Google multata dall’Antitrust UE. Sundar Pichai: “A rischio l’attuale modello di business di Android”

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Se Atene piange, Sparta non ride. Da un lato Apple se la sta vedendo con la Commissione UE per l’affaire sui presunti aiuti di stato ricevuti dall’Irlanda grazie alla tassazione più favorevole accordatale. Dall’altro oggi Google ha ricevuto invece una multa di ben 4,3 miliardi di Euro per abuso di posizione dominante, confermando i rumor in circolazione da alcune settimane. L’annuncio è arrivato dall’account Twitter di Margarethe Vestager, Commissario Europeo per la Concorrenza sul mercato, sempre molto “attenta” alle vicende dei grandi della tecnologia.

Secondo l’Autorità Europea, il colosso di Mountain View avrebbe violato la normativa sulla concorrenza approfittando della diffusione di Android per almeno tre ragioni:

  • cementando il proprio motore di ricerca e Chrome come parti integranti del sistema operativo;
  • creando difficoltà, commerciali ancor prima che tecniche, ai produttori terzi per la realizzazione di fork di Android;
  • pagando i maggiori operatori telefonici e produttori di smartphone per inserire l’app di ricerca Google di default nei propri dispositivi.

Secondo la Commissione, Google non dovrebbe obbligare i produttori che vogliono installare il Play Store sui propri dispositivi anche ad utilizzare tutto il pacchetto di servizi facenti capo ad essa. Il pacchetto comprende Chrome, Ricerca, Gmail, Foto e molto altro ancora. Giova ricordare a tal proposito che i servizi Google e il Play Store sono concessi con una licenza differente rispetto al sistema base Android che invece, per la sua natura open source, può essere più o meno liberamente sfruttato da chiunque. Un esempio di dispositivi Android privi dei servizi di Big G sono i Fire di Amazon.

Image from The Verge.

Prevedibilmente, Google ha già dichiarato di voler ricorrere in appello contro la decisione della Commissione, sostenendo che la presenza di Android ha concesso agli utenti una maggior scelta sul mercato, visto che la molteplicità delle offerte provenienti dai diversi produttori incontra le esigenze di chiunque, indipendentemente dalle proprie propensioni alla tecnologia e al budget a disposizione per l’acquisto di un nuovo smartphone.

La reazione della società non si è limitata tuttavia allo scontato ricorso. Il CEO di Google, Sundar Pichai, ha sottolineato come l’intervento dell’Unione Europea risulti del tutto inopportuno visto che le app preinstallate possono in gran parte essere liberamente sostituite dagli utenti da equivalenti non Google. Prevenire la presenza di default dei servizi Big G rischia inoltre di rompere il delicato equilibrio del business model di Android, il cui utilizzo a fini commerciali è concesso gratuitamente ai produttori a patto che installino il Play Store e le altre app. Qualora la Commissione dovesse vincere il giudizio di opposizione, Pichai ha anche paventato l’ipotesi di passare ad un modello di distribuzione con licenza a pagamento per gli OEM, cosa che inevitabilmente si rifletterebbe sulle tasche dei consumatori.

Come nota The Verge, vista l’estrema popolarità del motore di ricerca e dei suoi servizi è difficile che i consumatori possano fare a meno di Google, pertanto una simile dichiarazione non può che essere ritenuta un semplice richiamo all’attenzione del pubblico più che una ripicca bella e buona. Osservando bene, al di là della pesante sanzione monetaria si nota come la Commissione Europea non abbia calcato troppo la mano sulle pene accessorie, lasciando spazio di manovra a Google per apportare i correttivi. Potrebbe essere già considerata una soluzione efficace la disponibilità anche solo teorica di una variante più pulita di Android per gli OEM che ne volessero fare uso, dotata solo dello stretto indispensabile come il Play Store ed in affiancamento a quella solita “chiavi in mano”. Ulteriori interventi per placare del tutto le ire di Bruxelles potrebbero risultare un ballot screen di windowsiana memoria alla prima configurazione del dispositivo e la possibilità di disinstallare agevolmente anche in una fase successiva quelle app come Chrome sinora considerate indissolubili dal sistema.

Giusto per completezza espositiva, anche Apple include i propri servizi all’interno di iOS e per certi versi agisce in modo più restrittivo di Android, come l’impossibilità d’impostare app predefinite diverse dalle sue, tuttavia detenendo una quota pari a circa il 20% del mercato dei dispositivi mobili europeo non può essere accusata di abuso di posizione dominante.

Elio Franco

Editor - Sono un avvocato esperto in diritto delle nuove tecnologie, codice dell'amministrazione digitale, privacy e sicurezza informatica. Mi piace esplorare i nuovi rami del diritto che nascono in seguito all'evoluzione tecnologica. Patito di videogiochi, ne ho una pila ancora da finire per mancanza di tempo.

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