La causa Apple-Epic ha il suo verdetto: si potranno usare circuiti di pagamento esterni per gli acquisti in-app

Per questo fine settimana avevo previsto di fare un riepilogo sugli ultimi sviluppi tra Apple e gli sviluppatori riguardo potenziali modifiche al regolamento dell’App Store. Mi riferivo principalmente all’accordo di fine agosto, che tra i vari punti prevede la possibilità per i dev di informare via email gli utenti su metodi di pagamento esterni per l’acquisto di contenuti, e alla vertenza conclusasi con l’antitrust giapponese, che con efficacia a partire dal 2022 stabilisce la legittimità per le applicazioni di tipo “reader” (deputate alla fruizione di contenuti) di inserire un link web per la sottoscrizione degli abbonamenti senza passare dal sistema In-App di Cupertino. Tutte cose che potremmo definire superate alla luce della sentenza odierna riguardo la lunga e spinosa battaglia legale che ha contrapposto Apple ad Epic Games (quest’ultima ha un’analoga causa in corso anche con Google).

Pari e patta

Non dispongo delle nozioni del nostro Legal Editor Elio per esaminare le sfaccettature più tecniche della sentenza, ma in base ai punti salienti posso sentirmi convinto di una cosa: contrariamente a quanto sostenuto da varie parti, Epic non ha vinto. Nemmeno perso, sia chiaro, ma ha di fatto solo pareggiato, perché auspicava molto di più da questa vertenza. L’obiettivo dichiarato era infatti di abbattere quella che vedeva come una posizione dominante da parte di Apple con l’App Store e aprire iOS non solo a negozi digitali di terze parti, ma anche potenzialmente al caricamento manuale delle applicazioni come su macOS e Windows (nonché Android, per rimanere in tema mobile, a patto di aver abilitato nelle impostazioni la possibilità di installare app da fonti esterne). Tutti punti che la giudice Yvonne Gonzalez Rogers ha rigettato, non ravvisando una condotta strettamente monopolistica nell’operato generale di Apple col suo Store. Quest’ultima può tirare quindi un grosso sospiro di sollievo.

Ho però parlato di pareggio, il che vuol dire che nemmeno la mela ha vinto, al di là delle dichiarazioni ufficiali post-verdetto, e infatti dovrà effettuare un cambiamento non di poco conto. La condotta specifica per quel che riguarda gli acquisti in-app è stata infatti ritenuta lesiva della libera concorrenza, vincolando sviluppatori ed utenti al solo uso dell’App Store come intermediario di pagamento. Di conseguenza, la Gonzalez Rogers ha intimato Apple di cessare tali pratiche, permettendo l’utilizzo nelle app di metodi alternativi per acquistare contenuti aggiuntivi, senza porre condizioni né tantomeno limiti, soprattutto di categoria com’era nel caso dell’accordo raggiunto con l’antitrust giapponese. La sentenza entrerà in pieno effetto dopo 90 giorni a partire dalla data odierna.

Chi ci guadagnerà?

Le implicazioni sono senz’ombra di dubbio importanti. Se lo vorranno, gli sviluppatori potranno evitare totalmente qualsiasi spartizione della torta con Apple, riducendo o addirittura azzerando le commissioni da riconoscere ad una qualsiasi altra parte. È plausibile che l’uso della “finta gratuità” del download o dei periodi di prova prenderà sempre più piede, dal momento che poi sarà sufficiente chiedere all’utente di procedere alla sottoscrizione in-app promuovendo il circuito esterno di riferimento piuttosto che quello dell’App Store e completare il tutto facendo inserire un codice di riscatto. Arrivati sin qui, tuttavia, è opportuno chiedersi chi saranno i principali beneficiari. Saranno le piccole realtà indipendenti, spesso costituite da una sola persona, o le grandi realtà?

Non credo sia un caso che le maggiori felicitazioni per la sentenza siano arrivate da Spotify, che ormai da tanto tempo ha lasciato la condizione di start-up. All’atto pratico, ho la sensazione che per il singolo sviluppatore questa libertà di scelta sarà perlopiù virtuale: la grande maggioranza non ha alcun problema con la spartizione 70/30 o 85/15, perché la commissione ad Apple vale la comodità di non doversi intricare ad impostare metodi di pagamento o gestioni sofisticate degli account utente, potendosi concentrare sugli aspetti funzionali delle app. Le vere contestazioni degli indie riguardano soprattutto altri aspetti, come le eccessive rigidità esercitate da Apple su determinate categorie di applicazioni, l’inspiegabile saltuaria approvazione di scam app che rubano introiti alle originali spesso pure per lungo tempo, la lenta risoluzione delle controversie in alcuni casi sfociate in profili sviluppatore disattivati e la pratica dello “sherlocking”, ovvero l’inclusione in iOS di repliche quasi esatte di funzionalità offerte in app terze potenzialmente rovinandone i futuri affari. Queste controversie oggi non sono state risolte. Oggi è stata data più che altro soluzione alle rimostranze delle big, che non potevano su iOS gestire in modo completo i rapporti coi propri abbonati. Penso a Spotify, ma anche a Netflix, Amazon Kindle, Microsoft 365 e molti altri. Saranno loro a godere degli effetti positivi più marcati del verdetto, per il resto l’impatto sui guadagni di Apple dall’App Store sarà molto limitato.

In conclusione di questa parte, vale la pena fare una parentesi anche sul discorso sicurezza, perché ho letto legittimi dubbi sulla possibilità che le concessioni stabilite possano aprire un’occasione d’oro a malintenzionati per vendere fumo. Il rischio effettivamente c’è, ma a mio parere non molto di più di quello attuale. Già ora, come accennato sopra, capita che false app riescano a farsi un po’ di facili grassi profitti prima di essere scoperte da Apple e calciorotate fuori dallo Store. La caccia del gatto al topo proseguirà, in una forma leggermente diversa ma con le stesse schematiche. Il buonsenso della stragrande maggioranza degli utenti sarà poi la migliore barriera per non cascare in raggiri.

Si poteva, o si doveva, fare di più?

Comprensibilmente, se ad Apple il verdetto non dispiace affatto, in Epic c’è delusione ed è in arrivo il ricorso. Oltre a non aver ottenuto tutto ciò che chiedeva, l’azienda guidata da Tim Sweeney dovrà corrispondere ad Apple il 30% degli acquisti in-app effettuati su Fortnite per iOS (il gioco non è stato mai disattivato sugli iDevice dov’era già installato) da agosto 2020 ad oggi tramite il suo metodo di pagamento, in quanto l’improvvisa implementazione nella scorsa estate ha costituito una volontaria rottura del contratto stipulato per la presenza su App Store. A conseguenza di ciò, la giudice Gonzalez Rogers ha confermato la legittimità della cessazione dell’account venditore di Epic Games e non ha posto alcun obbligo di reinserimento ad Apple, il che significa che allo stato attuale Fortnite e altri giochi Epic non torneranno su iPhone, iPad e Mac (né l’azienda stessa intende farlo al momento, come twittato dallo stesso Sweeney). In aggiunta, la sentenza odierna cessa gli effetti dell’ingiunzione preliminare che Epic aveva ottenuto lo scorso anno per impedire ad Apple di cessarne pure l’account sviluppatore. Qualora Cook e soci decidessero di assumere un atteggiamento ancor più intransigente, non ci sarebbero ostacoli tecnici e legali, tuttavia rischierebbe di avere pesanti ripercussioni dato che il ban totale di Epic renderebbe sostanzialmente inutilizzabile il motore Unreal Engine usato da molti giochi su iOS e macOS, causando così molte ulteriori vittime collaterali tra gli sviluppatori. Si può solo sperare quindi che Apple opti per non aggravare la situazione più del necessario.

Epic ha tutto il diritto di ricorrere in appello ed era lecito pensare che la parola fine alla vicenda non sarebbe arrivata oggi, in un modo o nell’altro. La domanda finale da chiedersi è se ci fossero davvero i margini per aspettarsi qui azioni più incisive da parte della giustizia. Sinceramente, ne dubito. Non nego che mi piacerebbe in certi contesti avere un’opzione per installare manualmente le app su iPhone, come potevo fare su Android, ma non è una pregiudiziale nell’uso e credo che il rapporto costi/benefici non ne sostenga l’eventuale presenza, visti i rischi di sicurezza in grado di comportare; un parere sostenuto in modo giusto ma infelice da Craig Federighi nella sua deposizione a maggio durante la fase più calda del processo. Nutro scetticismo anche per quel che concerne potenziali Store di terze parti su iOS. Se fossero disponibili sarebbero i benvenuti, ma non si può imporre ad Apple di accettarli. La sua piattaforma non è in regime di monopolio, com’è stato osservato proprio oggi in tribunale, e a casa propria ognuno decide ciò che vuole entro i limiti previsti dalla legge. Sarebbe come imporre ad un concessionario esclusivo Toyota di avere nello showroom anche auto Volkswagen e assisterne alla vendita senza avere né qualche voce in capitolo né un ritorno economico.

Il nocciolo della questione è proprio nello stabilire quanto Apple può decidere, quali limiti non può scavalcare. Oggi ne sono stati rilevati alcuni e verranno implementati i correttivi, il cui impatto e bontà saranno fonte di discussione anche ben oltre questo post. Altre vicissitudini più concrete, trattate in precedenza, restano aperte e anche in quei casi sono già partite le carte bollate. L’auspicio è che si possa arrivare in futuro a soluzioni soddisfacenti per tutte le parti senza dover necessariamente riempire le aule giudiziarie.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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