Non è (ancora) l’ora di recitare il de profundis per l’iPhone

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Questo inizio d’anno è stato indubbiamente dominato da Apple. Un po’ in positivo, con gli accordi raggiunti con Samsung ed altri produttori di TV sul supporto AirPlay 2 e non solo, ma molto in negativo, a partire dal taglio delle stime per il primo trimestre fiscale del 2019 annunciato il 2 gennaio. Il presupposto era ovvio: di una cosa del genere se ne sarebbe parlato a lungo. Così è, visti gli echi che continua a produrre la lettera di Tim Cook dopo oltre una settimana e mezzo, così sarà. Tutti i principali siti, incluso il nostro, hanno espresso la loro opinione in merito. Alcune coincidono, altre parzialmente, altre ancora sono completamente all’opposto. In questa fase nessuno ha torto né ragione a prescindere, noi inclusi. A parte, forse, due categorie: chi nega completamente il problema e chi invece si è già lanciato nel vedere l’iPhone come una cosa del passato.

C’è chi lo fa in modo relativamente soft, come Leonid Bershidsky su Bloomberg che suggerisce di guardare ai servizi come modo di sopperire agli iPhone, espandendo sempre più l’apertura ad ecosistemi di terze parti. C’è chi invece risulta piuttosto tranchant nel guardare al futuro di Apple, come John D. Stoll sul Wall Street Journal. Nella sua riflessione, rafforzata da numerose opinioni raccolte tra addetti ai lavori e non, vede l’iPhone come un prodotto destinato a diventare roba del passato, seguendo le orme di molti altri dispositivi celebri, per esempio il Walkman di Sony. L’invito rivolto a Cook è quello di trovare al più presto una nuova strategia che reinventi Apple con successo, riprendendo le capacità dimostrate in tal senso nell’era Jobs.

L’articolo presenta dei punti senz’altro validi, come la necessità da parte d’un azienda di evolversi in base alle esigenze del mercato, citando Microsoft tra gli esempi di successo che ha trasformato le difficoltà di Windows in un’occasione per rilanciarsi spingendo a tutta birra sul cloud, col risultato di essere tornata in poco tempo ai vertici per capitalizzazione. È condivisibile anche l’osservazione sulla precarietà di un prodotto non appena arriva la successiva “big thing” pronta a surclassarlo e rimpiazzarlo, com’è appunto successo nel caso del Palm Pilot e del Walkman. Non ho l’esperienza editoriale di Stoll né di altri che hanno espresso i pareri più pessimistici sulla questione iPhone, ma nel mio piccolo mi chiedo il perché di tutto questo senso d’urgenza nel ritenerlo ormai obsoleto.

I dispositivi menzionati tra quelli storici sono stati tutti sostituiti da un prodotto migliore sotto ogni punto di vista. Un processo che spesso ha le sue origini ben prima di quando effettivamente accade: la condanna a morte dell’analogico Walkman l’aveva decretata di fatto la realizzazione del formato MP3 attorno alla metà degli anni ’90. L’iPod ha rivoluzionato come un calzino il mercato dei lettori musicali, ma è entrato quando il popolare prodotto di Sony aveva già terminato da un pezzo i suoi giorni migliori. Anche nel caso del Palm Pilot si può dire sia stato così, prima o poi c’era da aspettarsi che i PDA avrebbero incrociato la loro strada coi telefoni cellulari e già prima dell’iPhone erano arrivati segnali in tal senso, vedasi Symbian. Il prodotto Apple ha avuto il merito di dimostrare che questa confluenza si poteva ottenere molto meglio di quanto gli altri pensavano, con relativo apprezzamento del mercato e l’effetto di fare persino vittime all’interno della stessa Apple, ossia l’iPod.

Un giorno l’iPhone diventerà un oggetto del passato? È probabile, nulla può essere escluso. Ma non è una cosa che accadrà così a breve, anche perché soprattutto non s’intravedono nemmeno gli indizi di una “next big thing” sostitutiva all’orizzonte. Potrebbe essere la realtà aumentata, ma resto convinto che semmai andremo tutti in giro con degli occhiali dotati di schermi a gesticolare per aria non sarà certo a breve. Inoltre, un discorso del genere implica un quadro a livello globale valido per tutti gli smartphone, che ancora oggi sono essenzialmente pesanti evoluzioni dei loro antenati del 2007-2008. Anche Samsung ha rivisto al ribasso la sua trimestrale: possiamo dare i Galaxy per morti? Non direi, e l’azienda coreana è già uscita alla grande da una situazione ancor peggiore di quella di Apple. Il fattaccio del Note 7 ha rischiato di lasciare una ferita al limite dell’insanabile, a livello mediatico ancor prima che tecnico.

Il problema non è che l’iPhone ha fatto il suo tempo. Il problema è che Apple ha esasperato i prezzi in un mercato ormai giunto a maturazione e con proposte concorrenti sempre più valide ed economiche. Situazione peggiorata dalle delicate situazioni internazionali, a partire dalla guerra commerciale USA-Cina. Fatta eccezione per quest’ultimo punto che è di competenza a piani più alti di Apple, non c’è nulla d’irrisolvibile né tantomeno meritevole da recitare il de profundis, almeno per ora. Proprio come ha evidenziato lo stesso Stoll nel suo articolo, ci sono vari prodotti, come la Ford Mustang, che dopo la conclusione dell’entusiasmo iniziale hanno continuato ad evolversi e sono tuttora tra noi. Lo stesso verosimilmente varrà anche per l’iPhone, per parecchio a venire, avendo Apple tutte le risorse necessarie a correggere la rotta.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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