La “Developers Union” chiede ad Apple di rivedere le politiche su trial e spartizione dei ricavi

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App Store, gallina dalle uova d’oro per Apple e sviluppatori, ma anche aspro terreno di confronto tra le due parti. Negli anni le politiche praticate dall’azienda di Cupertino hanno spesso suscitato rimostranze: in alcuni casi sono stati apportati degli effettivi miglioramenti, mentre in altri la posizione non è stata modificata di un millimetro. La controversia più recente è relativa alla disparità di trattamento percepita tra le app a pagamento singolo, anche in-app, e quelle su abbonamento, con la costituzione di una Developers Union che con una breve lettera aperta online chiede ad Apple di ridurre o azzerare queste differenze.

L’associazione è ancora piccola, ma la speranza dei promotori è di crescere rapidamente nelle adesioni in modo da far sentire la propria voce negli uffici dell’Apple Park: l’obiettivo è di arrivare a quota 200.000 firme entro inizio giugno, in prossimità della WWDC 2018, un traguardo probabilmente fin troppo ambizioso per le tempistiche coinvolte. Come spiegano gli autori dell’iniziativa a WIRED, la volontà principale al di sopra di tutto è quella di dare risalto alla grande comunità di sviluppatori indipendenti che anima e ha fatto molte delle fortune dell’ecosistema iOS. A dispetto del nome “Developers Union” e delle mosse fatte, viene reiterato come non vi sia alcuna intenzione di tramutarsi in un’organizzazione sindacale vera e propria (la parola “union” in inglese tra i significati ha anche quello di sindacato).

Due sono i punti su cui verte la protesta nei confronti di Apple. Il primo è relativo alle trial gratuite, permesse attualmente solo per le app con piani a sottoscrizione, al contrario di altri negozi digitali come il Play Store che invece permettono a qualsiasi sviluppatore di prevedere un periodo di prova per il proprio software, dando così agli utenti la possibilità di saggiarne le potenzialità senza acquistare a scatola chiusa. Il secondo punto della discordia è invece sulla spartizione dei ricavi. A partire dal 2016, Apple ha rivisto le proporzioni percentuali da 70/30 ad 85/15, ma anche in questo caso solo per le app su abbonamento, che devono inoltre soddisfare la condizione di mantenere i sottoscrittori a lungo termine (minimo un anno). In tutti gli altri casi, il rapporto classico 70/30 resta invariato. A tal proposito, la “Developers Union” non specifica però in maniera chiara cosa intende per una «più ragionevole spartizione dei ricavi».

Per quanto si tratti di un’iniziativa da rispettare, le probabilità che da essa scaturiscano risposte positive da Apple appaiono davvero molto basse. Specialmente per quel che concerne i ricavi: lo schema 70/30 vigente ha portato benefici ad ambo le parti, creando un ecosistema florido e profittevole. La spartizione più aggressiva per le app con abbonamenti è una sorta di eccezione necessaria, dato che per la maggior parte sono legate a grandi aziende, con cui Apple non può affatto permettersi una guerra aperta. Per quanto possa non piacere, il coltello dalla parte del manico ce l’hanno sostanzialmente Cook e Schiller, non gli indie. Un fatto dimostrato anche da quanto i promotori di “Developers Union” hanno raccontato a WIRED, con sviluppatori che li hanno sì incoraggiati nel perorare la loro causa ma al contempo rifiutato di dare appoggio pubblico, dato che Apple è la loro maggiore fonte d’introiti. Molto più condivisibile è invece la proposta relativa ai periodi trial per qualsiasi tipologia di app a pagamento, un aspetto sinora mancante nell’App Store che andrebbe seriamente preso in considerazione. Chissà che magari in Apple non ci abbiano già pensato e intendano parlarne fra qualche settimana a San Jose.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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