La leadership Apple a cavallo tra lo stile più pacato di Cook e l’ascesa di Schiller

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Le dinamiche più intime di un’azienda sono pressoché impossibili da sapere del tutto, a meno che non ci si lavori proprio (e a volte nemmeno basta questo). Nondimeno, soprattutto nel caso di Apple suscita sempre curiosità andare oltre le apparizioni pubbliche della dirigenza cercando di cogliere aspetti organizzativi lontani dalle scene ma che hanno forti ripercussioni in sede di vendita finale dei prodotti. Dell’era Jobs, grazie alle due biografie (ufficiale ed ufficiosa) e ai vari report, abbiamo un’idea piuttosto compiuta ma perlopiù postuma. La Apple a guida Tim Cook si è dimostrata maggiormente aperta sin da subito, fatto dimostrato dai numerosi leak. La macchina gestionale in quel di Cupertino è però naturalmente molto più complessa della leadership visibile sulle pagine sito Apple: c’è un vasto gruppo molto ben equipaggiato per qualsiasi ambito.

Ad approfondire la questione ci ha pensato The Information (a pagamento; fonte free 9to5Mac). A guidare i 132.000 impiegati globali di Apple vi sono 180 dirigenti, ognuno nell’organigramma con una linea di comando ben definita che arriva fino a Cook. Non desta troppe sorprese nel sapere che lo stile dell’attuale CEO viene abbastanza apprezzato sia dai dipendenti sia all’interno dell’esecutivo, confermando come Cook non cerchi il confronto a tutti i costi ma preferisca trovare un punto di consenso comune, all’esatto opposto quindi del metodo di Jobs. I vari elementi del team non vengono posti l’uno contro l’altro per stabilire quale sia la soluzione vincente, ma incoraggiati a trovare una strada che soddisfi tutte le parti prendendo gli aspetti migliori dalle varie proposte.

Nel complesso, Cook preferisce delegare agli altri vicepresidenti divisionali le responsabilità ordinarie all’interno di Apple, assumendo più un ruolo di supervisione generale, un aspetto che si può cogliere anche nei keynote. Anche in questo caso si trova una netta differenza con Jobs, che invece tendeva ad accentrare per sé il controllo su tutto ciò che rientrava nella sua sfera d’interesse. In un tale scenario più “rilassato”, c’è spazio per altri dirigenti per mettersi in luce ed alzare il proprio status nelle gerarchie. Sorpresa, non si tratta di Jony Ive. Il report di The Information mostra invece un Phil Schiller arrivato ormai quasi ad essere un CEO in pectore, probabilmente tra i favoriti in caso di un’eventuale successione a Cook. Personalità di lungo corso in Apple, avendo avuto un primo periodo in piena era Sculley e rientrato poi nel 1997 pressoché contemporaneamente a Jobs, Schiller ha acquisito una netta influenza sullo sviluppo dei prodotti della mela ed una sua opinione avversa basta a far naufragare un progetto. Che quest’ultimo sia grande o piccolo non fa differenza, prova n’è l’esempio citato della funzionalità di Spotlight seccata in una riunione con un laconico “No F***ing Way”, versione alquanto colorita del nostro “Neanche per idea”.

Tanti ingranaggi, che collegano tra loro volti già noti della vecchia guardia ed altri più nuovi ed emergenti (il caso ad esempio di John Giannandrea, il SVP per l’intelligenza artificiale) al fine di creare un gruppo solido volto ad assicurare il migliore futuro per Apple. Il periodo che stiamo vivendo sarà molto importante, nell’ottica di transizione dell’azienda californiana più verso i servizi a valore aggiunto e lo sviluppo di nuovi fronti come la realtà aumentata e la guida autonoma. Non resta che stare a guardare se le strategie intraprese daranno i loro frutti o richiederanno importanti correttivi.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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