È possibile escludere a priori un futuro “cromato” per Safari?

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Avevo promesso una riflessione sul modo in cui si sta profondamente trasformando Microsoft, passando ad un modello che non sempre si rivolge direttamente l’utente finale ma ne abbraccia comunque le esigenze attraverso le conseguenze delle scelte adoperate, in modo particolare per il crescente abbraccio dell’open source. Resto convinto che il futuro riserverà molte sorprese ed ho una sensazione inerente i passi a lungo termine per determinati prodotti, iniziando da Windows. Tuttavia sono convinto che per sostenere la mia teoria servano basi più solide di quelle che dispongo, quindi preferisco rimanere in attesa degli sviluppi che porterà il 2019 per Microsoft prima di argomentare questa sensazione o, eventualmente, cestinarla senza rimpianti.

Nondimeno, però, la vicenda Edge-Chromium mi ha ha instradato su un’altra riflessione, che ho anche un po’ anticipato nel mio articolo di giovedì sera:

Sul piano dei motori di rendering [..] la corsa si ridurrà a tre: Apple, Google e Mozilla. Quest’ultima ha già reso chiaro che non intende rinunciare al cuore peculiare di Firefox; da Cupertino nessuna reazione al momento ma è verosimile che la posizione sarà la stessa di Mozilla, probabilmente ancor prima per questioni d’orgoglio che di pura alternativa. Giova infatti in merito ricordare come Blink si è originato nel 2013 come derivazione di WebKit, fatto che già in sé renderà alquanto difficile vedere Apple effettuare il percorso inverso cedendo in buona parte il timone in un’area chiave.

La parola importante è stata “difficile”. Ha un significato inequivocabile: per motivi di qualsiasi natura (tecnica, economica, politica o quant’altro), l’evento in questione è da ritenersi complicato da realizzare. Ma difficile è diverso da impossibile, e allo stesso modo impossibile è diverso da improbabile. Ecco, col senno di poi forse sarebbe stata quest’ultima la parola più corretta da usare, improbabile. Almeno non senza considerare le tante variabili in gioco che potrebbero scombinare le carte in tavola. Prima di procedere, vale la pena effettuare una breve cronistoria di Safari e Chrome.

La storia del primo inizia in realtà ben prima di quella ufficiale. Non parlo solo dei preparativi interni (a tal proposito consiglio di approfondire col libro in inglese dell’ex-Apple Ken Kocienda,”Creative Selection“, che documenta non solo la nascita della tastiera virtuale di iPhone ma pure quella di Safari), perché le origini risalgono di fatto alla fine del secolo scorso. Safari e il suo motore WebKit forse non sarebbero nati, o risulterebbero molto diversi, se non fosse stato per un progetto all’interno del vasto mondo Linux. Chi segue almeno un po’ i trascorsi del pinguino conoscerà senz’altro KDE, uno degli ambienti desktop più noti nonché ricchi di funzionalità. Nel 1998 ebbe i suoi primi vagiti il rendering KHTML, pensato per dare a KDE e al suo browser Konqueror una piattaforma indipendente, conforme agli standard e soprattutto open-source, agendo da primo contrasto alla posizione sempre più dominante di Internet Explorer (Netscape era già in fase calante e Opera rappresentava solo una piccola schiera di power users). Il suo debutto in forma definitiva avvenne nel corso del 2000, all’interno della versione 2.0 di KDE. Due anni dopo, Apple iniziò ad adattare il sorgente di KHTML alle proprie esigenze, dando infine forma a quanto annunciò Jobs il 7 gennaio 2003 alla conferenza Macworld. Un browser moderno, pensato espressamente per Mac. Safari, appunto.

Premiamo fast forward e andiamo al 2008. L’avventura di Chrome, e del progetto Chromium correlato, iniziò ufficialmente il 2 settembre di quell’anno, a sorpresa ma non troppo dato che alcuni rumor erano già circolati in precedenza. In un periodo dove Internet Explorer stava già conoscendo un lento declino a favore di Firefox, Google vide un’opportunità importante per offrire agli utenti un’esperienza web diversa da tutte le altre, forte anche di un brand che aveva da tempo conquistato la fiducia globale. Ottenendo rapidamente consensi, Chrome ha vissuto numerose evoluzioni: arrivando su tutte le piattaforme, diventando a sua volta un sistema operativo basato su Linux col nome di Chrome OS e associandosi a livello di marchio anche a dispositivi hardware.

Per diversi anni, però, la vita e il successo di Chrome sono stati legati a doppio filo con Apple. Circa 4 anni e mezzo in cui tra Cupertino e Mountain View si sono condivise le maggiori responsabilità su WebKit, nonostante il clima di ostilità generale, con benefici tanto per gli utenti di Safari quanto per quelli di Chrome. Questa collaborazione paritaria ebbe termine ad aprile 2013 con la creazione da parte di Google di un fork di WebKit, denominato Blink. La scelta di Big G fu dettata dalla volontà di gestire più autonomamente il destino del proprio browser, nonché avere un maggiore impatto in proprio sul futuro del web. Una decisione che, come abbiamo avuto modo di vedere, le ha dato ragione.

Prendiamo le più recenti statistiche mondiali sui browser maggiormente utilizzati. Chrome comanda stabilmente la classifica con una quota di poco meno del 62%, distaccando di netto Safari e tutti gli altri. Se guardiamo però in generale alla galassia Chromium, la percentuale finale è più alta: al 4% vi è UC Browser, del noto colosso cinese Alibaba; Opera, che dal 2013 ha abbandonato il suo motore di rendering Presto in favore di quello Google, ha il 3%; attorno alla medesima percentuale vi è il browser predefinito degli smartphone Samsung Galaxy; infine, tutti gli altri browser minori (come Amazon Silk, Brave e Vivaldi) e su Android, circa un altro 3-4% a favore della piattaforma Google. Tutti questi consegnano a Chromium una fetta di mercato attorno al 75%, che tra alcuni mesi aumenterà ancora aggiungendovi il piccolo ma in termini tecnici significativo apporto di Microsoft Edge. Eventuali mutamenti di direzione sembrano ormai al limite della fantascienza.

La storia di Internet Explorer è destinata a ripetersi? Lo sta già facendo. Oggi non sono tanti, ma nemmeno così rari i siti e servizi che funzionano meglio se non addirittura esclusivamente su Chrome e sui prodotti Chromium-based. I trascorsi del vecchio browser Microsoft tornano inevitabilmente in mente, quando col suo monopolio e le ActiveX rese per tanto tempo impraticabili soluzioni alternative. Da questo punto di vista, ha senz’altro ragione Mozilla nel constatare come con la perdita del motore EdgeHTML rappresenti anche la perdita di una voce alternativa al dominio della piattaforma tecnica di Google. Tuttavia, non si possono non notare sensibili differenze tra i due contesti.

Perché Internet Explorer alla fine venne sconfitto, con le prime spallate arrivate proprio da Mozilla Firefox? Al di là dell’impressione generale d’antipatia che molti nutrivano nei confronti di Microsoft, il suo prodotto s’era fatto una cattiva nomea sul piano delle funzionalità (basti pensare, per esempio, che si dovette attendere sino al 2011 per un download manager integrato) e della sicurezza, anche grazie soprattutto a quelle ActiveX che invece avrebbero dovuto nelle intenzioni di Gates e soci rappresentare il futuro di Internet. Oggi Google ha senz’altro la sua dose di antipatie attorno, ma nulla di così esteso quanto la Microsoft dell’era Gates/Ballmer.

Estendiamo ora il discorso a ciò che possono essere considerate un po’ le evoluzioni spirituali di ActiveX, sebbene abbiano scopi ancor più ambiziosi e ramificati. Parlo delle Progressive Web Apps e di tutti quei framework, a partire da Electron (sviluppato da GitHub che, ironia della sorte, è stata acquisita quest’anno da Microsoft), che stanno ibridando sempre più online con offline, permettendo di creare applicazioni multipiattaforma in tempi rapidi. Anche i detrattori più accaniti di Electron e soci riconoscono, al netto delle prestazioni spesso poco lusinghiere a confronto di app native, l’estrema comodità nonché convenienza di avere software che gira praticamente su tutto senza sforzi estremi, dando la possibilità di concentrarsi sulle migliorie funzionali. Benché stiano cercando man mano di acquisire maggiore integrazione coi sistemi operativi per apparire più native-like, queste soluzioni hanno sempre bisogno di un motore di rendering a loro disposizione e nella stragrande maggioranza dei casi la scelta ricade su Chromium. Proprio questo, secondo tanti, ha spinto Microsoft all’annuncio di alcuni giorni fa, dopo oltre un triennio passato a tentare con EdgeHTML di modificare invano una congiuntura avversa. Quando non hai la possibilità di reinventare la ruota, alla fine è meglio contribuire a perfezionare quella esistente.

In tutto ciò, che ruolo può rivestire Apple? Come avevo scritto giovedì, di base potrebbe essere l’alternativa a questa posizione dominante di Google/Chromium, cercando di dire la sua e facendo in qualche modo sì che il web non si muova di concerto in una singola direzione. Un’alternativa d’orgoglio, la descrissi, ancor prima che tecnica. Orgoglio che stavolta potrebbe non farle per nulla bene. Proviamo a capire perché, guardando lo stato dei browser come se fossero degli ipotetici partiti all’interno di un parlamento. Immaginiamo Chromium come una coalizione di governo che ha già una larghissima maggioranza dei seggi. Un partito sinora rimasto all’opposizione, in questo caso Microsoft, ne ha abbastanza e chiede d’entrare, accolto a braccia aperte. Cosa possono fare le due realtà rimaste esterne? Apple e Mozilla non avevano già i numeri per poter bloccare nuove leggi proposte dal governo e ancor meno ne avranno ora.

Personalmente concordo con Paul Thurrott nel vedere la casa madre di Firefox essere la prossima a passare giocoforza su Chromium. Perché, riprendendo il paragone politico, arrivati a questo punto è molto meglio un governo d’unità nazionale in cui tutti abbiano la propria voce. Qui risiede infatti un’altra delle grandi differenze rispetto all’era buia di Internet Explorer. Chromium e Blink sono open source, il che obbliga Google a non poter fare il bello e il cattivo tempo senza un effettivo consenso degli altri. Anche per questo l’arrivo di Microsoft giocherà un ruolo fondamentale per far sì che tale situazione permanga. Google può e potrà aggiungere delle personalizzazioni proprietarie a Chrome, che infatti di per sé non è open source, ma non alla piattaforma tecnica sottostante nemmeno creando un nuovo fork dei suoi stessi progetti aperti. Le licenze da cui sono regolati, soprattutto quelle GPL, lo impediscono. Dovrebbe sviluppare un nuovo browser da zero con annesso motore di rendering, facendo attenzione a non riutilizzare codice proveniente da Chromium per non far scattare gli obblighi di ridistribuzione delle già citate licenze. Vale la pena di buttare anni di lavoro per qualche vezzo? Probabilmente no. Google lo sa, tutti gli altri aderenti al progetto Chromium lo sanno e pure coloro che ne stanno fuori.

Venire a patti con Google potrebbe sembrare uno smacco morale per Apple, ma non sarebbe né la prima volta né l’ultima volta. Oltre a spalmare gli oneri tecnici con le altre aziende (e liberare risorse fresche per ambiti lucrativi che le sono più congeniali), una Apple coinvolta attivamente nel progetto Chromium avrebbe anzi l’effetto già descritto sopra di agire da ulteriore salvaguardia contro eventuali tentativi di deriva autoritaria da Mountain View, dato che il peso politico nella coalizione di governo risulterebbe ben più elevato che restando tra gli esigui banchi dell’opposizione. I (condivisibili) timori di John Gruber ed altri su una perdita di valore delle app native a favore di quelle Electron o PWA sono paradossalmente un altro motivo in più perché Apple contribuisca in prima persona a migliorare la situazione. Tra gli sviluppatori web, se macOS non è la piattaforma di riferimento non molto ci manca, fatto dimostrato anche da Microsoft che vuole portarvi al più presto pure il nuovo Edge. Meglio ottimizzare sin da ora prima che sia troppo tardi e ne traggano infine beneficio commerciale altri ecosistemi.

Non si tratterebbe di un’operazione compiuta dal giorno alla notte, nemmeno nel caso di Microsoft lo sarà essendo EdgeHTML implicato in molte aree di Windows 10 e Xbox. La parentela tra Blink e WebKit appare però ancora piuttosto alta, e trattandosi in fondo di materiale che Apple ha contribuito a creare potrebbe permetterle di attuare la transizione nei suoi sistemi operativi in tempi relativamente brevi (tra una WWDC e l’altra, diciamo). Non bisogna troppo preoccuparsi che Safari possa diventare un mero clone di Chrome: anche se dovesse perdere il motore manterrebbe senz’altro la propria idendità, un po’ come accade per quelle auto che pur condividendo il pianale sono completamente diverse nel design, finiture, elettronica e anche in gran parte della meccanica. Al di là di quanto c’è sotto il cofano, ogni browser tende a differenziarsi dagli altri e se pensiamo ad Opera, Vivaldi, Brave e il futuro Edge, ci sarà un occhio di riguardo per la privacy a testimoniare le possibilità di personalizzazione. L’unico punto critico potrebbe riguardare le estensioni, ma l’App Store rappresenterebbe l’eventuale garanzia anche qui della permanenza di un percorso indipendente da Google. Vi è dunque un futuro “cromato” per Safari? Impossibile no, improbabile sì, auspicabile forse ancor più.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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