Leak ai confini della legalità: quando la goccia diventa una cascata

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In inglese, col termine “leak” viene definita una perdita, mentre nella sua forma verbale s’intende l’atto di perdere. Viene utilizzato soprattutto nell’idraulica, quando ci si riferisce ad una perdita d’acqua, che può pure essere una goccia dal rubinetto. Ci sono poi i significati secondari, come quello volgare associato all’atto di fare plin plin e quello professionale legato invece alla fuga di informazioni non destinate al pubblico, o quantomeno non proprio nel momento in cui avviene la fuoriuscita. Tutte le realtà, governi o aziende che siano, cercano in qualsiasi modo di prevenire tali eventi, che possono seriamente influenzare il futuro delle proprie attività. Non di rado il condizionamento è in positivo, aiutando a catturare maggiore curiosità e simpatia da parte dei potenziali utenti, per questo si sospetta che molti leak siano in realtà intenzionali. In generale, però, nessuno vuole correre il rischio di bruciare un prodotto anzitempo, rischiando di vedersi trasformare la goccia dal rubinetto in una vera cascata. Più l’azienda tiene alla segretezza, più le informazioni che ne possono trapelare sono preziose e soggette a tentativi di accesso. Apple rientra certamente in questo caso.

Sin dal rientro di Jobs nel 1997, si è cercato quanto più possibile di prendere contromisure verso eventuali leak. Pensiamo a quando l’iPhone era in sviluppo: vi erano ogni tanto dei rumor su un possibile cellulare a marchio Apple, ma con ben pochi dettagli e tanta fantasia. Il team di sviluppo era in un edificio a parte, con addetti alla sicurezza, badge d’ingresso, coperture e regole precise per parteciparvi. Nessuno era autorizzato a parlarne al di fuori, nemmeno in famiglia. Il poco riuscito Motorola ROKR, il telefono con iTunes, fu utile poi a sviare per un po’ dalle reali intenzioni della mela. Analoga attenzione alla segretezza si assistette nel passaggio dei Mac da PowerPC ad Intel. Anche in quel caso, qualche indiscrezione di tanto in tanto usciva, tuttavia la fiducia pubblica sull’architettura PowerPC rimaneva così alta che non si presagiva nulla nel breve termine. Cosicché nel 2005 l’annuncio alla WWDC permise Jobs di ottenere l’effetto sorpresa desiderato.

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Possiamo far risalire i primi importanti scricchiolii nel culto della segretezza al 2010, con la famosa vicenda del prototipo di iPhone 4 smarrito e successivamente acquistato da Gizmodo per mostrarlo con largo anticipo rispetto la presentazione ufficiale. Jobs prese molto male la vicenda, rafforzando la sicurezza attorno ai prototipi e penalizzando pesantemente la testata nei suoi rapporti con Apple, situazione trascinatasi anche per alcuni anni dopo la morte dello stesso Steve. Da lì in poi, però, si rivelerà l’inizio di una lunga serie di fuoriuscite, soprattutto con la discesa in campo di Mark Gurman. Dapprima su 9to5Mac e dallo scorso anno su Bloomberg, il giovane reporter californiano ha spesso svelato le caratteristiche dei futuri dispositivi Apple, anche molti mesi prima della presentazione. In aggiunta, gli analisti economici come Ming-Chi Kuo sono cresciuti nettamente nelle loro predizioni, costruendosi una rete di informatori sempre più affidabili.

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Ma perché avvengono questi leak? Cosa c’è dietro a tale fuga di notizie, software e talvolta componenti? Il giornalista o l’analista sono i frontman di un processo che avviene dietro le quinte, fatto di contatti più o meno interni e negoziazioni. Tanti rapporti, sia personali che professionali, sono in gioco, alcuni destinati a rafforzarsi, altri destinati a rompersi. Quanto scrissi oltre 6 anni fa resta valido:

I prodotti non ancora pronti al rilascio, in qualsiasi forma, trapelano sì al di fuori dell’azienda, ma a volte solo a pochi, che conservano queste versioni per sé e le condividono solo tra loro. A quel punto, scattano veri e propri legami di fiducia, del tipo: io ti do questa cosa, ma a patto che non venga divulgata. Io stesso, anche recentemente, sono stato soggetto a vincoli di questo genere. Accade però che qualcuno possa non rispettare i patti, e ciò che doveva rimanere “per pochi eletti” finisce alla portata di tutti. Ciò ovviamente comporta una violazione di quella fiducia accordata all’inizio, il che significa liti, cessazioni di scambi e anche, nel caso, rotture di amicizie.

Certo, ci sono anche i casi non voluti. Il firmware di HomePod rientra in tale categoria. Un dipendente poco attento deve aver premuto il pulsante sbagliato in qualche portale interno Apple e il pacchetto è finito per errore sul canale dei rilasci pubblici anzitempo, con tutte le conseguenze che abbiamo visto. Il caso della Golden Master di iOS 11 appare diverso e intenzionale, dato che i file d’installazione non solo sono stati offerti ad alcune testate internazionali, ma pubblicati poi in rete. Sulla fonte, ci sono varie ipotesi in gioco. Alcuni, come John Gruber di Daring Fireball, sostengono si tratti di un dipendente Apple malintenzionato. Possibile, ma sembra difficile immaginare una persona che compie un’azione del genere solo per dispetto all’azienda presso cui lavora. Oltre alle conseguenze legali del caso, si porterà un marchio d’infamia a vita, che gli pregiudicherà tanti lavori, e non solo nel settore tecnologico. Più lecito secondo me pensare eventualmente a quello che in termini calcistici potrebbe essere definibile un passaggio al compagno sbagliato. Sei un dipendente Apple, vedi che i file IPSW della build finale di iOS 11 sono pronti e magari ti va di condividerli con un amico che ritieni fidato. Lo fai e quel bell’amico ti mette invece nei guai. Questo discorso l’ho fatto coinvolgendo un generico dipendente Apple, ma potrebbe essere un altro di coloro che hanno accesso anticipato alla Golden Master, come gli operatori telefonici (per i loro ultimi test) e Foxconn (per l’installazione in fabbrica sugli iPhone). Non toglierebbe la responsabilità dell’errore né i guai in tribunale, ma è già un po’ diverso dall’aver effettuato il leak pubblico in prima persona.

Un altro dibattito caldo è però se parlarne o meno, di questi leak. La questione in effetti si presenta complessa. Partiamo dal presupposto che se si ottenesse un prodotto, hardware o software, non destinato al pubblico si starebbe maneggiando un segreto industriale, questo a prescindere che lo si sia ottenuto dietro esplicita autorizzazione o meno, come nel caso della GM di iOS 11. La conseguenza più chiara è che non se ne potrebbe parlare, salvo, anche in questo caso, consenso da parte dell’azienda produttrice. Non vale nemmeno il fatto di non aver firmato un accordo di non divulgazione: il copyright viene prima di tutto. Se però si ha una testata online, oppure si collabora con essa, come si fa a resistere alla tentazione dello scoop? Ritengo che la posizione delle pubblicazioni di settore sulla vicenda di questo weekend sia stata ben riassunta da Federico Viticci di MacStories:

Anche se ciò ha sicuramente tolto gran parte dell’effetto sorpresa per l’evento del 12 settembre, 9to5Mac ha voluto cogliere l’occasione ed è difficile dare loro torto sul piano professionale. Si tratta di uno di quei casi in cui il diritto di cronaca non dovrebbe prevalere sul copyright, ma all’atto pratico lo fa. Fa parte di quel gioco che le aziende, volenti o nolenti, devono accettare anche quando non va a loro favore. Occorre inoltre ben distanziarlo dal caso di Gizmodo, in cui il prototipo smarrito venne acquistato dalla persona terza che se lo portò a casa, aprendo a serie conseguenze penali. In aggiunta a ciò, 9to5Mac avrebbe potuto trovare un’ulteriore scappatoia lasciando a un altro, per esempio Steven Troughton-Smith, il compito di pubblicare per primo le scoperte e limitarsi semplicemente a riportarle in seconda battuta. Ad ogni modo, è altamente improbabile che Apple si metterà a sfoderare la sua schiera di avvocati contro 9to5Mac, rischiando di rimetterci in immagine. Il massimo che i redattori potranno rischiare è di non poter più ottenere gli accrediti per i keynote, così come unità per le recensioni. Le responsabilità legali e morali ricadranno pressoché tutte sull’autore materiale del leak, insieme all’eventuale persona che l’ha messo in condizione di farlo. Hanno creato un danno ad Apple (sulla cui effettiva entità si potrà più in là discutere) e soprattutto a loro stessi, esponendosi a conseguenze negative durature. Sostenere che l’azienda di Cupertino dovrebbe punire necessariamente e severamente i reporter è sbagliato, nonché pericoloso. Comportamenti vendicativi di questo genere lasciamoli ad appannaggio esclusivo delle dittature, in cui per fortuna non viviamo.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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