Spotify avverte sempre di più la pressione della concorrenza di Apple Music, che negli Stati Uniti l'ha già superata per il numero di utenti paganti. L'azienda svedese continua a migliorare il suo servizio, aggiungendo funzioni come l'ascolto dei podcast (qui SaggioPodcast e PixelClub), ma sta anche tentando di combattere sul piano legale e morale. La diatriba si è accesa nei mesi scorsi e verte sul fatto che sottoscrivendo un piano da iOS l'azienda di Cupertino trattiene il 30% per il primo anno e il 15% dai successivi. Secondo Spotify questa è una concorrenza sleale, visto che Apple sottrae guadagno ad un concorrente diretto del suo servizio Music.
Si sente sempre più il bisogno di una regolamentazione chiara in merito agli shop online, in particolare quando si è di fronte a dei player che attraverso la propria piattaforma vendono sia i propri prodotti e servizi che quelli di terzi. È quello che fa Apple con l'App Store, ma la cosa si può estendere anche ai negozi come Amazon, che gestisce il sito come un marketplace aperto, ma al suo interno propone anche i suoi prodotti Amazon Basics e di altre linee sempre più vaste (come Solimo). È tuttavia difficile tracciare i contorni di un eventuale problema, in quanto i passi fatti dalle aziende per trovarsi in questa posizione privilegiata sono comunque legittimi.
Eppure l'appello di Spotify sembra essere stato raccolto dall'Unione Europea, sempre più determinata a far capire alle big della Silicon Vallery che il Vecchio Continente fa sul serio. Abbiamo visto infatti le numerose multe già comminate in passato ad Apple, Google, ecc.. e il Financial Times (via 9to5mac) sostiene che anche questa vicenda sia stata presa in esame, dando il via libera per una commissione antitrust che verificherà la condotta di Apple.
Dal canto mio, come semplice utente ed osservatore tecnologico, capisco la posizione di Spotify ma anche quella di Apple. La prima vede erodere i suoi bilanci dalla medesima azienda che gli fa concorrenza e la seconda ha creato un ecosistema in cui offre anche ad altri la possibilità di guadagnare, ma non può farlo gratuitamente. Sarebbe come possedere lo stabile di un centro commerciale in cui si apre un negozio a proprio brand per vendere scarpe e poi non si facesse pagare l'affitto ad un altro negozio che vuole aprire nello stesso luogo vendendo il medesimo prodotto. La questione mi viene in mente ogni volta che entro in supermercato, dove trovo magari i biscotti con lo stesso marchio dell'insegna vicino a quelli Mulino Bianco, Galbusera, Pavesi, ecc.-.