Recensione: MacBook Air 2018, l’outsider è diventato uno dei tanti

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La cosa che preferisco nelle recensioni dei computer è che posso scriverle usandoli. Lo sto facendo proprio ora con il nuovo MacBook Air 2018, aggiornamento attesissimo di uno dei computer Apple di maggior successo nell’ultima decade. Tutti ricordano la presentazione che ne fece Steve Jobs al MacWorld 2008, estraendolo da una busta postale per documenti con grande stupore del pubblico. Quel momento rimarrà nella storia, ma i motivi per cui il MacBook Air si rivelò un faro per tutta la categoria si trovano in ciò che Jobs disse prima di mostrarlo.

Prese come esempio uno dei portatili compatti più apprezzati dell’epoca (un Sony Vaio serie TZ) e fece notare alcuni dei principali limiti della categoria, come le tastiere miniaturizzate, le prestazioni contenute, schermi piccoli (da 11″ o 12″) e soprattutto dei case troppo spessi. Jobs presentò l’Air con le parole “world thinnest notebook” e lo dimostrò sul palco.

World Thinnest Notebook – Steve Jobs, 2008

L’Air del 2008 è stato il primo esemplare di un nuovo tipo di portatile, tuttavia il modello più iconico e che ha dato origine a tutta una serie di cloni fu quello del 2010, che cambiò il design, ridusse il listino ed introdusse la variante da 11″, oltre a miglioramenti a tutto tondo per l’hardware, tra cui il disco flash di serie. Per quasi 5 anni è stato il portatile più interessante del mercato, capace di convincere anche molti utenti Windows. Era il più sottile e leggero, certo, ma era anche abbastanza veloce e con un’ottima autonomia, una tastiera comoda, un trackpad eccellente ed uno schermo generoso con qualità superiore rispetto al mercato di allora. In sintesi è stato un vero e proprio punto di svolta per l’intera categoria e ci sono voluti diversi anni prima che i concorrenti riuscissero ad avvicinarlo e poi superarlo.

Nel 2016 Apple ha presentato il MacBook Retina, un 12″ ancor più compatto e leggero con cui ha portato all’estremo il concetto di portabilità. L’esperimento è per molti versi riuscito, ma non sul piano commerciale.

“Affermare che possa esistere un computer con una sola porta, significa anche portare il peso delle conseguenze di un eventuale fallimento.” – dalla mia recensione del MacBook 2015

Quell’unica porta USB-C ha polarizzato molti dei commenti negativi e le vendite non hanno mai equiparato quelle del vecchio Air. Quest’ultimo ha subito un piccolo incremento di frequenza del processore base nel 2017 ma tutto il resto è rimasto congelato al 2015, continuando tuttavia a vendere come entry-level tra i portatili Apple, preferito spesso al MacBook per il prezzo inferiore e la maggiore dotazione di porte. Ancora oggi c’è qualcuno che lo compra quando va in offerta nelle catene di elettronica a meno di 800€, ma non rappresenta più una scelta vantaggiosa.

Riprendere il mano il brand Air nel 2018 è stata dunque una scelta “comoda” dal punto di vista dell’immagine, perché evoca un passato glorioso e al tempo stesso ci avvicina alla completa dismissione del vecchio (che immagino avverrà nel corso del 2019). Non era però affatto semplice rendergli giustizia.

La nuova generazione arriva in un momento storico molto diverso, perché oggi Apple non è l’unica a realizzare buoni portatili. Il MacBook Air 2018, ad esempio, non è il più sottile della categoria. Anzi, nella parte alta del tradizionale cuneo è più spesso dell’attuale MacBook Pro. Il processore utilizzato (uno solo per tutti i modelli) è di classe Y e non più U, scendendo al livello del MacBook ed allontanandosi dalla potenza dei Pro. Il design si fa forte di quel family feeling che ancora oggi piace e sfoggia nuove tinte per ammaliare l’occhio, ma non è nulla di nuovo e rischia di passare del tutto inosservato in confronto a ciò che ci propone oggi il mercato.

Il MacBook Air 2018 non ha neanche una frazione della portata innovativa dell’originale

In sintesi se il primo Air era una rivoluzione pazzesca per l’epoca, il nuovo modello presentato nel suo decennale è uno fra tanti, non avendo neanche una frazione della portata innovativa dell’originale. A suo modo è stato molto più dirompente il MacBook Retina, senza ventole e con una sola porta, e ancor di più il Pro con Touch Bar. Tutto nel nuovo MacBook Air è migliorato, ma si è semplicemente adattato ai tempi, mentre il suo antenato li dettava.

Probabilmente la mossa più coerente dal punto di vista della lineup sarebbe stata quella di aggiornare processore, porte e tastiera anche sul MacBook 12″ e presentare questo come variante più grande, ma l’opportunità di sfruttare il nome Air a 10 anni di distanza era troppo ghiotta per lasciarsela scappare. Inoltre il MacBook non ha riscosso il successo sperato e dopo due aggiornamenti con cadenza annuale Apple ha deciso di lasciarlo fermo al 2017, in attesa di definirne il prossimo futuro (qualcuno ha pensato ARM?). Per giunta oggi costa più del nuovo Air ed offre di meno.

A me piacerebbe un MacBook fedele all’originale, versatile e più economico possibile, ripescando anche il policarbonato bianco (o colorato) e senza schermo Retina, ma non rientrerebbe nell’attuale strategia extra-lusso di Cupertino.

Mettendo da parte il nome Air, la cui pesante eredità era comunque difficile da rispettare, il nuovo portatile ha comunque molte frecce al suo arco e si propone come trait d’union tra MacBook e MacBook Pro. Un elemento che rende chiaro l’intento è la tastiera, dove troviamo l’ultimo meccanismo a farfalla di terza generazione e il Touch ID, ma senza Touch Bar. Personalmente trovo che i tasti funzione fisici siano ben più comodi ed offrano una maggiore sicurezza all’utente perché sono sempre lì, al loro posto, si sentono sotto le dita e non si possono schiacciare inavvertitamente.

La Touch Bar è promettente e mi auguro che possa migliorare in futuro – magari aggiungendo una risposta fisica alla pressione stile Taptic Engine – ma al momento ne faccio volentieri a meno. Di contro apprezzo molto il Touch ID e quindi trovo ideale la dotazione del MacBook Air 2018.

Come già riscontrato nell’ultimo MacBook Pro (recensione), gli elementi di silicone sotto i tasti non li rendono poi così silenziosi, però dovrebbero evitare che si incastrino per la polvere; e la corsa, un po’ più alta rispetto al MacBook, dà alla tastiera maggiore concretezza. Amo non dovermi preoccupare di toccare involontariamente i tasti virtuali della Touch Bar e al tempo stesso poter attivare quelli funzione senza guardare in basso.

Per il Touch ID ho solo pensieri positivi: è preciso, comodo e sicuro, decisamente una spanna sopra rispetto le controparti in ambiente Windows. In futuro Apple potrebbe portare anche il Face ID sui propri portatili, ma prima è necessario trovare una collocazione per gli elementi hardware che stanno nella cornice di iPhone ed iPad Pro, troppo spessi per essere inseriti nello schermo dei MacBook (e non ce la vedo Apple che propone un sistema di accesso basato solo sulla cam frontale).

Lo schermo ha una cornice nera e sottile, che lo rende simile agli ultimi MacBook Pro e molto diverso dal vecchio Air. A guardarlo oggi, quel grosso bordo argentato del precedente, è un chiaro segno del tempo passato, nonché complice della maggiore dimensione del portatile. Il nuovo modello è visibilmente più piccolo e con un rapporto migliore tra schermo e superficie.

A me non piace molto la differenza di spessore della cornice, che è più sottile ai lati come nel MacBook Pro, ma capisco che pareggiarla avrebbe aumentato inutilmente la larghezza del computer e in fin dei conti non disturba più di tanto. Il vecchio pannello era un TN con 1440×900 pixel mentre il nuovo è di tipo IPS e si può fregiare del titolo Retina grazie ad una risoluzione di 2560×1600 a 227 ppi.

È importante sottolineare che su macOS Apple ha realizzato un metodo di rendering in HiDPI così valido che non richiede rapporti interi per scalare le immagini a schermo. Il primo computer su cui abbiamo visto questa tecnologia è stato l’iMac 27″ 5K, dove ogni pixel virtuale della scrivania è creato con 4 pixel fisici, dividendo la risoluzione per 2 ed ottenendo uno spazio di lavoro sostanzialmente identico a quello da 2560 x 1440 pixel del modello non Retina. È così anche per il 21,5″ 4K, che ha uno spazio di lavoro FullHD sfruttando un pannello che in realtà è UHD. L’incremento di densità è ciò che rende più nitidi gli schermi Retina sia su iOS che macOS, ma su quest’ultimo Apple usa con ottimi risultati anche fattori di scala non interi. Basta provare le impostazioni monitor ridimensionate, identificate dai nomi “testo più grande” o “più spazio”, per vedere come la qualità delle immagini, dei testi e delle interfacce non viene influenzata negativamente mentre se ne modifica la dimensione.

Questa flessibilità le ha consentito di offrire scrivanie di lavoro non più vincolate ad un esatto dimezzamento della risoluzione del pannello. L’effetto lo vediamo per ora solo nel mondo dei portatili ma mi auguro che Apple ne faccia tesoro e si decida a portare sul mercato desktop con schermi superiori agli attuali 21,5″ e 27″ senza necessariamente salire sul gradino estremo degli 8K.

Nel nuovo MacBook Air, così come nei Pro da 13,3″, il pannello ha effettivamente 2560 x 1600 pixel ma la scrivania di default equivale a 1440 x 900 pixel, offrendo uno spazio di lavoro identico a quello dei modelli pre-Retina pur senza un effettivo raddoppio dei pixel fisici. La qualità risultante è davvero ottima, infatti la divisione esatta da 1280 x 800 pixel è presente solo come opzione secondaria. Il pannello ha un buon contrasto ed un nero profondo, tuttavia non pareggia la qualità di quello presente nel modello Pro per luminosità e colore. Ad essere del tutto onesti, non è una cosa che si nota più di tanto nell’uso comune ed incide poco sulla qualità percepita.

In ambienti interni la luminosità di 300 nits è già più che sufficiente, anzi eccede il necessario, difatti lo uso quasi sempre al 70% anche di giorno. È solo in esterno che i 500 nits del MacBook Pro offrono una marcia in più, rendendo il display più chiaro in piena luce. L’altro elemento di demerito dell’Air è nella fedeltà cromatica, poiché supporta pienamente lo spazio colore sRGB ma non il più esteso P3, che troviamo negli schermi dei Pro e degli iMac. Anche in questo caso, però, si tratta di una differenza che reputo non determinante: la maggiore estensione si avverte solo con immagini che la sfruttano e per quanto sia apprezzabile in un confronto 1:1, non se ne avverte la mancanza nell’uso comune. Non è mia intenzione minimizzare queste differenze, ma solo sottolineare che guardando gli schermi dell’Air 2018 e del MacBook Pro, si percepisce un passaggio da “molto buono” ad “ottimo”, quindi le poche carenze sono ben più che tollerabili. Manca all’appello anche la modalità True Tone automatica, che tuttavia è presente solo nella più costosa variante del Pro con Touch Bar. Per chi preferisse uno schermo più rilassante nelle ore buie, vi è comunque la modalità Night Shift attivabile a comando o con programmazione.

Il precedente MacBook Air aveva sul lato sinistro il MagSafe per la ricarica, una USB 3 e l’uscita audio, mentre su quello destro c’era una Thunderbolt 2 con supporto video mini DisplayPort, una seconda USB 3 ed il lettore di SD. Da qualche anno a questa parte, Apple ci vuole convincere del fatto che questa varietà di porte rappresenta il passato, così nel nuovo Air 2018 troviamo solo due Thunderbolt 3 sulla sinistra (oltre all’uscita da 3,5mm a destra). Ognuna di queste supporta schermi, scambio dati, reti e connessione diretta sul bus PCIe fino ad un massimo di 40Gbps, nonché la USB-C Gen 2 da 10Gbps con tutte le sue derivazioni e Power Delivery per la ricarica in entrata e in uscita.

La flessibilità offerta da questa soluzione è nettamente superiore, visto che una sola delle due Thunderbolt 3 è capace di amministrare tutta la pletora di vecchie connessioni, lasciando anche spazio per altro. Il problema è che queste non sono direttamente disponibili. Si dovranno acquistare hub, dongle, dock o adattatori nel numero e del tipo ritenuti utili dall’utente, cosa che rappresenta sia una spesa aggiuntiva che un fastidio direttamente proporzionale al numero di utilizzi. Ci saranno casi in cui basterà un banale convertitore da USB-C a USB-A da pochi spiccioli ed altri in cui si passerà la giornata a collegare hub o dongle per scaricare le foto dalla macchina fotografica. Molto dipende dall’uso soggettivo, ma la questione di fondo è che non ci sono alternative in casa Apple. Il MacBook 12″ sta messo molto peggio, con una sola porta e per giunta neanche Thunderbolt 3 ma solo USB-C; il MacBook Pro 13″ senza Touch Bar ha la stessa identica dotazione ed a salire nella gamma aumentano il numero di porte ma sempre e solo Thunderbolt 3.

Il disco SSD PCIe dei MacBook Air 2018 è molto meno veloce di quello dei Pro

Altri produttori di computer portatili hanno preferito abbinare ad un numero inferiore di nuove connessioni anche alcune di quelle vecchie, ottenendo risultati certamente più pratici nel quotidiano ma non altrettanta libertà di espansione. Apple lo ha fatto nel mondo desktop, su iMac e Mac mini, mentre sui MacBook ha deciso per un secco aut-aut. Il risultato mi lascia ancora oggi un po’ perplesso, poiché ci sono alcune situazioni in cui mi rendo conto di quanto siano davvero potenti due T3 (ad esempio quando collego su una il Box eGPU con ricarica e sull’altra il monitor con un proprio Dock), ma è molto più frequente il caso in cui debba utilizzare adattatori in mobilità.

Per sfruttare bene le nuove connessioni servono quelle vecchie

Alcuni pensano che ormai convenga acquistare solo dispositivi USB-C, così da essere pronti per il futuro, ma questa strada nasconde delle insidie. La più importante dipende dal fatto che le USB-C non sono “duplicabili” facilmente come le vecchie Type A. Vi faccio un esempio concreto dalla parte di chi ha voluto credere alla USB-C ed ha comprato quanti più dispositivi possibile in questo formato.

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Ho una pendrive, una scheda audio, un SSD esterno ed un lettore di memorie SD in formato Type C, ma non c’è modo di collegarli tutti insieme nelle due porte del MacBook Air perché servirebbe un hub che occupi una USB-C e te ne dia un numero maggiore in uscita. Dispositivi del genere sembrano una chimera, difatti ne abbiamo scovato solo uno che però sembra avere limitazioni di banda ed alimentazione. Alternativamente si dovrebbe comprare un costoso Dock Thunderbolt 3, il quale potrebbe coprire fino a quattro USB-C. Se avessi avuto gli stessi dispositivi in formato USB-A, invece, li avrei potuti collegare con un banale ed economico hub ad una singola porta USB-C, lasciando l’altra libera per monitor e ricarica. In sintesi questa nuova connessione rappresenta il futuro in qualità di aggregatore, ma quelle precedenti sono ancora oggi necessarie oltre che più diffuse. Se usassimo solo dispositivi USB-C le due porte del MacBook Air sarebbero un’enorme limitazione, perché potremmo collegare soltanto un dispositivo e ricaricare. Quindi il punto è che per sfruttare bene le nuove connessioni sono più utili quelle vecchie. Ironico vero?

Grazie al passare degli anni, nel nuovo Air ci sono miglioramenti anche per la connettività senza fili, ma non così rilevanti. Il Wi-Fi era già di tipo AC nel precedente modello e rimane tale in quello del 2018, mentre il Bluetooth passa da 4.0 a 4.2, non beneficiando quindi degli ulteriori vantaggi per portata e connessione audio multipla del 5.0. La camera frontale rimane sempre a 720p mentre c’è netto miglioramento per le casse integrate, che ora risultano simili a quelle del Pro da 13″ per volume e soprattutto qualità della riproduzione.

Apple ha deciso di proporre il MacBook Air 2018 come un computer fatto e finito, riducendo il più possibile le scelte per l’utente. In particolare ci sono due nuovi paletti: lo schermo e il processore. L’assenza del modello da 11″ mi sembra confermare quanto dicevo inizialmente, ovvero che più che di un Air qui stiamo parlando di un MacBook aggiornato e con uno schermo più grande. Ma le riflessioni sui nomi possono apparire futili, quindi parliamo dell’imposizione dell’unico processore.

Si tratta di un Intel Core i5 della serie Amber Lake, con 1,6GHz di clock ed un Turbo Boost che può raggiungere 3,6GHz. Sulla carta notiamo un miglioramento, seppur piccolo, rispetto al vecchio Air carrozzato con i7, ma quello usava CPU Broadwell della serie U, che oggi equipaggiano i MacBook Pro. In sostanza siamo andati avanti – e di poco – solo per via delle diverse generazioni di mancati aggiornamenti, ma la classe di processori ha subito in realtà una riduzione nell’ottica dei consumi minori. Anche da questo punto di vista il nuovo Air si presenta simile al MacBook, che in teoria vanta una CPU i7 persino più veloce pur essendo più vecchio. La differenza a favore dell’Air è tutta giocata su un unico elemento: la ventola.

Il MacBook è un computer completamente fanless, quindi silenzioso come un iPhone o un iPad, ma questa sua caratteristica rende più difficile dissipare il calore e lo porta a raggiungere il tetto di sicurezza con troppa facilità, riducendo le frequenze operative per compensare. In sostanza va più lento quando gli chiediamo di andare più veloce.

Nella prima generazione il problema era gravoso, nell’ultima molto meno, ma rimane una sua caratteristica. La CPU i5-8210Y dell’Air 2018 ha un TDP massimo di 7W, superiore ai circa 5W di quelle nei MacBook 2017, ma la presenza di una ventola consente di contenere meglio il surriscaldamento, così il Thermal Throttling non è sempre dietro l’angolo ad aggredire le prestazioni. Il contraltare è che non risulta altrettanto silenzioso, ma è decisamente meglio così visto che questo portatile si propone di essere una piccola, ma valida, macchina da lavoro.

Inserisco solo pochi benchmark essenziali in questa recensione, perché non è un prodotto nato per attività troppo avanzate e mi vorrei concentrare maggiormente sull’esperienza d’uso. Ho ripescato un MacBook Air 2015 per fare anche un confronto sul campo tra i due e devo dire che l’impressione non è così positiva per il nuovo modello. È vero che nei test va più veloce, così come nelle operazioni complesse – che vanno dalla codifica video alla compressione di file – ma nell’uso quotidiano a volte dimostra una minore fluidità.

Con il nuovo Air si viaggia in generale più spediti e anche se il disco PCIe non è veloce come quelli dei MacBook Pro, quando si lavora con una applicazione questo si comporta in generale molto bene. Sono riuscito anche ad editare fotografie con un discreto catalogo di Lightroom o ad utilizzare Photoshop con progetti di media complessità, anche se va certamente meglio adoperando software più Mac-oriented, come quelli della suite Affinity o lo stesso FCPX (che insospettabilmente ci fa lavoricchiare bene su progetti a 1080p). Il problema che ho personalmente riscontrato si presenta quando si lavora in multitasking con diversi software, specie se questi hanno dei picchi di attività rilevanti; ad esempio quando si ha Mail in background che scarica un bel po’ di posta, Safari in riproduzione video o magari Dropbox e iCloud che sincronizzano un discreto quantitativo di file. In tutti questi casi e in altri simili, la richiesta di prestazioni sembra essere gestita in modo sub-ottimale, rendendo il computer meno reattivo. Non gli manca la capacità di calcolo, perché se si avvia un’operazione la esegue, tuttavia si avverte come un leggero ritardo che sparisce solo quando si chiudono una o tutte le app con lavorano in background.

Per il mio uso tipico di un portatile, con cui tendo a svolgere compiti non troppo gravosi ma in buon numero e spesso in parallelo, l’esperienza non è stata così appagante come speravo. Con un impiego analogo, il MacBook Pro base da 13″ offre maggiore dinamicità e senza rinunce. Nel complesso l’Air 2018 si conferma essere un parente stretto del MacBook, ereditando un approccio più leggero al lavoro ed andando incontro ad un’utenza non molto esigente. La presenza della ventola aiuta a mantenere la frequenza nominale più a lungo, tuttavia questa CPU, che non è nata per i carichi pesanti, sembra faticare anche con un approccio leggero ma dinamico del computer, con tante app in esecuzione simultanea ed un passaggio rapido tra l’una e l’altra.

La resa con attività semplici è complessivamente valida e, seppure il rapporto prezzo/prestazioni non sia davvero conveniente, ci offre un pacchetto di qualità ed ergonomia di ottimo livello. Convince abbastanza l’autonomia che, grazie alla riduzione dei consumi rispetto al vecchio modello, rimane molto elevata pur con una batteria che scende da 54 watt/ora a 50. Si raggiungono 8/10h di uso misto, ma ricordate che la presenza del chip T2 e delle sue attività in background può portare ad un sensibile consumo anche in stand-by, per cui vi conviene disattivare tutte o alcune delle sue funzioni se non volete trovarlo molto scarico dopo un paio di giorni di inattività.

Conclusione

Il MacBook Air 2018 è un portatile bello, sottile e leggero, con uno schermo di buona qualità, una tastiera comoda ed un trackpad eccellente. Esattamente allo stesso modo si poteva definire il primo esemplare del 2008, ma ora sono passati 10 anni. Questo nuovo modello non innova o inventa nulla; non è economico né particolarmente sottile e leggero. Si presenta come un incrocio tra il MacBook 12″ e il Pro da 13″ con un carattere poco definito. A me piace molto la tastiera con Touch ID ma senza Touch Bar, tuttavia fatico a considerarlo un acquisto consigliabile. Costa 1379€ con un disco inutile da 128GB e si sale a 1629€ per quello da 256GB, mentre il MacBook Pro 13″ senza Touch Bar si trova su Amazon a 200€ in meno. È vero che si tratta di un modello del 2017, perché Apple ha aggiornato solo quelli con Touch Bar nel 2018, ma ha processori, scheda grafica, disco e schermo migliori, più flessibilità nella configurazione e quasi nessuna rinuncia in ordine di dimensione e peso. Praticamente occupa lo stesso spazio e pesa solo 100 grammi in più, mentre l’autonomia è inferiore ma di un 20% scarso. L’unica cosa che gli invidia davvero è il Touch ID.

I MacBook Pro dal 2016 in poi sono già dei MacBook Air

Questo tipo di concorrenza in casa non è mai stata disdegnata da Apple – perché fintanto che ci vende un computer poco importa quale sia – ma di certo manca una suddivisione coerente in termini di offerta; problema dovuto al fatto che non tutte le linee di prodotto vengono aggiornate con costanza ma i prezzi non scendono quando invecchiano. Almeno non nei loro negozi. Inoltre il nuovo corso dei MacBook Pro (recensione) dal 2016 in poi ha portato ad una perdita di peso e volume, nonché a contenere i consumi per migliorare l’autonomia, rendendoli già di fatto gli eredi dell’originale Air. In questo momento serviva qualcosa di più per giustificare il nuovo prodotto e il ripescaggio del nome. O al massimo qualcosa in meno, posizionandolo in una fascia intorno ai 1000€. Per quel che è ed al prezzo proposto, il MacBook Air 2018 non sembra avere molto da dire, sia in relazione ad un mercato generalista con qualità e prezzi sempre più convincenti, sia per l’attuale proposta interna ad Apple.

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PRO
+ Dimensioni e peso contenuti
+ Ottima costruzione, molto curata per materiali e finiture
+ Buona flessibilità di connessione grazie alle due Thunderbolt 3
+ Trackpad Force Touch di ottima qualità
+ Nuova tastiera, un po’ più silenziosa e (si spera) robusta
+ Il Touch ID è ottimo e in questo caso non è associato alla Touch Bar (che non piace a tutti)
+ Ottima sicurezza e privacy grazie al T2
+ Schermo di buona qualità
+ Ottima autonomia

CONTRO
- Prezzo elevato
- Un solo processore e con prestazioni medie: soffre un po’ con il multitasking
- 128GB di storage nel taglio base e velocità inferiori rispetto al MacBook Pro*
- Downgrade di categoria per le CPU rispetto al modello originario

DA CONSIDERARE
| Nel mondo attuale T3 e USB-C ci rendono ancora schiavi degli adattatori
| Non è più sottile o particolarmente leggero rispetto al MacBook Pro*
| Schermo inferiore a quello del MacBook Pro*
| Costa praticamente quanto il MacBook Pro* ed è inferiore quasi per tutto
*in riferimento al modello Pro 13″ senza Touch Bar

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.