Una petizione contro le tastiere dei MacBook Pro: lo sparo nel vuoto 2.0

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Noi consumatori ci illudiamo di avere il coltello dalla parte del manico, dopotutto possiamo liberamente decidere come spendere i nostri soldi e contribuire a determinare il successo, così come l’insuccesso, di un prodotto o un’azienda. Presto o tardi però emerge la consapevolezza che i desideri possono essere quantomeno “indirizzati”. Ognuno di noi avrà sperimentato almeno una volta nella vita la sensazione di desiderare un oggetto visto ad un amico o un parente, e non c’è nulla di male in fin dei conti. Ben più subdolo è ciò che avviene oggi, non soltanto per tramite di quelli che il marketing chiama influencer, a cui possiamo dare un volto e una voce, bensì per i colossi come Facebook, Google, Amazon, ecc… Questi riescono a sapere chi siamo e quali sono i nostri interessi, in parte perché siamo noi a dirglielo (spesso con troppa disinvoltura), in parte con mezzi invasivi e discutibili, come i tracker nascosti nelle immagini o nei cookie.

Ognuno di questi “ambienti” influenza a suo modo le nostre decisioni quanto più siamo disposti a dedicargli tempo ed informazioni, e lo fa senza che ce ne accorgiamo. Per fortuna si sta facendo strada una maggiore consapevolezza grazie ad eventi dal forte impatto mediatico, come quello che ha interessato di recente Facebook e Cambridge Analytica. Tuttavia permane sempre la convinzione di essere immuni alle manipolazioni, di essere più intelligenti per cascarci. In realtà è proprio lì che si dovrebbe capire quanto l’informazione possa manipolare. E non serve che sia falsa o fuorviante, basta semplicemente filtrarla, decidendo cosa farci vedere e cosa no, oppure indirizzarla alla persona giusta nel momento opportuno, nel caso di messaggi con finalità promozionali.

Sapere è il primo passo, ma non basta. Il nostro ordinamento tende ad essere dalla parte dei consumatori, eppure la maggior parte delle persone si arrende di fronte ai problemi, fa spallucce e va avanti. Dal lato opposto ci sono i sempre scontenti, quelli che mettono le recensioni da 2 stelle “per incoraggiare a far meglio” o che scrivono continuamente lettere per lamentarsi di ogni cosa. Ne ho conosciute diverse così e ho notato che spesso ottengono di più. Ottengono maggiore attenzione, in un modo o nell’altro, ma non solo quella. Ipotizziamo che acquistiate un barattolo di merendine (e ve lo sconsiglio) in cui ve ne siano alcune uscite male: lo sapete che potete contattare il reparto consumatori dell’azienda? C’è chi si è fatto le scorte in casa passando la vita a lamentarsi, ma non è certamente il comportamento più comune. A me verrebbe di farlo ogni tanto, di usare il sito per contestare delle aziende che si sono comportate in modo indecoroso, e potrei farlo ma preferisco quasi sempre evitare, altrimenti ci rimetterei in salute. Ogni tanto, nelle situazioni opportune, un po’ di superficialità è persino utile e arrivo a dire che possa rendere la vita migliore.

Ci sono stati tuttavia dei casi in cui mi è capitato di scrivere delle lettere davvero su di giri, di quelle a metà tra l’ironico e l’infuriato, per mettere in chiaro dei comportamenti scorretti di alcuni provider di servizi, che possono essere telefonici, elettrici o altro (evito di scendere troppo nel dettaglio). Non è mai servito a molto onestamente, però riconosco uno sfogo simile quando lo vedo. È il caso della petizione online che sta raccogliendo migliaia di consensi su change.org, scritta da Matthew Taylor ed indirizzata ad Apple.

Oggetto della discordia: le tastiere dei recenti MacBook Pro. Vi invito a leggere il documento, confezionato ad arte per strappare un sorriso e allo stesso tempo incanalare la delusione di quanti abbiano riscontrato i suoi medesimi problemi. Esagera, secondo me, ma il problema è reale e l’ho vissuto in prima persona con un 15″ del 2016 che ho dovuto mandare in assistenza. Successivamente ho avuto altri due MacBook Pro, entrambi del 2017, entrambi da 13″, e il difetto di blocco di alcuni tasti non si è presentato (per ora…). Certo rimane una tastiera rumorosa e con una corsa brevissima, ma negli ultimi esemplari l’esperienza di scrittura è migliorata parecchio e mi ci trovo bene (Touch Bar esclusa). Resta però un fatto che ci siano diversi malfunzionamenti, corroborati da statistiche, e anche se spesso si tratta solo di polvere tra i tasti non vuol dire che non vi sia un difetto di progettazione, anzi, probabilmente è proprio il contrario. Se c’è lo spazio per far passare la polvere e questa può addirittura bloccare il meccanismo direi che qualcuno non ha fatto bene i compiti.

Sulla petizione in sé credo poco e non perché non riconosca il problema ma perché non credo che una raccolta firme online possa cambiare le cose. Temo che ormai siamo del tutto insensibili, bombardati da eventi così drammatici che uno sciopero della fame difficilmente ottiene visibilità. E si sta radicando la convinzione che se non sei visibile praticamente non esisti. Ovviamente io ci spero che la protesta abbia un seguito, più che altro perché se se ne parla anche su siti di un certo calibro (come 9to5MacAppleInsider e Cult Of Mac) la voce non potrà non arrivare ai piani alti di Cupertino. Eppure sono convinto che se mai cambieranno struttura alla tastiera non lo faranno certo per qualche migliaio di consumatori indiavolati ma soltanto se, conti alla mano, il costo delle riparazioni renderà quella attuale antieconomica. Lo so lo so, è un ragionamento da bicchiere mezzo vuoto, ma non posso farci niente. Una volta potevo dire di essere un giovane sfiduciato, nei confronti della politica e del mondo, oggi… beh, non sono più tanto giovane.

Aggiornamento: AppleInsider riporta che ieri è stata avviata negli USA una class action contro Apple per i problemi alle tastiere a farfalla dei MacBook, inclusi quelli da 12″. Anche in questo caso, salvo che non si arrivi a parlare di grosse cifre, sarà difficile che in California tornino sui loro passi, ma ha perlomeno qualche probabilità in più d’indurre ad effetti futuri concreti rispetto ad una petizione online.

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

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