Tim Cook: Bloomberg deve ritirare il suo report sui chip-spia cinesi nei datacenter Apple

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Continuano gli echi attorno all’ormai noto reportage di Bloomberg Businessweek relativo alla presenza di chip-spia di provenienza cinese nei server SuperMicro utilizzati da varie aziende nei loro datacenter, inclusa Apple. L’azienda di Cupertino ha negato a più riprese con veemenza il suo coinvolgimento, anche con una lettera rivolta al Congresso USA, ma Bloomberg altrettanto ha mantenuto la propria posizione difendendo l’accuratezza delle proprie pubblicazioni. La situazione è di fatto arrivata ad uno stallo, che Apple sta vivendo con crescente nervosismo pure per parola diretta del CEO Tim Cook.

In un’intervista concessa a John Paczkowski e Joseph Bernstein di Buzzfeed News, la pacatezza che di solito contraddistingue Cook ha lasciato il posto ad una forte reazione d’orgoglio, respingendo ancora una volta le affermazioni di Bloomberg in modi ben meno formali di un comunicato stampa:

Non c’è alcunché di vero nella loro storia riguardo il coinvolgimento di Apple. Devono fare la cosa giusta e ritirarla.

Ha poi aggiunto di aver personalmente seguito tutti gli sviluppi della vicenda e di essersi messo a disposizione di Bloomberg, insieme a Bruce Sewell, ex-general counsel di Apple, per chiarire in tutti i modi la posizione della società. Accusa inoltre la testata in modo piuttosto esplicito di continuare a modificare la storia a propria convenienza, con Apple che da parte sua nelle proprie indagini interne approfondite continua a non trovare nessun elemento a supporto delle asserzioni pubblicate. In aggiunta, i giornalisti di Bloomberg non hanno mai voluto fornire dettagli più specifici sui chip che sarebbero stati contenuti nei server SuperMicro usati dalla mela.

Si tratta di un’iniziativa inusuale, quella di Cook. Se sovente accade che un’azienda provi a chiedere correttivi ad una testata giornalistica quando ritiene che abbia pubblicato informazioni errate, è molto raro invece si arrivi a chiedere il ritiro completo dell’articolo. Dal canto suo, Bloomberg mantiene la propria posizione, non intendendo cedere alle pressioni. Ma per quanto ancora? Come già fatto con Apple, il noto gruppo editoriale si oppone anche alle richieste di maggiori dettagli da parte altre pubblicazioni online. Anche le altre aziende coinvolte, come Amazon, nonché gli enti governativi americani proseguono a negare con forza l’uso passato di chip-spia cinesi. Tanto molti giornalisti quanto esperti di sicurezza nutrono un crescente scetticismo, non ritrovando nelle loro ricerche elementi concreti che avvalorino il report di Bloomberg. Svariate delle stesse fonti che avrebbero contribuito all’approfondimento smentiscono inoltre i commenti loro attribuiti, risultando a loro detta alterati.

Come da tweet sottostante, non sarebbe inoltre la prima volta che Bloomberg compie un passo falso. Lo stesso livello di vigorose smentite si vide nel 2014 in occasione della vulnerabilità Heartbleed, a loro detta sfruttata dalla NSA per accedere illegalmente ai sistemi informatici di persone ed entità ritenute sospette. Altre coincidenze piuttosto interessanti sono rappresentate dagli autori del report, Jordan Robertson e Michael Riley, così come l’assenza di una qualsiasi rettifica da parte di Bloomberg. La questione rimane aperta e molto intricata, che potrebbe arrecare gravi danni alla parte che alla fine risultasse in torto. Ancor sopra di ciò, però, potrebbero esserci altre conseguenze di tipo mediatico. Non stupirebbe se Mark Gurman, insieme agli alti giornalisti di Bloomberg, non fosse più il benvenuto ai futuri eventi Apple, ricalcando un po’ la blacklist in cui finì per alcuni anni Gizmodo a seguito della nota vicenda concernente un prototipo di iPhone 4 smarrito.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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