventa sempre meno forte mano a mano che questo cresce di notorietà e acquista consenso. Una piccola app difficilmente si proporrà con soluzioni simili, soprattutto quando ha dei competitor altrettanto validi rimasti con il più apprezzato sistema dell’acquisto, ma se diventano punto di riferimento allora sono dolori.

1password-piani

Perché si sta andando in questa direzione? La risposta breve è: conviene agli sviluppatori. La risposta lunga, invece, ce l’avremo solo tra qualche anno. Vedo che gli utenti non apprezzano il passaggio agli abbonamenti ma sono incline a pensare che ciò non sia sufficiente per trarre conclusioni. Alle volte i cambiamenti a cui abbiamo resistito si sono rivelati utili nel lungo periodo. Grazie all’autenticazione in fase di avvio le app sono meno piratate – tranne quelle più importanti per cui i cracker si adoperano comunque – ma si tratta ancora di un vantaggio per gli sviluppatori. Se tutte le app richiedessero un canone saremmo più invogliati a ridurre il numero di quelle che usiamo, così da mantenere più ordine nei computer… ma anche questa ricaduta positiva per l’utente sembra tirata per le orecchie. Devo essere sincero: io non ci vedo davvero nessun aspetto vantaggioso per il privato. Per le aziende, al contrario, l’idea di pagare un canone che includa aggiornamenti, assistenza e supporto non mi sembra una cattiva cosa, anzi. Spulcio nel mio Mac proprio ora e vedo una serie di icone che mi costano un tanto al mese. C’è Evernote, 1Password, il pacchetto Office, il pacchetto Creative Cloud, Parcel, Alfred, TextWrangler e ora anche Ulysses. Se a questi ci aggiungo anche le app iOS come Infuse e PocketCasts, e poi anche i servizi quali Spotify, Dropbox, PlexPass, Netflix, NowTV, iTunes Match, iCloud, Spreaker, ecc.. mi viene la febbre. Ho davvero paura di fare la somma. Quasi quasi era meglio quando ci si lamentava per i costi di luce, gas e telefono, perché se oggi consideriamo quanto si spende per essere connessi, a casa e in mobilità, e per tutti i software ed i servizi correlati c’è da rimanere basiti. Forse l’idea di Setapp di creare una sorta di Netflix per le app è quella giusta, ma difficilmente prenderà piede fintanto che non vi saranno nomi importanti. Non dico Adobe o Microsoft, ma di software di rilievo che non si possono comprare separatamente al momento non ne vedo. In tutti i casi si tratterebbe di un abbonamento per abbonamenti…

software-for-rent

Ci sono diverse riflessioni che si possono fare, ognuna a suo modo valida. Come quella che ci propongono gli sviluppatori, dicendoci che tanto una major release all’anno la rilasciano e visto che ormai tutti i software bene o male usano servizi cloud e devono essere aggiornati, allora tanto vale pagare un abbonamento mensile piuttosto che acquistare il nuovo ogni anno. Che sembrerebbe la stessa cosa ma in realtà a loro fornisce un flusso di cassa più regolare e costante, una base molto più solida su cui continuare a lavorare per bugfix e miglioramenti. Ma ci sono situazioni più delicate, come quelle di chi usa sistemi di memorizzazione proprietari che rimangono necessari per continuare ad accedere ai contenuti che noi stessi abbiamo creato. L’esempio più tipico sono i file delle app di Adobe, che anche se vengono letti da alcuni software di terze parti non sono mai al 100%, oppure anche il catalogo di Lightroom. Pensate a chi ha decine di migliaia di foto lavorate se può permettersi di ripartire da zero dai RAW per la necessità di cambiare software. E poi c’è il discorso di chi non ha bisogno di aggiornare perché si trova già bene con la versione dell’app che usa. Giusta osservazione ma purtroppo non più tanto valida. Ormai sia i sistemi operativi desktop che mobile si aggiornano con cadenza annuale e per rimanere al passo anche le app devono adeguarsi, per cui c’è lavoro di sviluppo che va in qualche modo retribuito. La verità è che ora gira tutto molto più velocemente e temo che l’idea di software che abbiamo sedimentato in decine di anni stia per andare a farsi friggere. Forse definitivamente.

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

Commenti controllati Oltre a richiedere rispetto ed educazione, vi ricordiamo che tutti i commenti con un link entrano in coda di moderazione e possono passare diverse ore prima che un admin li attivi. Anche i punti senza uno spazio dopo possono essere considerati link causando lo stesso problema.