Recensione: MacBook Pro 13″ (2017), Escape from the Touch Bar

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Nel 2016 ho provato il MacBook Pro 13″ (recensione), ma alla fine ho scelto il 15″ (recensione) per la maggiore potenza e per provare l’interessante novità data dalla coppia Touch Bar + Touch ID. Considerate le dovute differenze mi sono piaciuti entrambi, ma sapevamo che in quanto primi esemplari di una nuova generazione ci sarebbe stato qualche intoppo (leggete questo articolo se non ci credete).

Personalmente ho avuto un problema con la tastiera (si era incantata una lettera) e poi ancora con lo schermo (graffiato dai suoi stessi tasti). Per fortuna Apple ha fatto il suo dovere riparando entrambi e ho dunque optato per la prevenzione utilizzando un panno protettivo. A distanza di un anno, al netto dei due inconvenienti non posso dire che non sia stato un buon portatile il 15″, ma due delle negatività che avevo identificato all’inizio si sono dimostrate piuttosto impattanti nel mio uso quotidiano.

La prima è quella degli adattatori, che hanno rappresentato una spesa niente affatto trascurabile per me che voglio – e devo – essere pronto a tutto. A parte questo, senza voler considerare la scomodità di portarsi dietro cavi e hub, il vero fastidio è stata l’accoppiata Thunderbolt 3/USB-C. Se la prima è una naturale evoluzione rispetto la precedente generazione, la seconda è un vero disastro. Disastro che, per giunta, impatta anche sull’efficienza della Thunderbolt 3. Chiunque abbia provato a lavorarci con tanti dispositivi in cascata, come monitor o DAS, avrà scoperto che si possono riscontrare difformità di standard ma anche di stabilità. In pratica i difetti della USB sono arrivati ad impattare anche sulla Thunderbolt, che fino alla seconda versione era più efficiente. Capita infatti di trovarsi adattatori non compatibili oppure che si sconnettono e richiedono un riavvio per funzionare nuovamente. Un esempio tipico è quello degli schermi esterni, che non sempre si risvegliano dallo stop insieme al computer se si passa da un adattatore DisplayPort o HDMI. Capisco bene quanto fosse allettante l’idea di un unico connettore, ma

Thunderbolt e USB dovevano rimanere separate

Fintanto che è stato così le cose andavano molto meglio, mantenendo una netta distinzione tra la porta del popolo (USB) e quella professionale (prima Firewire e dopo Thunderbolt). Invece oggi abbiamo questo minestrone in cui le porte sono tutte uguali ma anche diverse e i cavi… beh, non ne parliamo (perché l’ho già fatto).

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La seconda è l’assenza di un feedback fisico sulla Touch Bar. In poche parole, il Taptic Engine. Su iPhone questo ha consentito di far sembrare un vero tasto quello che in realtà non lo è, dando l’impressione molto realistica della pressione. Già una cosa del genere avrebbe aiutato i tanti che usano la tastiera senza guardare, ma non sarebbe stato comunque abbastanza. Se devo essere del tutto sincero

a me la Touch Bar così implementata non è piaciuta

Esteticamente è bellissima, dà un tocco di cool-tech che fa la sua porca figura, ed ha anche introdotto nuove funzionalità utili in alcuni software. Quello che non mi piace affatto è che abbia sostituito la prima riga di tasti e non sia stata semplicemente aggiunta. Sicuramente è una valutazione personale legata a doppio filo con i software che uso e la mia tendenza a sfruttare tutte le shortcut per velocizzare il lavoro, cosa che è stata un vero incubo con la Touch Bar.

I pochi vantaggi che ne ho ottenuto con Foto o per l’autenticazione rapida, sono stati surclassati dalle innumerevoli scomodità, causando non poche imprecazioni. Avrei preferito un trackpad leggermente meno alto in modo da ricavare lo spazio per aggiungerla sopra i tasti funzione, insieme all’utile Touch ID. Devo comunque dire però di non averne sentito troppo la mancanza sul MacBook Pro 13″ (2017) con 2 porte Thunderbolt grazie allo sblocco del computer con Apple Watch, seppure con il sensore si potessero fare molte più cose.

Verso la fine del 2017 mi sono ritrovato ad avere minori necessità di potenza in mobilità e per questo motivo, unito anche alla voglia di maggiore compattezza, sono ritornato sullo schermo da 13″. Ciò mi ha consentito di fare una scelta, difficile ma al tempo stesso consapevole: comprare il modello senza Touch Bar. L’ho trovato in offerta a 1520€ su Amazon con 256GB di storage invece dei 128GB di base, che sono comunque un po’ pochi ma ho deciso di accontentarmi in ottica di risparmio. Il resto delle specifiche primarie le riassumo in questa tabella:

Modello MacBook Pro 13″ (2017)
CPU Intel Core i5 2,3GHz (i5-7360U)
GPU Integrata Intel Iris Plus 640 (fino a 1,5GB di RAM di sistema)
RAM 8GB (2x4GB) LPDDR3 2133MHz
SSD PCIe 256GB NVMexpress (credo Toshiba)
Porte 2 x Thunderbolt 3 (USB-C 3.1 Gen 2)
Batteria 54,5 wattora con 10h di autonomia massima

Dopo circa due mesi di utilizzo devo dire di esserne felicissimo. Non ci sono grandi possibilità di miglioramento su questo esemplare e la CPU arriva massimo ad un i7 dual core, ma se si considerano le dimensioni e l’autonomia direi che il bilanciamento è molto buono. A chi non piacerebbe avere scheda grafica dedicata (magari una delle nuove soluzioni Intel G), 32GB di RAM e un quad-core in uno spazio del genere, ma poi l’autonomia e i costi sarebbero completamente fuori scala (almeno per oggi, si intende). L’incremento di prestazioni della CPU rispetto al medesimo modello dello scorso anno è nell’ordine del 20% in single core e arriva a superare il 25% in multi-core. Siamo sempre nel range di un computer personale o da ufficio, con il quale le attività impegnative sono possibili ma devono essere l’eccezione. Ad essere sinceri ho provato a lavorarci per un po’ solo con software nativi per macOS e c’è da rimanerne abbastanza colpiti.

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Geekbench 4 CPU a confronto

Se si usano solo iMovie, Foto o magari anche Pixelmator e le app di Affinity, si viaggia incredibilmente bene. Purtroppo con i software multipiattaforma più diffusi le ottimizzazioni sembrano preferire sempre l’OS di Microsoft ed è una cosa da tenere in considerazione. Personalmente intendo il portatile da 13″ come un coltellino svizzero: è troppo poco potente per il mio lavoro ma è ampiamente a suo agio per tutto il resto. A differenza dei MacBook può essere spremuto, si sentiranno le ventole girare ma almeno si può eseguire un rendering, una conversione video ed altre attività senza incorrere facilmente nella riduzione conservativa delle performance.

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Cinebench R15 a confronto

Gli 8GB di RAM possono sembrare un limite e sicuramente lo sono per le attività più impegnative, ma non per quelle cui un computer del genere è destinato. Ormai ci lavoro da un paio di mesi e, complice anche la dimensione più contenuta e l’assenza della Touch Bar, lo adopero molto di più e con maggiore soddisfazione rispetto al 15″. Ovviamente sarei costretto a ritornare sul modello più grande se avessi di nuovo bisogno di elevate prestazioni in multi-core e maggiore memoria, ma al momento sto decisamente bene così.

Comunque uno degli aspetti più importanti nella mia esperienza è stato un altro: la tastiera. Non potete immaginare quanto sia stato felice di riavere il mio amato tasto Esc fisico nella sua naturale collocazione. Rispetto al modello del 2016 il miglioramento è evidente, i tasti sono meno rumorosi e soprattutto più comodi. La corsa non è tanto più lunga, ma la risposta è nettamente più precisa, cosa apprezzabile da chi scrive molto come me.

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Geekbench 4 OpenCL a confronto

Il prossimo passo sarà quello di provare una eGPU via Thunderbolt… ovviamente una NVIDIA. Sul 15″ mi sembrava un po’ uno spreco visto che già aveva una scheda grafica dedicata (anche se di AMD e per il mobile), mentre con il 13″ la vedo più intrigante come soluzione ed è per questo che mi sto attrezzando per fare un test approfondito nei prossimi giorni.

Un altro punto di forza del 13″ rispetto al 15″ è nella minore richiesta di Power Delivery via USB-C. Bastano infatti 61W per ricaricarlo a pieno regime e questo mi ha consentito di usare un secondo alimentatore di Inateck fuori casa ed anche un powerbank di dodocool in mobilità. Questo ha reso gli spostamenti e l’uso in mobilità molto più comodi.

Conclusione

Quando ho iniziato a scrivere questo articolo non c’era la parola “recensione” nel titolo e probabilmente ve ne sarete accorti dalla struttura meno schematica è in più in forma di racconto personale. In effetti volevo solo condividere alcune riflessioni su questo che ormai è diventato il mio portatile di tutti i giorni, ma alla fine ho pensato che il resto delle informazioni non scritte sono già ampiamente note. Per un buon 80%, infatti, è identico al 13″ del 2016 che ho già recensito e le poche differenze sono tutte in positivo. Si parte con un design ancora eccellente ed una costruzione impeccabile, per poi soffermarsi su uno schermo semplicemente perfetto. Beh, in realtà un difetto ce l’ha, ovvero quello di avere un rivestimento non robusto come il vetro che si aveva sui primi Retina, per cui sto usando anche qui la protezione sui tasti. L’audio stereo è molto buono, difficile pensare che venga fuori da uno chassis così compatto, che, a proposito, è un altro punto forte del MacBook Pro 13″. La CPU è nella media ma non teme qualche saltuario carico impegnativo, a patto di non infastidirsi per la rumorosità delle ventole. È molto probabile che il prossimo refresh sarà più interessante in tal senso, dato che Intel con Kaby Lake Refresh ha esteso i quad-core anche alla serie U. La GPU integrata è sufficiente ma nulla più e purtroppo non è ancora possibile pensare ad una soluzione con grafica RX Vega M visto che si parte da 65W TPD contro i 15W dell’attuale. Il disco è super veloce, direi che ormai siamo passati da un eccesso all’altro avendo raggiunto performance persino al di là del necessario, e l’autonomia è davvero soddisfacente. Il prezzo rimane elevato, c’è poco da fare, ma la cosa che trovo davvero assurda è l’assenza del lettore di SD. Non penso che per questo si possa scartare il MacBook Pro dalla lista degli acquisti, visto che un lettore USB-C buono si compra per meno di 20€, ma io avrei rinunciato volentieri a 10 minuti di autonomia – dovuti ad una piccola riduzione di superficie della batteria – per averlo integrato (magari uno UHS-II come sull’iMac Pro). Maggiore libertà di configurazione su questo modello sarebbe una cosa gradita nel futuro e ci sono anche tanti vorrebbero uno schermo 15″ senza i costi aggiuntivi dovuti a Touch Bar e GPU discreta, ma si sa che Apple non fa quasi mai quel che vorremmo. Però potrebbero forse realizzare un MacBook 14″ per chi non avesse necessità importanti in termini di calcolo ma gradirebbe un display più generoso. Detto questo, il punto su cui si deve riflettere è la limitazione a sole due porte Thunderbolt. Vista la multifunzionalità delle stesse non è stato quasi mai un problema per me, tuttavia per tre stagioni all’anno considero il portatile solo come una comodità per l’uso nomade, mentre il 90% del mio lavoro lo svolgo sempre da desktop (esclusi quindi i tre mesi estivi). Con due porte si riesce a collegare facilmente un paio di dischi e un monitor sfruttando hub e adattatori e si può andare oltre con un dock dedicato, ma sembra un uso decisamente fuori target per questo portatile. Si possono avere altre due porte passando al 13″ con Touch Bar… ma la mia risposta è: no, grazie, no. Sono davvero contento di riavere il mio amato tasto Esc.

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PRO
+ Peso e dimensioni davvero contenute
+ Costruzione e ingegnerizzazione di altissimo livello
+ Display eccellente
+ Tastiera sempre più comoda e precisa
+ Trackpad Force Touch ampio e funzionale
+ CPU e GPU di discreta potenza e ridotti consumi
+ SSD NVMe dalla velocità imbarazzante
+ Buona autonomia
+ Ha solo 2 porte, ma sono le più avanzate e veloci

CONTRO
- Prezzo elevato
- Non c’è il lettore di SD
- Le porte T3/USB-C sono potenti e flessibili ma costringono all’uso continuo di adattatori

DA CONSIDERARE
| Non c’è la possibilità di configurarlo con hardware molto performante
| L’uscita audio non supporta più il segnale ottico/digitale
| Stabilità e compatibilità dello standard T3 unito alla USB-C tutto da rivedere

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.