iOS 13 e iPadOS: il buono, il brutto e il cattivo (per me)

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Un’altra WWDC è andata. D’accordo, in realtà la conferenza dura tutta la settimana, ma il grosso per noi avviene nella giornata iniziale. Avendo un buon quadro delle novità in arrivo, è tempo di una prima riflessione, soprattutto sul piatto forte: iOS 13, insieme alla sua mezza controparte iPadOS. Come negli scorsi due anni, anche stavolta è tempo di valutare il buono, il brutto e il cattivo, sempre ovviamente in una chiave personale e tenendo conto che da qui a settembre potrà esserci qualche cambiamento, per quanto gli sforzi maggiori si può dire siano stati fatti.

Il buono

Ora si vola (bug permettendo)

La strategia di sviluppo biennale sta dando grandissimi frutti. iOS 11 è stato per molti un intermezzo non troppo felice: spinti dal voler mettere quante più funzionalità possibili in breve tempo, si è finiti per trascurare prestazioni e stabilità, specialmente sui dispositivi più anziani. Il messaggio arrivato alle orecchie di Craig Federighi da parte degli utenti è stato forte e chiaro: piuttosto meglio rallentare il ritmo ma fare le cose per bene. Così hanno fatto, con un iOS 12 prevalentemente di rifinitura che a tutti gli effetti ha ridato linfa vitale pure su prodotti venerandi come l’iPhone 5s, concedendosi comunque un po’ di nuove funzionalità. La parte davvero gustosa è stata rinviata ad iOS 13 e ieri s’è visto tutto. La predominanza della modalità scura nelle news non rende giustizia al tripudio di migliorie a tutto tondo, ancor più vaste su iPad, dove si chiedeva loro di spingere sull’acceleratore per far fede alla promessa di un dispositivo che non faccia rimpiangere i laptop tradizionali. Promessa ancora in via di mantenimento perché, al di là della schermata Home più ricca, delle istanze multiple e dei grossi miglioramenti in File e Safari, il vero banco di prova sarà portare su iPadOS pesi massimi come Final Cut Pro e simili. La strada, comunque, sembra finalmente tracciata.

Detto tutto ciò, l’auspicio è che Apple continui su questa sorta di ciclo biennale, dando tempo alle varie feature di maturare, e che trovi in tal senso un buon equilibrio. iOS 13 è una vetrina importante, per dimostrare che a Cupertino possono coniugare qualità e quantità. Alcuni bug iniziali saranno comprensibili, ma se invece si rivelerà un ciclo piuttosto impegnativo come quello a cavallo tra il 2017 e il 2018 allora vorrà dire che restano degli aggiustamenti di tiro da fare.

La potenza del 10%

Apple non perde occasione nei suoi keynote di prendere in giro i dati di diffusione di Android, rammentando che Pie in poco meno di un anno ha raggiunto solo il 10% del parco dispositivi col robottino verde, al contrario di iOS 12 che si trova ormai sull’85% degli iDevice supportati. Il problema di Android in tal senso lo sappiamo bene: per quanto Google abbia messo e continui a mettere in atto numerose iniziative al fine di aumentare la penetrazione nel mercato delle versioni più recenti, finché nell’equazione gli OEM rimarranno una variabile il risultato non sarà mai davvero quello desiderato. E infatti abbiamo visto solo piccoli passi in avanti. Eppure, al di là delle percentuali, trovo che iOS 13 abbia per certi versi abbracciato la filosofia del grande rivale. Soprattutto per il discorso iPad, il sistema Apple ha capito che ogni tanto deve togliere giacca e cravatta e indossare la tuta blu, aumentando sensibilmente le sue capacità e rispondendo così ad Android che invece negli anni ha implementato l’approccio inverso con solidi risultati alternando momenti di “fabbrica” ad altri di “ufficio”. Perciò, viva la concorrenza e speriamo che nei prossimi anni i due ecosistemi continuino ad essere l’uno stimolo per l’altro, portando benefici a tutti gli utenti.

Senza (troppe) rinunce

Oltre ad essere ricco di novità, iOS 13 le rende quasi tutte accessibili ai dispositivi supportati. Guardiamo tutta la lista di funzionalità: a parte le caratteristiche più espressamente legate alle capacità hardware, come i nuovi effetti ritratto e il supporto Dolby Atmos, il resto è tranquillamente sfruttabile persino sul piccolo iPhone SE, incluse le Memoji e quelle azioni in precedenza legate al 3D Touch, come il “peek” per vedere in anteprima i messaggi e le scorciatoie rapide tenendo premuto per qualche secondo sulle icone delle app. Il rilevamento della pressione su iOS non è mai decollato e dal canto suo Android ha dimostrato che coi giusti accorgimenti molte delle sue peculiarità ritenute esclusive sono tranquillamente fattibili con la pressione lunga. Con iPhone XR che ha mantenuto il solo feedback aptico, la parte davvero buona del tutto perché restituisce il senso fisico all’azione compiuta, la condanna a morte per il 3D Touch è segnata e come da rumor e probabilmente scomparirà da tutti i nuovi iPhone della classe 2019. Anche per uniformità d’esperienza d’uso, bene ha fatto Apple a completare lato software il disimpegno che era già in corso sin da iOS 11.

C’è anche un altro aspetto che scorge all’occhio sempre scorrendo tutto il listone sul sito Apple. Alla fine le caratteristiche esclusive di iPadOS non sono poi così tante. Le maggiori funzionalità di File, il download manager di Safari, la possibilità d’installare font personalizzati dallo Store, sono tutte disponibili anche su iPhone e iPod touch. A dire il vero, ce n’è pure un’altra e ne parleremo subito sotto.

Un topo per amico

iPad chiama, mouse risponde. L’atteso supporto è arrivato, esattamente nella forma in cui avevano pronosticato le indiscrezioni: come opzione di accessibilità, nemmeno menzionata durante il keynote. Ma c’è, senza se e senza ma, ed è questo l’importante. Funziona con tutti i mouse e, a seguito di ulteriori prove, anche coi trackpad Apple. Il puntatore ha una forma alquanto strana: niente freccia, bensì una sorta di mirino, forse pure in questo caso una scelta voluta per rendere ben evidente la sua natura secondaria in un ambiente touch. Come però sostenevo ad aprile, per il bene dell’iPad è un passaggio doveroso da compiere, anche pensando proprio al momento in cui aumenteranno massicciamente le app di caratura Pro. Non snatura il metodo d’input primario e rende tutti contenti. Peraltro, ricollegandomi a come avevo finito lo scorso paragrafo, funziona anche su iPhone e iPod.

iphone-5s

Il brutto

Ogni cosa ha un inizio e anche una fine

Tecnicamente non è in sé un punto davvero brutto, ma possiamo farcelo rientrare perché comunque a qualcuno dispiacerà. iOS 13 ha sorprendentemente rispettato quei rumor di cui tanto dubitavamo, tagliando non solo i dispositivi con SoC A7, ma pure iPhone 6, 6 Plus e iPod touch di sesta generazione, che sebbene hanno lo stesso A8 degli ancora supportati iPad Air 2 e mini 4 hanno pure un GB di RAM in meno. Tutti i prodotti supportati hanno in 2 o più GB di RAM il loro comune denominatore. Doveva però prima o poi accadere: forse sugli iPhone con 1 GB c’era ancora qualche possibilità, visti gli schermi più piccoli rispetto iPad Air 1 e mini 2/3, ma iOS 13 è cresciuto parecchio e per agevolare il raggiungimento di quell’equilibrio di cui parlavo più sopra è inevitabile pensare al taglio dei rami secchi. Il 5S a settembre saluterà dopo ben 6 anni di supporto alle spalle; è giusto così. Peggio sarebbe stato se le soffiate che vedevano addirittura SE e 6s a rischio avessero avuto riscontro, quella sarebbe stata in tutta sincerità una vera ingiustizia.

L’anno scorso nel medesimo articolo ma per iOS 12, parlando del discorso longevità, espressi un parere positivo a vedere gli iPhone 6 supportati dalla tredicesima versione. Così non è stato, evidentemente non considerando il probabile ragionamento di Apple: con iOS 12 non c’era una vera intenzione di proseguire la tradizione dell’anno extra per le generazioni “s”, che si rifletteva a cascata su quelle successive. Sono stati costretti perché iOS 11 aveva messo in difficoltà proprio i 5s e a livello d’immagine Apple non poteva lasciarli su una versione buggata. Se tutto fosse andato come da loro copione, probabilmente iOS 12 avrebbe tagliato i dispositivi con SoC A7, lasciando ad iOS 13 il compito di far fuori quelli con A8, come in gran parte è avvenuto fatta eccezione per gli iPad con A8X e 2 GB di RAM. Alla fine potrebbe solo aver rinviato di un anno il piano originario.

Il rischio di un’occasione persa

Molto carina la funzionalità di autenticazione tramite Apple, che promette una maggiore privacy rispetto ai sistemi di Single Sign On più diffusi, come quelli di Facebook, Google e Microsoft. Interessante è soprattutto la randomizzazione degli indirizzi email, che permette di nascondere quelli reali alle varie applicazioni dando loro in pasto dei fittizi generati automaticamente da iCloud. Tutto bello, ma… c’è un ma. In quel di Cupertino sono stati piuttosto chiari con gli sviluppatori: se nelle vostre app usate un sistema SSO, in autunno dovrete aggiungere anche il nostro. Un obbligo corretto, vista la già citata vocazione alla privacy. Ma come facciamo su altre piattaforme? Se creo un nuovo account attraverso il sistema di autenticazione in Apple e in quel momento sto usando l’app su Android o Windows, magari nella versione online, a meno che la mela non abbia previsto l’estensione del suo metodo pure su altre piattaforme si rischia di restare al di fuori senza una differente modalità d’accesso, incluso un account ex-novo. Dall’altro lato, però, se Apple sceglierà la strada multipiattaforma dovrà necessariamente fidarsi di come vengono trattati i dati personali su un ecosistema diverso dal suo, con riferimento particolare ai software Google. L’auspicio è che nei prossimi mesi arrivino ulteriori dettagli che permettano di chiarire i dubbi a riguardo senza far trasparire troppi compromessi, altrimenti la strada verso il successo sarà parecchio impervia.

[AGGIORNAMENTO]: Ci è stato fatto notare su Twitter che proprio nella lista di features è precisata anche la compatibilità con piattaforme terze, chiarendo così questo dubbio.

Il cattivo

Siri è ancora sotto indagine

Ci tengo a precisarlo, non c’è alcun riferimento politico. Trattasi solo di un pizzico d’ironia per alleggerire la situazione dell’assistente virtuale Apple che, a dispetto delle nuove capacità mostrate ieri e di una voce più naturale, resta parecchio lontano dai suoi competitor. Certo, all’ex-Googler John Giannandrea, il Senior Vice President per l’intelligenza artificiale, non si possono chiedere miracoli nel giro di breve tempo. Il giro di svolta per Siri richiederà ancora svariati mesi, ma si spera che per la WWDC 2020 vengano mostrati maggiori progressi, quantomeno per non fare aumentare il divario ogni qual volta che Google proferisce parola.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.