Mark Gurman: i Mac inizieranno nel 2020 la transizione da Intel ai chip Apple

«It’s true!»: con questa frase alla WWDC 2005 Steve Jobs ufficializzò quello che già da un po’ di tempo si rumoreggiava presso la stampa e gli stessi addetti ai lavori. I PowerPC erano ormai giunti alla fine della loro corsa, quantomeno per quel che riguardava il settore consumer (in ambito server sono tuttora vivi e vegeti); IBM non era riuscita più a migliorarne le prestazioni, ma soprattutto a portare i 64-bit sui notebook, che in quel periodo sul versante x86 stavano iniziando ad arrivare, per la verità grazie ad AMD. Dal canto suo, oltre a preparare la vendetta nei confronti degli Athlon 64, Intel forniva ad Apple la soluzione ideale per garantire un sereno futuro ai Mac, con una roadmap ben definita. A favorire il grande passo era l’esperienza pregressa a Cupertino in fatto di cambi di piattaforma, quando passarono nei primi anni ’90 da 68k a PowerPC, e la lunga preparazione dietro le quinte con la  La storia di com’è andata la transizione, e soprattutto del suo successo, è storia nota.

Andiamo ai giorni nostri, dove la situazione è drasticamente mutata. Anche proprio grazie ad Apple, che scelse di basare l’iPhone su tale architettura, ARM ha preso rapidamente piede nel settore mobile, con un rapporto prestazioni/consumi rimasto impareggiabile per x86. Già da qualche tempo Intel ha gettato la spugna per quel che riguarda i processori da smartphone, concentrandosi perlopiù sui chip di rete e dando per il resto priorità agli sforzi sui computer tradizionali, dove x86 ancora fa da padrona in termini di performance pure. Le mire di ARM, tuttavia, non si sono limitate a telefoni e tablet. È una realtà consolidata in parecchi dispositivi embedded, inclusi quelli che rientreranno nell’Internet delle cose (IoT), in numerosi altri prodotti multimediali e sta gradualmente facendo sentire la sua presenza anche in ambito server. Ogni azienda ha le sue personalizzazioni, ed Apple non fa eccezione in ciò, anzi, ma l’architettura alla base resta quella fornita da ARM.

Non è certo da oggi che si parla di una nuova transizione per i Mac. La crescente potenza dei SoC Apple, che non solo si avvicinano sempre più alle soluzioni x86 ma lasciano di stucco gli altri concorrenti ARM-based, Qualcomm in primis, ha reso la questione più basata sul quando che sul se. Una mossa del genere avrebbe grandi benefici per l’azienda guidata da Tim Cook, che potrebbe portare sui computer quell’ottimizzazione ancor più stretta già presente negli iDevices. Ci sarebbe maggiore controllo sulla sicurezza del sistema, non dovendo fare i conti con componenti esterni salvo quelli di rete (anche lì, per quanto ancora?), e metterebbe inoltre la parola fine agli hackintosh.

Avvisaglie di un cambio di rotta Apple le ha già date dal 2016, col chip T1 integrato nei MacBook Pro con Touch Bar, che oltre a gestire quest’ultima si occupava pure del sensore Touch ID integrato e di altre funzionalità di sicurezza. Con gli iMac Pro, il T2 ha ulteriormente alzato il livello d’integrazione nel prodotto accentrandovi molte delle caratteristiche prima sparse su più chip separati. Un’ibridazione destinata a concludersi nel medio-lungo termine, stando al nuovo report di Mark Gurman su Bloomberg, perché il progetto per passare la gamma Mac ai SoC Ax è stato internamente avviato.

Il nome in codice sarebbe “Kalamata” e rientrerebbe in una strategia generale che vedrebbe i dispositivi Apple operare sempre più in sinergia tra loro, con una piattaforma di fondo in larga parte condivisa sia dal punto di vista hardware che software. Non a caso, la riuscita dipenderebbe moltissimo dalla buona riuscita di un altro progetto, “Marzipan”, che Gurman aveva descritto per la prima volta a fine 2017. Prevista per iOS 12 e macOS 10.14, permetterebbe ad entrambi i sistemi operativi di eseguire le medesime app, indipendentemente dalla CPU adottata e adattandosi automaticamente al device in uso. Con “Marzipan” gradualmente a regime, Apple potrebbe entrare nella fase esecutiva di “Kalamata”, prevista a partire dal 2020. Essendo una transizione molto delicata, non avverrebbe dal giorno alla notte e forse sarà ben più lenta di quella avvenuta tra PowerPC e x86, che è durata pochi anni, addirittura mesi se contiamo la sola parte hardware. Non desta sorprese leggere che sarebbero i MacBook i primi ad essere coinvolti dal cambio; la sfida maggiore risulterebbe proseguire coi desktop, dove i SoC Apple dovranno per quel periodo aver compiuto importanti balzi in avanti per equivalere ed infine superare le soluzioni Intel.

Parliamo comunque di almeno oltre due anni di attesa per i primi frutti, verosimilmente coinvolgendo il chip A14 se verrà mantenuta la numerazione progressiva, e nel frattempo sarà business as usual con Intel, limitando l’impiego di ARM ai coprocessori T. Una loro nuova versione è prevista per i prossimi Mac Pro, oltre che per i futuri portatili Apple. Gurman tiene a sottolineare come i piani per la transizione possano cambiare ed essere cancellati: difficile, se si considerano i potenziali benefici descritti più sopra. Aggiungendoci che pure Google e Microsoft stanno sempre più guardando ad ARM per il futuro (non è quindi da considerare già scontata l’assenza di Boot Camp nei Mac ARM), lo scenario appare più che favorevole alla mela, aprendo potenzialmente ad un altro interrogativo legato stavolta alla sorte di x86. Ma su questo avremo modo di ritornarci a tempo debito.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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