Apple e Spotify (ancora) ai ferri corti per le politiche dell’App Store

Leggi questo articolo grazie alle donazioni di Matteo Capuzzi, Andrea Pasqua, Data Brite, Federico Tonello, Guido Brescia, Emanuele Beffa, Antonio Fedele Martina.
♥ Partecipa anche tu alle donazioni: sostieni SaggiaMente, sostieni le tue passioni!

Era il 2007 quando Jobs presentò il primo iPhone, un dispositivo innovativo ma forse troppo chiuso, tanto che gli sviluppatori indipendenti, a colpi di jailbreak e di Intaller.app, crearono una florida comunità di appassionati che, pur correndo il rischio di bloccare i propri telefoni, installavano applicazioni per gli usi più disparati. Imparata la lezione, nel giro di qualche mese Apple permise a quegli stessi sviluppatori di creare programmi per iPhoneOS 2.0, all’interno del quale sarebbe stata disponibile la prima incarnazione dell’App Store. Di lì a poco app come Shazam, WhatsApp e Facebook fecero la loro comparsa, diffondendosi a macchia d’olio sui milioni di terminali in circolazione. L’operazione, quindi, ebbe un enorme successo, tanto da creare quel fenomeno che ancora oggi è conosciuto come “app economy”.

La diffusione della base di utenti di iOS (e, in parallelo, anche quella di Android) ha permesso a molti servizi di promuoversi e di crearsi un proprio mercato, più o meno ampio che sia. Fra questi v’è Spotify che, però, mercoledì scorso ha presentato un ricorso contro Apple innanzi alla Commissione Europea, lamentando una lesione della libera concorrenza. Per la società svedese, dunque, Cupertino sfrutterebbe la propria posizione per contrastare la crescita delle app concorrenti ad Apple Music con l’imposizione di alcune policy non condivisibili: fee sugli abbonamenti troppo alte e politiche di approvazione e gestione degli aggiornamenti troppo restrittive, tanto da poter essere sfruttate per rallentare i rilasci degli aggiornamenti. Secondo Spotify Apple agirebbe da monopolista, attuando pratiche che spingerebbero gli utenti iOS a migrare sempre di più verso Apple Music, abbandonando così i servizi concorrenti.

Non è la prima volta che Spotify tenta di colpire Cupertino al cuore di App Store: qualche tempo fa, infatti, ha richiesto l’intervento di Juncker nella questione con una lettera scritta assieme a Deezer a dicembre 2017 e un’altra a maggio dello stesso anno. Del resto, le ostilità fra i due colossi dello streaming musicale sono iniziate nel 2016, quando Apple tardò ad approvare un aggiornamento di Spotify: a sentire Bruce Sewell, procuratore di Cupertino, la colpa sarebbe stata da ascriversi unicamente all’azienda svedese che non avrebbe collaborato alla risoluzione di alcuni problemi di conformità alle regole di App Store rilevati dal team di approvazione, visto che Spotify avrebbe più e più volte spinto i propri utenti a sottoscrivere i piani Premium tramite il proprio sito, scoraggiandoli con la proposizione di prezzi più alti del 30%, proprio per coprire le revenue da corrispondere all’azienda californiana per ogni abbonato.

Ad ogni modo, la vicenda portò Apple a riflettere sulle commissioni che applicava alle sottoscrizioni delle app (che, ormai, è il nuovo modo di licenziare il software, che ci piaccia oppure no), tanto da decidere che dal secondo anno di sottoscrizione in poi avrebbe trattenuto solo il 15% per ogni abbonato, venendo così incontro alle esigenze di tutti gli sviluppatori. Anche questo tipo di apertura, però, non sembra bastare al CEO di Spotify che sostiene che i servizi come il suo debbano operare in un mercato dove la libera concorrenza non solo deve essere incoraggiata, ma anche garantita dalle istituzioni.

La riposta, pubblica, di Apple è arrivata nella giornata di oggi con un post sul suo blog aziendale: dopo un breve riassunto della storia di App Store e di iTunes Store, la società interviene su tre temi che ritiene fondamentali per capire la sua posizione nei confronti di Spotify. Il primo è proprio quello relativo all’accusa di ritardare volontariamente le approvazioni degli aggiornamenti dell’app, cosa che non è mai avvenuta: infatti, dal lancio di Spotify per iOS ad oggi sono stati approvati circa 200 aggiornamenti del programma che è stato per giunta scaricato oltre 300 milioni di volte. L’unico episodio che ha comportato un ritardo nell’approvazione dell’aggiornamento è stato proprio quando Spotify ha cercato di aggirare le linee guida di App Store per gli abbonamenti. Per di più, Apple non si spiega come mai Spotify lamenti problemi sull’estensione per watchOS, visto che è stata approvata con la stessa velocità di tutte le altre app ed oggi è ancora la prima nella categoria Musica.

Il secondo tema, invece, riguarda la presunzione di Spotify di voler essere trattata come i concorrenti che offrono i propri servizi gratuitamente (o che, invece, vendono beni fisici). Per Cupertino, lo sfruttamento del sistema sicuro di in-app purchase è sempre soggetto a una fee che, come già ricordato, è pari al 30% del prezzo dell’abbonamento per il primo anno e al 15% per gli anni successivi. D’altronde, visto che una grande fetta di utenza ascolta Spotify gratuitamente e che una buona parte di quella Premium proviene dalle partnership strette con gli operatori telefonici (ai quali viene comunque corrisposta una percentuale sugli abbonamenti), solo una piccola parte sottoscrive gli abbonamenti in-app. Per Apple, quindi, non solo il calo di introiti di Spotify sarebbe minimo, ma il mettere a disposizione un sistema di pagamento sicuro e i tool per lo sviluppo è un servizio che non può essere di certo gratuito.

Infine, come terzo e ultimo tema, l’azienda californiana ricorda come Spotify si sia opposta alla decisione della Copyright Royalty Board (la SIAE americana) di alzare le royalties da corrispondere ai musicisti per l’ascolto di ogni singolo brano, ritenendolo un atteggiamento che piò danneggiare l’intera industria musicale. Ovviamente, non è mancata la replica di un portavoce di Spotify che ha semplicemente sottolineato come Cupertino voglia distrarre l’attenzione dai suoi comportamenti del tutto anticompetitivi e che confidano nella pronuncia della Commissione Europea sul punto.

La questione non può essere risolta semplicemente fra le pagine di un qualsiasi blog sul pianeta visto che, non solo giuridicamente parlando, risulta abbastanza complessa. Apple ha creato il proprio ecosistema, dotato di proprie regole che sono uniformemente rispettate da tutti gli sviluppatori: a ben pensarci, App Store è pieno di servizi concorrenti a quelli di Apple (Microsoft ha la sua versione di Office che compete contro iWork, Dropbox contro iCloud Drive, Readdle contro File, Evernote contro Note, WhatsApp contro iMessage, Alexa e Google Assistant contro Siri…) che, però, hanno saputo trovare la propria collocazione all’interno della piattaforma. Del resto, una situazione non dissimile è presente anche nel mondo Android, dove i produttori che versano a Google le royalties per i Google Service installano di default anche Play Musica e YouTube che, nonostante tutto, continua ad essere uno dei principali servizi per l’ascolto di musica in streaming. D’altro canto, non si possono non condividere i timori di Spotify che potenzialmente è in balìa di una società che da un momento all’altro potrebbe limitare ulteriormente la libertà di movimento degli sviluppatori nel proprio interesse.

La vicenda sembrerebbe simile a quella di un decennio fa che ha coinvolto Microsoft ed Internet Explorer, unico browser presente al momento dell’installazione di Windows, cosa che ha comportato l’obbligo di inserire un Ballot screen al primo avvio del programma, con la differenza che, all’epoca, la diffusione dei programmi concorrenti era molto più limitata di quella di Spotify nei confronti di Apple Music, così come la consapevolezza degli utenti consumatori circa l’esistenza di valide alternative. Non mi stupirebbe, quindi, che la Commissione Europea rigettasse il ricorso di Spotify, visto che le politiche di Apple non sembrano essere così esclusive come quelle della Microsoft dei primi anni 2000. Non appena ci saranno novità non mancheremo di segnalarvele e, se di rilievo, di commentarvele adeguatamente.

Elio Franco

Editor - Sono un avvocato esperto in diritto delle nuove tecnologie, codice dell'amministrazione digitale, privacy e sicurezza informatica. Mi piace esplorare i nuovi rami del diritto che nascono in seguito all'evoluzione tecnologica. Patito di videogiochi, ne ho una pila ancora da finire per mancanza di tempo.

Commenti controllati Oltre a richiedere rispetto ed educazione, vi ricordiamo che tutti i commenti con un link entrano in coda di moderazione e possono passare diverse ore prima che un admin li attivi. Anche i punti senza uno spazio dopo possono essere considerati link causando lo stesso problema.