iFixit spiega perché forse la AirPower non avrebbe mai potuto essere commercializzata

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Alla fine, ciò che con molte probabilità doveva succedere è successo: venerdì Apple ha cessato il progetto AirPower. L’ambiziosa base che avrebbe potuto ricaricare contemporaneamente iPhone, Apple Watch ed AirPods, così come altri dispositivi compatibili con lo standard Qi, non si farà. Forse troppo ambiziosa, dal momento che nei 18 mesi trascorsi tra la presentazione e la cancellazione si sono susseguiti report su importanti problemi progettuali, in primis l’eccessivo surriscaldamento durante l’uso. Proprio lì risiede il nocciolo della questione, come spiega iFixit in un dettagliato post cui hanno contribuito esperti del settore.

Il principio su cui si basava l’AirPower e su cui si basano le altri basi di ricarica in commercio è l’induzione. Una volta collegata la base alla corrente, le bobine sotto la sua superficie creano un campo elettromagnetico, a sua volta intercettato dalle corrispettive bobine del dispositivo ricevente che compiono di fatto l’operazione inversa, ricaricando corrente per ricaricare la batteria. Il sistema ad induzione, benché pratico, non è perfetto e oltre alla necessità di distanze molto ravvicinate genera onde di frequenze radio che possono interferire con quelle di prodotti terzi, motivo per cui ci sono limiti molto precisi imposti dai vari enti mondiali. Un sistema così complesso come quello pensato da Apple li avrebbe inevitabilmente sforati, a detta degli esperti, poiché passibile d’interferenze distruttive nei confronti di altri dispositivi. Rischi seri, dato che non parliamo di telefoni cordless o di reti Wi-Fi, bensì di pacemaker e apparecchi acustici. A ciò si aggiunge il forte riscaldamento della base stessa dovuto all’elevata concentrazione di bobine per garantire un buon livello di ricarica a tutti i dispositivi collocati ovunque sulla superficie, come si può vedere nella sottostante immagine proveniente da uno dei brevetti:

È verosimile che il progetto sulla carta funzionasse nei laboratori di Cupertino, non tenendo inizialmente conto dei limiti elettromagnetici, rinviati ad un secondo momento. È altrettanto verosimile che, giunta al punto in cui doveva rientrare in tali limiti, Apple abbia tentato fino all’ultimo momento di superare lo scoglio senza compromettere la riuscita dell’AirPower, testimoniato dai ritrovamenti recenti e dal disegno stilizzato della base sulla confezione di vendita delle nuove AirPods. Ma la fisica non è un’opinione: con una semplificazione estrema, si potrebbe riassumere sostenendo che il risultato finale sarebbe stato più vicino ad una piastra di cottura ad induzione che ad una base di ricarica. L’unica alternativa sarebbe stata di puntare ad un prodotto meno pretenzioso, con poche bobine, limitato ad un massimo di due dispositivi Qi ed eventualmente sfruttando la placchetta magnetica separata per ricaricare pure Apple Watch, come la base che avevamo recensito ribattezzandola scherzosamente AirPower(y) o quella di Nomad. Ma a quel punto non sarebbe stata più l’AirPower come promessa da Apple, e l’immagine ancor più che la scienza ha reso necessario alzare bandiera bianca.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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