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Se guardo agli eventi Apple di quest’anno, ci vedo una sorta di andamento ondulatorio. Abbiamo avuto il poco esaltante evento di marzo con la sfilata di nuovi servizi, poi un nuovo picco in alto con una WWDC 2019 carrozzata come non si vedeva da qualche anno, arrivando dunque all’evento di ieri che, a parte pochi momenti “wow”, non ha davvero spaccato mari e monti. La tagline negli inviti stampa era “By innovation only”. Ma di innovazione autentica non ne ho vista stavolta, sinceramente, più una serie di solidi upgrade.

Detta così, sembra che voglia sminuire a forza quanto presentato ieri. Nient’affatto, la continuità non è un tratto negativo. Ci sono aziende, peraltro, che pagherebbero oro per avere la stessa continuità, la normalità di Apple. Peraltro, anche lo scorso anno vi era stata l’impressione di un keynote relativamente noioso, nonostante abbia portato delle novità di peso e aperto la pista ai cavalli vincenti chiamati iPhone XR (anche se non subito; ha dovuto sudarsi i suoi buoni riscontri attraverso trade-in, abbonamenti e consistenti ribassi nei canali di vendita non ufficiali) ed Apple Watch Serie 4. Stavolta, se ripenso al tweet pubblicato da Mark Gurman alcuni giorni fa, non posso negare invece che l’impressione avuta è stata proprio quella che descrive: un punto di transizione, non d’innovazione. Il 5G, il Touch ID sotto lo schermo in coppia col Face ID, la realtà aumentata, sono tutti argomenti per il 2020.

Iniziamo dal dire che ieri non sono stati i top di gamma ad aver ottenuto il traino maggiore. Il buon riscontro di XR, che ha retto all’interno della “recessione tecnica” in cui sono finite le vendite degli iPhone, ha convinto Apple che battere su questa strada è la soluzione migliore nella ricerca di quantitativi più consistenti. iPhone 11 ha mantenuto l’equilibrio nelle caratteristiche già mostrato dal suo predecessore, aggiungendovi pure qualcosa in più come la seconda fotocamera ultra-wide. Poche rinunce, anche se importanti come quella sullo schermo, per caricare meno sul fattore prezzo. Ci ritornerò tra poco su questo aspetto.

Gli iPhone 11 Pro e Pro Max sono stati quasi offuscati dal modello minore, presentati sì come proposta enthusiast, con un comparto fotografico ancor più rimpolpato ed una maggiore autonomia, ma forse con una consapevolezza di fondo che sono state le uniche vere carte da giocarsi per convincere a passare da XS o anche X. Più in generale, i due 11 Pro meritavano il suffisso Pro? Lascio al lettore decidere, ma di certo qui non parliamo della stessa grossa differenza che si percepisce tra gli iPad “normali” ed i Pro. Tuttavia è comprensibile che, tanto nel marketing quanto nello schema globale di suddivisioni presente nella gamma Apple, sia stato utilizzato un termine già noto e coerente con le altre linee.

Tutte le migliorie mostrate sono gradite, meglio che lo ribadisca. Ma non si tratta di innovazioni, più dei doverosi miglioramenti. Né l’ultra-grandangolare né la modalità notturna, presenti su tutti e tre i modelli, sono novità targate Apple. Sulle prime LG ci punta già dal 2016, spianando la strada poi alle più apprezzate (in termini di vendita) contromosse di Huawei e Samsung; sulla seconda ci ha pensato Google lo scorso anno coi Pixel 3 e l’ha portata persino sulle due generazioni precedenti (anche se con risultati meno spettacolari, per quanto di tutto rispetto). Come sottolinea The Verge, a questo giro Apple sembra essere stata più sulla difensiva che sull’offensiva, probabilmente anche colta di sorpresa dal ritmo in cui nel mondo Android sono cresciute le capacità fotografiche dei dispositivi, tanto hardware quanto software. Fino a qualche anno fa era esattamente il contrario.

Anzi, nel complesso si può dire che quest’anno a Cupertino abbiano voluto proprio giocare sullo stesso terreno dei rivali, nel bene e nel male che una strategia del genere possa comportare. La scelta d’includere l’ultra-wide e non la tele nell’iPhone 11 base, per fare un altro esempio sempre nell’ambito camere, è speculare a quella fatta da Samsung sul Galaxy S10e. Il maggiore impatto è però sul fronte commerciale, essendoci stato un ribasso del listino proprio per il modello d’attacco. A settembre 2018 un XR da 64 GB si portava fuori dall’Apple Store con 889 €; un anno dopo il diretto successore parte da 839 €. Un effetto a cascata che coinvolgerà inevitabilmente i mercati secondari, dove andrà facile facile attorno ai 750 € (se non addirittura meno) in poco tempo. Il discorso non è stato applicato pure ai Pro, che si limitano a mantenere il prezzo dei XS che li hanno preceduti. Ma Apple lì non punta ai grandi volumi; cerca il profitto puro.

Questa è, tra le transizioni, probabilmente l’innovazione maggiore dell’evento: che Cook e soci stanno ascoltando il mercato, comportandosi di massa o di nicchia a seconda della necessità. I servizi sono una dimostrazione lampante del primo caso, ma ce n’è un’altra che sembra stia passando ingiustamente inosservata. È la Serie 3 di Apple Watch, che oggi ha un interessantissimo prezzo di attacco, essendo scesa a 239 €. Uno smartwatch ancora valido, con una piattaforma curata ed aggiornata, che lì posizionato rischia di fare molto male a Fitbit e Samsung (i Wear OS non li considero, almeno finché Google non chiarirà quanto voglia puntarci). Alla Serie 5, upgrade tutto sommato leggero del dismesso 4, resta il compito di mungere le percentuali. Reggerà questa duplice linea guida, anche in un 2020 dove ci si aspetta che Apple torni col piede sull’acceleratore? Si dovrà aspettare per capirlo, ma personalmente ci credo non poco.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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