Rischi e vantaggi nella transizione dei Mac ad Apple Silicon

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Dopo la WWDC 2020 ho deciso di iniziare ad approfondire con voi iOS, perché era la cosa più semplice da fare. Porterà diverse novità, sia sul fronte grafico che della privacy, ma non è una rivoluzione tecnologica come è invece macOS 11. Che non va visto solo sul fronte dei cambiamenti stilistici che avremo, aggiornando gli attuali Mac, ma per ciò che sotto il cofano consentirà la transizione in arrivo. Perché sì, dopo un lunghissimo lavoro dietro le quinte, che ha generato tutti i rumor che abbiamo sentito per anni, Apple ha annunciato l’atteso cambio di architettura.

La transizione che si ripete

È stato Tim Cook a parlare, ma lo ha fatto riportando ad oggi la formula e persino alcune espressioni che usò Steve Jobs 15 anni fa, quando si trovò ad affrontare una simile transizione ma a parti inverse. Questa volta non si va verso Intel ma ci si libera di Intel, anche se le motivazioni che hanno portato alla decisione sono sostanzialmente le stesse. Nel 2005 i processori PowerPC erano in un momento di crisi che ha impattato sulla produzione di Apple, mandandola praticamente in stallo. Lo dichiarò apertamente Jobs sul palco, dicendo che avevano atteso senza risultati un G5 da 3 GHz per i Power Mac ed anche una versione del G5 utilizzabile sui portatili Power Book, che avevano ancora il precedente G4.

Le similitudini tra i due annunci sono moltissime anche sul fronte delle modalità e delle tempistiche:

  • Allora erano passati 15 anni dalla transizione PowerPC ed oggi ne sono trascorsi 15 da quella Intel
  • Il motivo è sempre quello di ricercare maggiori prestazioni con minori consumi e quindi poter realizzare prodotti migliori
  • Si è parlato, come nel 2005, di una transizione di due anni, per l’intera lineup
  • E c’è stato fin da subito un developer kit, che al tempo fu un Power Mac, poi diventato Mac Pro, con Pentium 4 (a noleggio per $999) ed oggi un Mac mini con A12Z (sempre a noleggio ma per $500)
  • Infine le tecnologie utilizzate per favorire la transizione saranno sostanzialmente le stesse: Universal 2 per distribuire applicazioni compatibili con entrambe le piattaforme e Rosetta 2 che consentirà di eseguire i software preesistenti sul nuovo hardware

Apple Silicon

La vera novità, quindi, è che per la prima volta i Mac useranno processori “fatti in casa”, come succede già da tempo con iPhone ed iPad. Attualmente non è stato presentato un nuovo SoC ma ci si è affidati a quello degli ultimi iPad Pro anche per muovere il Mac mini del Developer Transition Kit. Tuttavia ci si aspetta che con il primo Mac commercializzato arrivi qualcosa di nuovo e più potente.

Il super computer più veloce al mondo è ARM

Tra l’altro il primo chip della famiglia Apple Silicon potrebbe essere realizzato inaugurando la tecnologia produttiva a 5nm, mentre i processori Intel negli attuali Mac sono a 14nm e a 10nm. Trovo anche interessante che sia proprio di questi giorni la notizia che vede per la prima volta in cima alle classifiche dei supercomputer più veloci al mondo proprio uno basato su un SoC ARM. Sono già alcuni anni che si stanno esplorando con rinnovata attenzione queste tecnologie in ambito scientifico ed enterprise, e non è certamente un caso. Fugaku, questo il nome del supercomputer giapponese, ha un processore da 48core prodotto da Fujitsu ed ha richiesto sei anni di progettazione ed un investimento di 1 miliardo di dollari. Mica bruscolini!

Vi dico spesso che i benchmark ci danno dei numerini che vanno interpretati, però se pensiamo a Geekbench 5 questo ci offre un indicatore abbastanza interessante, in quanto lo score è un moltiplicatore di prestazioni rispetto ad un i3-8100, che viene considerato la base di 1000 punti. Quindi quando leggiamo 2000 sappiamo che quel processore esegue tutto il set di operazioni considerato – che includono gestione immagini, navigazione, compressione, machine learning, ecc.. – 2 volte più velocemente. Non sono calcoli o numeri astratti ma applicazioni reali.

E se guardiamo i risultati mettendoli in progressione, vediamo che già l’Apple A13 di iPhone 11 va meglio di un MacBook Air 2020 con i5.  L’iPad Pro con A12Z (lo stesso SoC del Developer Kit) supera non soltanto l’i5 di ottava generazione del MacBook Pro 13″ 2 porte Thunderbolt, ma anche quello di decima generazione del modello con 4 porte che ho recensito da poco. Alla fine anche l’i7 del MacBook Pro 16″ non è molto distante e l’A12Z ha lo stesso processore dell’A12X dell’iPad Pro del 2018.

Quindi non ci sono dubbi che Apple abbia i numeri per coprire fin da subito la fascia portatile, così come quella desktop più semplice (vedi Mac mini), però se guardiamo le macchine superiori – ovvero iMac, iMac Pro e Mac Pro – la questione diventa più complicata. Prendiamo le versioni più potenti di questi computer, che sarebbero quelle almeno da eguagliare (anche se in realtà con un aggiornamento si dovrebbe andare oltre) e notiamo subito che i numeri sono parecchio più alti.

Tuttavia il valore in single-core è quello, dunque già con l’uso di più core (sono 28 nel Mac Pro più potente) l’avvicendamento sul fronte del processore è chiaramente alla portata. Bisogna solo stare attenti alle dimensioni, dato che un chip più grande scalda e consuma di più. E c’è anche da considerare che fin dalla prima generazione degli Apple Silicon arriverà un incremento di prestazioni che potrebbe essere bello grosso, dato che l’anno scorso non c’è stato un A13X con iPad Pro 2019 ma si è sostanzialmente riutilizzato il chip del modello precedente abilitando un core grafico prima dormiente.

Altra cosa molto importante è che le prestazioni calcolate oggi con i SoC Apple derivano dall’implementazione su dispositivi portatili senza ventole. Sicuramente questi chip scaldano poco, e se ne può fare a meno riducendo le frequenze e il voltaggio sotto carico, ma con una dissipazione attiva daranno risultati superiori. E non si tratta di 1 o 2 punti percentuali, perché aumentando il clock e sostenendolo alto nel tempo, vedremo facilmente miglioramenti a due cifre.

La questione si fa più complicata sul fronte grafico

L’Apple A12Z include una GPU con prestazioni ottime, tant’è che supera senza problemi la Iris Plus G7 che equipaggia il MacBook Pro 13″ da 4 porte Thunderbolt 3. Però si tratta sempre di una grafica integrata di Intel, mentre quelle dedicate hanno numeri decisamente superiori.

Sembra di ripetermi rispetto a quanto ho detto per i processori, ma in realtà la storia finisce diversamente. Già prendendo la GPU dei MacBook Pro 16″ i numeri sono nettamente superiori e, dovendo coprire anche la fascia più alta, c’è il Mac Pro che può avere due schede grafiche con prestazioni circa 9 volte superiori.

Quindi attualmente nei computer di fascia alta potrebbe essere ancora necessario affidarsi ad AMD (potenzialmente anche ad NVIDIA se si decidessero a sotterrare l’ascia di guerra).

Il software

Sono quattro i pilastri che guideranno questa transizione:

  1. Universal 2: grazie al quale gli sviluppatori avranno la possibilità di compilare le loro app in modo da girare nativamente sia sui processori Intel che su Apple Silicon. Federighi ha parlato di pochi giorni di lavoro per adattare la maggior parte delle app.
  2. Rosetta 2: permetterà di eseguire il software attuale, esattamente come è avvenuto anni fa nel passaggio da PowerPC ad Intel, ma con migliori prestazioni. Durante la presentazione si è sottolineato quanto questo sia efficace mostrando in esecuzione sia un gioco che Autodesk Maya, quindi non proprio cose facili facili.
  3. Virtualizzazione: consentirà di creare macchine virtuali Linux con compatibilità anche per docker.
  4. App Store: grazie all’esperienza maturata con Catalyst, con macOS 11 sui Mac con Apple SIlicon sarà possibile installare ed eseguire tutte le app di iPhone e iPad scaricandole direttamente dal Mac App Store.

Apple ha lavorato con Microsoft per portare fin da subito Office e con Adobe per la Creative Cloud, della quale sono già operativi con ottime prestazioni Photoshop e Lightroom. Arriveranno anche tutti gli altri in breve tempo, anche non è stato specificato nulla di preciso in tal senso.

Quindi si parte già con tutti i software nativi convertiti, tra cui Logic e Final Cut (che ha prestazioni molto molto valide su Apple Silicon), ma ci saranno fin da subito due dei big player per i software da ufficio e produttività. Per tutto il resto si tamponerà con Rosetta 2 fintanto che gli sviluppatori non porteranno le loro app su Universal 2. Sembra un’ottima base di partenza, insomma, tranne per una grossa incognita: Boot Camp.

E Windows?

Intanto chiariamo una cosa: la virtualizzazione non funziona per architetture differenti. Microsoft ha già in commercio, preinstallata sul Surface Pro X e su alcuni altri PC terzi, una versione di Windows 10 che gira su ARM (completa, non la vecchia RT con le sue limitazioni) e sta sviluppando il nuovo Windows 10X, ma nessuna delle due potrà essere installata senza modifiche su Apple Silicon. Questo perché i SoC sono differenti in termini di personalizzazioni ed istruzioni supportate.

Nella presentazione Apple non ha citato neanche una volta Boot Camp, ma questo non significa che sia escluso: anche Steve Jobs non ne parlò nel keynote della transizione ma lo fece l’anno successivo, nella WWDC 2006, dopo il comunicato stampa di aprile. Ad oggi non si potrà installare Windows, neanche tramite VMWare o Parallels sotto Rosetta 2, ma c’è margine per essere positivi in tal senso, dopotutto si sta già collaborando con Microsoft per Office e si potrebbe realizzare una versione di Windows ARM ad hoc per i Mac, ma non è neanche scontato che ciò accada. Per cui chi ha necessità di usare anche Windows dovrà attendere futuri sviluppi.

Il mio Mac è già obsoleto?

Dopo questo annuncio molti si sono giustamente preoccupati per il loro Mac, soprattutto quelli che ne hanno comprato uno di recente. Di sicuro i computer Apple basati sui processori Intel avrebbero avuto una vita più lunga se non si fosse deciso per questa transizione. Ma prima di abbandonare il codice doppio credo serviranno almeno due major release oltre questa, per cui diciamo che si potrebbero ricevere tutte le novità fino ad un ipotetico macOS 13 del 2022. A quel punto si avrà un anno intero con l’ultimo sistema operativo a disposizione e poi altri due o tre anni di aggiornamenti di sicurezza.

Verosimilmente ci si troverà con un computer “vintage” tra circa 6 anni. È solo una previsione, ma le tempistiche non dovrebbero variare di molto. Non sarà un transizione indolore, nessuna può esserlo del tutto, ma ci dovrebbe essere tutto il tempo per ammortizzare la spesa. Inoltre bisogna ricordarsi che anche senza aggiornamenti del sistema operativo il computer continua a funzionare. In più, ancora non si sa quale Mac riceverà per primo il trapianto di organi o se si tratterà addirittura di un modello completamente nuovo. Potrebbero confermare il Mac mini ma molte fonti autorevoli concordano sul fatto che il primo sarà un portatile, anche per mettere a frutto il potenziale vantaggio di autonomia e silenziosità. Dati i numeri potrebbe persino essere un modello Pro e c’è anche chi pensa che il ritardo nell’aggiornamento degli iMac sia dovuto proprio ad un completo redesign con tanto di Apple Silicon. E a ben guardare nella precedente transizione furono proprio MacBook Pro e ed iMac i primi ad arrivare con Intel a gennaio 2006.

Per cui è ancora tutto possibile ma nulla davvero sicuro. Giusto conviene evitare l’acquisto di un Mac nuovo per l’utente privato. Ce ne sono molti che li tengono anche per 8 o 10 anni e che chiaramente avrebbero uno scoglio in più da affrontare data la transizione in arrivo. Discorso diverso per i professionisti, che lo ammortizzeranno e cambieranno ben prima di arrivare fine corsa, nonché per chi usa strumenti finanziari come leasing o noleggio operativo. Non a caso Tim Cook ha precisato che continueranno ad uscire nuovi Mac con Intel di qui ai prossimi due anni.

Un grande disegno

Sembra quasi strano dirlo ma sono emozionato. Ho vissuto indirettamente il primo cambio di processori, poiché l’iMac che ho acquistato nel ’99 aveva già un PowerPC G3, ma sono stato completamente catturato dal secondo. Dopo aver seguito l’annuncio della transizione ad Intel, ho comprato il MacBook Pro 15″ del 2006. Da lì in poi, i miei computer principali sono sempre stati Macintosh. Oggi vedo questa ennesima transizione e so già che non sarà priva di inconvenienti, ma ne apprezzo sia i vantaggi immediati che quelli potenziali futuri.

Non uso più Boot Camp, perché ho i PC per le situazioni che richiedono Windows e i suoi software, ma ricordo bene che fu il suo annuncio a darmi la sicurezza in più che cercavo per acquistare il mio primo Mac con Intel e poi cambiare tutti i computer in azienda. Per cui capisco che in molti potranno avere dubbi in proposito e magari attendere sviluppi futuri in tal senso, però va detto che rispetto a 15 anni fa macOS conta molti più software. È più autonomo come sistema operativo ed ha anche molti più sviluppatori attivi. Con il Developer Kit sarà potenzialmente facile adattare subito le app più semplici, come le utility, mentre quelle più impegnative e professionali richiederanno del tempo aggiuntivo. Non a caso Apple ha coinvolto Adobe e Microsoft ben prima dell’annuncio pubblico.

La cosa che però mi sta più stimolando di questo momento storico è che si è arrivati ad un punto in cui si vede piuttosto chiaramente il grande progetto che ha reso possibile questa transizione. Ogni mossa compiuta da Apple negli ultimi anni ha il suo posto essenziale nel grande disegno. Pensate a Metal, che ha consentito di unificare lo sviluppo grafico su mobile e desktop, oppure a Swift, con il quale si è semplificato il codice lasciando all’interprete le complesse logiche di gestione della memoria (che Apple può così adattare alla piattaforma), oppure ancora a Project Catalyst, che ha consentito di iniziare ad usare le app di iPadOS su macOS, e ancora a Catalina che ha tagliato il supporto al software a 32bit. E queste sono solo alcune delle tappe in questo lungo percorso che, tra l’altro, ha anche una tempistica ricca di coincidenze temporali.

Apple è sempre stata attenta alle ricorrenze. Non è un caso che l’iPhone X sia arrivato proprio 10 anni dopo il primo iPhone, introducendo un sostanziale cambio nel design. O che il MacBook Air sia stato riprogettato da zero e rilanciato proprio nel 2018, 10 anni dopo il primo modello. E credo non sia una coincidenza neanche che la Magic Keyboard sia stata realizzata nel decennale della nascita di iPad.

Per quanto riguarda la transizione in arrivo, è certamente curioso che si ripeta esattamente a 15 anni dalla precedente. Tuttavia non possono aver deciso il momento in base a questo, poiché tante altre cose dovevano coincidere. E mi ha colpito anche un passaggio del keynote della WWDC 2005 in cui Steve Jobs disse che Mac OS X (prima release ufficiale nel 2001) sarebbe durato 20 anni.

Si trattò di una dichiarazione in termini commerciali, questo è chiaro. Così com’è chiaro che OS 9 “Classic” non aveva quasi nulla in comune con Mac OS X, mentre macOS 11 sarà sostanzialmente lo stesso. Probabilmente stavano solo cercando il momento buono per abbandonare quella X ed hanno atteso di completare la transizione, tuttavia se la mettiamo insieme a tutte le altre “coincidenze” fa una certa impressione.

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.