Mirrorless vs Reflex: la fotografia vince comunque

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Oggi diciamo mirrorless e più o meno tutti capiscono di cosa stiamo parlando. L’interpretazione, però, non è sempre quella giusta. Alcuni credono che siano delle fotocamere compatte, altri le ritengono più piccole ma con minore qualità rispetto le tradizionali reflex. Mi è capitato anche di parlare con fotografi convinti che non esistessero delle senza specchio con sensore Full Frame, mentre Sony le ha dal 2014 e nell’ultimo anno si sono adeguati anche Canon, Nikon e infine Panasonic (parlando solo del segmento mainstream). Non è mia intenzione ripercorrere tutti i passaggi della recente storia che ci hanno portato all’attuale proposta di mercato, ma potrebbe essere utile fare il punto della situazione, con pro e contro dei due principali sistemi ad ottiche intercambiabili.

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Con o senza specchio

All’inizio il termine “mirrorless” non era quello standard per identificare questa categoria di fotocamere ma oggi è universalmente accettato in quanto il più noto e diffuso. La parola stessa, o meglio le due che la compongono, chiariscono inequivocabilmente la natura di questi modelli, in cui manca per l’appunto lo specchio. Al contrario, questo rappresenta l’elemento strutturale distintivo delle reflex, in cui tra l’obiettivo e il sensore è posto uno specchio che invia una piccola parte della luce catturata al sistema di messa a fuoco per rilevamento di fase e tutto il resto al gruppo ottico del mirino, che può essere un pentaspecchio o un pentaprisma nei modelli di migliore qualità.

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Immagine da Wikipedia

Questa soluzione è nata per risolvere un problema annoso delle fotocamere, ovvero quello di poter “vedere” con precisione ciò che l’obiettivo inquadra (e fotografa), senza gli errori di parallasse tipici delle rangefinder e di altre fotocamere, in cui il mirino era un elemento a parte rispetto all’abbinata ottica-sensore.

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Difetto qui esasperato al solo scopo di maggiore chiarezza

La differenza in ciò che vedi

Nei mirini ottici delle reflex si vede ciò che verrà immortalato sul sensore premendo il pulsante di scatto, con un rumore caratteristico dovuto al fatto che lo specchio si alzerà (oscurando brevemente il mirino) e la tendina dell’otturatore si aprirà per la durata dell’esposizione definita dal fotografo. La visione ottica è “reale”, non tiene conto dei parametri impostati, e al buio sarà scura, anche più di ciò che si vede dal vivo (in base alla luminosità dell’obiettivo e alla qualità dei componenti ottici del mirino). Alcune informazioni sono proiettate sopra di esso (ad esempio i punti AF), mentre altre sono visibili a margine.

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Nelle reflex lo schermo rimane quasi sempre spento perché si usa il mirino ottico

Nelle mirrorless non posso esistere i mirini ottici perché non c’è lo specchio tra il retro dell’obiettivo e il sensore, quindi al loro posto si trovano i mirini elettronici, solitamente identificati dalla sigla EVF (Electronic ViewFinder). Questi sono essenzialmente dei display che mostrano in tempo reale ciò che arriva al sensore tramite l’ottica.

All’inizio erano una spina nel fianco, poiché la qualità era ben distante da quella dei mirini ottici delle reflex, mentre oggi hanno raggiunto una qualità eccellente. Numeri alla mano, attualmente il migliore è quello della Lumix S1, che dispone di un pannello con 5,76 milioni di punti e frequenza di refresh di 120fps, ma anche in fascia media la dimensione, la risoluzione e la fluidità sono molto valide. Tra i vantaggi degli EVF si annovera principalmente la possibilità di avere un’effettiva anteprima dello scatto, simulando l’attuale esposizione in base ai parametri definiti per tempo, ISO ed apertura. Anche eventuali effetti come le simulazioni pellicola o il bianco e nero si posso pre-visualizzare: in pratica si vede già la foto per come sarà e si sceglie se catturarla o meno. Con le reflex ci si può basare sulle indicazioni dell’esposimetro, ma non è altrettanto esplicativo. Inoltre il mirino elettronico ci permette di vedere più informazioni utili, dal momento che è, di fatto, un secondo schermo. Ancora oggi c’è chi predilige la visione ottica delle reflex, ed è comprensibile soprattutto per chi ci è abituato, ma è davvero difficile ignorare i vantaggi di un buon EVF.

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La dimensione conta sempre meno

Togliendo lo specchio si ha la possibilità di ridurre il tiraggio, ovvero lo spazio tra l’innesto dell’obiettivo e il sensore. Uno degli effetti secondari più interessanti di questa modifica è quello di poter aumentare il potere risolvente delle ottiche, ma quello più evidente è la riduzione delle dimensioni e del peso del corpo. Per questo motivo i claim delle mirrorless nei primi anni della loro diffusione erano incentrati su leggerezza e compattezza, ma la questione richiede un maggiore approfondimento.

Togliere lo specchio di per sé significa eliminare un pezzo e tutti gli elementi meccanici ad esso correlati, andando effetivamente ad incidere positivamente sull’ago della bilancia (ma non troppo). Ridurre il tiraggio, e quindi lo spessore del corpo, è invece un’opzione, che per quanto scontata non è automatica. Intendiamoci, non ha molto senso lasciare uno spazio vuoto al posto di quegli elementi, ma ci sono dei precedenti come quello della Pentax K-01 o della Sigma SD Quattro. A parte le ridotte eccezioni, però, nei sistemi mirrorless si è giustamente approfittato dell’assenza dello specchio per ridurre di pochi centimetri la profondità delle macchine fotografiche. Il fatto che vi siano delle reflex molto grandi (come la Nikon D5) e delle mirrorless piccolissime (come la Nikon 1 J5), non ha quasi nulla a che vedere con questo discorso.

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In passato ho scritto smettiamola di dire che le mirrorless sono più piccole delle reflex, articolo in cui ho approfondito la questione più nel dettaglio. Voleva essere un po’ provocatorio il discorso, ma la verità dei fatti è che non è lo specchio la ragione principale per cui le reflex sono mediamente più ingombranti delle mirrorless. Il primo motivo deriva essenzialmente da una scelta dei produttori, guidati dalla volontà di rispondere ad una crescente domanda di portabilità e leggerezza. Sony ha fatto un lavoro incredibile di miniaturizzazione se si guardano le A7, ma non è tutto oro quel che luccica. Ridurre le dimensioni ha anche l’effetto negativo di sacrificare l’ergonomia, cosa che non sempre è apprezzata. Inoltre c’è un importante discorso che va fatto circa il sensore e gli obiettivi, poiché basandosi sul formato 35mm (comunemente definito full-frame), gli obiettivi di una mirrorless non avranno alcun vantaggio dimensionale rispetto quelli delle reflex. Ricordiamo sempre che una fotocamera ad ottiche intercambiabili funziona solo con un obiettivo connesso, dunque la misura ed il peso effettivi non saranno mai soltanto quelli del corpo.

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I sistemi mirrorless in cui davvero si risparmia in peso e dimensioni, mantenendo però un giusto equilibrio tra corpo e ottica, sono quelli in cui si usa un sensore di dimensione inferiore. Questo vale ad esempio per tutte le Fujifilm serie X in standard APS-C, dove oltre alla riduzione di spessore dovuta all’assenza dello specchio si è ricercato anche un contenimento sensato delle altre due misure, tenendo conto del fatto che gli obiettivi sono più piccoli rispetto quelli delle ful-from e (mirrorless o reflex che siano). Discorso simile, ma ancora più estremo, riguarda il segmento del Micro Quattro Terzi, in cui il sensore è persino più piccolo.

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Qui sopra vedete alcuni esempi di corpi Olympus e Panasonic Micro Quattro Terzi, dove quelli più piccoli lo sono non soltanto per il sensore. Volendo si può leggere la cosa anche al contrario, poiché nelle Lumix della serie G/GH si evidenzia un formato, uno stile e dimensioni che non sono poi così diverse da quelle di una reflex di fascia media. Si tratta ancora una volta di scelte del produttore, che in questo caso ha voluto realizzare una serie che fa dell’ergonomia uno dei principali punti di forza.

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Una fotocamera come la Lumix GH4 è più grande dello stretto necessario, perché non tutti quelli che comprano una mirrorless lo fanno per le dimensioni. C’è anche chi le sceglie per gli altri vantaggi ma preferisce un corpo che non sacrifica l’ergonomia. Attualmente possiedo sia una Sony A7 III (full frame) che una Lumix G9 (MFT) e quest’ultima è più grande e comoda pur avendo un sensore molto più piccolo.

La differenza in termini di equilibrio diventa evidente quando ci si mette sopra un obiettivo, perché sulla A7 sono necessariamente più grandi rispetto a quelli per la Lumix, quindi la prima diventa sbilanciata mentre la seconda mantiene tutta la sua comodità. Ovviamente sensore più grande significa mediamente una maggiore resa ad alti ISO ed un maggiore effetto trimensionale e di sfocatura a parità di luminosità della lente, per cui non c’è un giusto o sbagliato, né si può definire un sistema migliore di un altro sotto tutti i punti di vista, le cose importanti da ricordare sono due:

  1. esistono corpi mirrorless grandi e piccoli così come reflex grandi e piccole
  2. la vera differenza in termini di peso ed ingombro si può avvertire quando aumenta il numero di obiettivi nel proprio corredo e quelli più piccoli sono generalmente correlati a sensori più piccoli, a prescindere dal fatto che la fotocamera su cui si usano abbia o meno lo specchio

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La qualità d’immagine

Questo aspetto si potrebbe completamente escludere dalla valutazione, ma lo aggiungo brevemente al solo scopo di disambiguazione. La qualità tecnica di una fotografia (mettiamo da parte il valore artistico) non ha nulla a che vedere con lo specchio. In generale vale il discorso per cui il sensore più grande ha una resa migliore, specie salendo con le sensibilità, ma trovandosi quelli di uguali dimensioni anche sulle mirrorless non c’è alcuna differenza legata a questo aspetto. Anzi, essendo i sistemi mirrorless molto più giovani, è facile che si adopereranno con lenti di ultima generazione nate per il digitale e che offrono un miglior potere risolvente.

La messa a fuoco

Uno degli elementi cruciali in fotografia è la messa fuoco, ovvero la sua velocità ed efficienza. Come detto inizialmente, lo specchio delle reflex invia una parte della luce al sistema AF dove si trovano uno o più coppie di sensori. È proprio grazie a queste che la fotocamera riesce a valutare come spostare la messa a fuoco dell’obiettivo per mettere a fuoco il soggetto. In sostanza viene ricercato il punto in cui le letture di luce ottenute dalla coppia di sensori attiva (che chiamiamo punto) siano “in fase”. Il vantaggio di questo metodo è che valuta poche informazioni per volta ed essendo basate sulla luce può essere molto veloce, inoltre è in grado di capire in quale direzione spostare la meccanica dell’obiettivo per ottenere la corretta messa a fuoco, dunque non deve procedere per tentativi.

Togliendo lo specchio è sparita anche la possibilità di usare questo tipo di sistema AF, dunque le prime mirrorless erano costrette ad analizzare pixel per pixel l’immagine e a muovere la messa a fuoco fino a trovare il punto di massimo contrasto. A differenza di quello che molti pensano, la ricerca di contrasto è quanto (se non più) precisa rispetto a quella di fase; i suoi problemi sono altri. Intanto dipende dalla capacità di calcolo dei processori, motivo per cui è partita con grandi difficoltà ma il tempo e il progresso tecnologico hanno giocato a suo favore. Non sapere fin da subito in che direzione muoversi dipende dalla difficoltà nel determinare se un soggetto sia sfocato perché più lontano o vicino rispetto al piano focale, dunque si doveva tentare e poteva succedere che il primo movimento fosse nella direzione sbagliata (peggiorando le cose). Così si spiega quel “saltello” avanti e indietro tipico delle prime mirrorless, che oltre a far perdere tempo era spiacevole da vedere e peggio ancora da registrare nel caso di video. Da notare che lo stesso effetto, per giunta amplificato, si poteva vedere nelle reflex in modalità Live View, ovvero quando queste imitano la resa delle mirrorless alzando lo specchio e mostrando l’immagine in tempo reale sullo schermo.

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Il paragrafo qui sopra è storia, ma è per lo più storia vecchia. Le attuali mirrorless hanno sistemi di messa a fuoco spesso più veloci e complessi di quelli delle reflex di pari prezzo. Per ottenere un risultato così eccezionale, su cui nessuno avrebbe scommesso fino a pochi anni fa, i produttori hanno seguito strade differenti. Nikon, Sony, Fujifilm e Olympus hanno iniziato a realizzare sistemi AF ibridi, sostituendo alcuni pixel del sensore con punti adibiti al rilevamento di fase, così da equiparare le reflex. Attualmente quasi tutti i modelli di recente presentazione sono così e anche quelli in cui vi sia solo la ricerca di contrasto hanno un’efficienza che era inimmaginabile solo cinque anni fa (penso ad esempio all’ottima Olympus E-M5 II).

I due principali outsider sono Canon e Panasonic. La prima ha realizzato forse il sistema più efficiente “fin da subito”, in quanto col Dual Pixel CMOS AF riesce ad effettuare il rilevamento di fase su quasi su tutti i pixel del sensore, senza per questo perdere l’informazione fotografica. È veloce, preciso e “sa” in che direzione andare, cosa che si rende molto evidente anche nella precisione dei cambi fuoco automatici in modalità video.

Panasonic è un caso un po’ a parte in quanto è l’unica rimasta fermamente e per tutti i modelli nell’ambito della ricerca di contrasto. Alcuni anni fa ha presentato un sistema proprietario definito DfD, ovvero Depth from Defocus, che si pone l’ambizioso obiettivo di ricostruire la profondità di una scena analizzando le aree fuori fuoco. Lo schema qui sopra era parte della presentazione della GH5, per fare vedere i miglioramenti rispetto la precedente GH4. Il nuovo modello analizza l’immagine 480 volte al secondo (in realtà una versione “ridotta” di soli 8160 pixel) e utilizza degli algoritmi predittivi per identificare e seguire gli oggetti in movimento.

Il sistema è effettivamente molto veloce e mantiene la precisione assoluta della ricerca di contrasto, ma invece di utilizzare un’informazione “secca” e se vogliamo semplice come quella del rilevamento di fase, si complica la vita cercando di ricostruirla a partire dell’immagine finale. Questo significa naturalmente molti più calcoli e complessità per il processore, tanto che molti si chiedono se ne valga effettivamente la pena. Ad oggi appare effettivamente più sensata la soluzione ibrida degli altri brand, ma non è detto che sarà sempre così. Panasonic ha già raggiunto un’ottima efficienza (chiedere alla Lumix G9) ma il suo sistema può giovare più degli altri dei progressi tecnologici dei processori. Pensate a quando le sarà possibile analizzare tutti i pixel della scena a questa velocità, magari integrando anche l’IA per “interpretarla”. Ad oggi forse fa un po’ più di fatica dei migliori sistemi ibridi in pochi specifici ambiti, ma offre già più funzioni/opzioni ed ha delle chance di evoluzione praticamente senza limiti, bisognerà solo vedere se e quanto Panasonic continuerà ad investirci (ma il fatto che anche la nuova S1 utilizzi il DfD è un buon segno in tal senso).

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Autonomia

Un altro scoglio che le mirrorless devono superare è quello dei consumi. Nella modalità d’uso tipica delle reflex si usa quasi esclusivamente il mirino ottico e si passa allo schermo solo per i menu o rivedere le foto rapidamente. Nelle mirrorless, invece, uno dei due display è sempre acceso: o il mirino o lo schermo posteriore. Già questo comporta un incredibile aumento di consumo a cui si aggiunge il fatto che il sensore riamane costantemente in funzione. Sapendo ciò, si apprezza certamente di più il risultato ottenuto dalle moderne senza specchio, che comunque non pareggiano ancora le autonomie delle reflex per questioni strutturali. Con il passare degli anni l’autonomia sta comunque migliorando e c’è sempre la possibilità di usare batterie di scorta o i battery grip (con quello della Fujifilm X-H1 si arriva ad usare 3 batterie insieme).

Il futuro è senza

All’inizio eravamo solo in pochi audaci sperimentatori ad usare le senza specchio, oggi tutti si rincorrono come se ci fosse un premio per chi le ha scoperte prima o ci ha creduto prima degli altri (situazione degenerata nel 2018 con l’arrivo di Canon e Nikon). Ma basta guardare gli annunci di nuove fotocamere per capire in quale direzione vada il mercato: saranno forse 10:1 le mirrorless vs reflex che escono ogni anno. È vero che non ci sono ancora valide alternative a corpi del calibro di Canon 1D X II o Nikon D5, ma la direzione ormai è tracciata e prima o poi arriveranno anche quelli (c’è la Olympus E-M1x ma non è full-frame). Certo qualcuno vorrà rimanere nel mondo reflex, specie possedendo migliaia di euro di obiettivi ed accessori, e si deve ancora verificare l’efficienza dei programmi di supporto professionale che alcuni brand hanno inaugurato solo di recente. Tuttavia la maggior parte delle persone che comprano oggi una reflex lo fa sostanzialmente perché si arrende all’inerzia. Mancava anche l’indiscutibile appeal di Canon e Nikon in questo settore, ma quest’anno si sono decisi ad entrarci a gamba tesa, per cui ci sono pochi dubbi che il futuro sia delle senza specchio. E lo si vede anche perché è lì che si sono concentrate tutte le più belle innovazioni degli ultimi anni. Comunque vada, spero solo che si continuino ad usare le “macchine fotografiche” anche al di fuori dell’ambito strettamente lavorativo e che non finiscano per scomparire del tutto in favore dei nostri amati smartphone.

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.