10 anni senza Steve Jobs

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Il 2021 ha portato per Apple numerosi anniversari di rilievo: a marzo di vent’anni fa arrivò la prima release commerciale di Mac OS X (e pure la seconda pochi mesi dopo). In questo mese, sempre vent’anni fa, debuttò il primo iPod. Dieci anni fa, ad agosto, Tim Cook divenne CEO di Apple. Ma l’ascesa di Cook non fu solo per i suoi indiscutibili meriti; il vero motivo lo sapevano ormai tutti ed ebbe il suo epilogo il 5 ottobre 2011. Steve Jobs ci lasciò quel giorno, poche ore dopo la presentazione del suo ultimo prodotto, l’iPhone 4S, che segnò pure il debutto di Siri. Ma il lascito è durato molto più a lungo, fino a tutt’oggi.

stevejobs

Non mi è mai piaciuto molto giocare al “cosa ne avrebbe pensato Jobs” di questo o quest’altro. Perché si può ipotizzarne il pensiero, ma non averne una conferma o una smentita, non essendo il diretto interessato più tra noi. Il decennale è un’occasione per fare uno strappo alla regola, senza andare per iperboli, ma principalmente commentando ciò che abbiamo visto da Apple dopo la sua dipartita. E credo che in buona parte ciò che ha fatto Cook l’avrebbe fatto pure lui.

Certo, aiuta che ancora ci sia parecchia della vecchia guardia. Lo stesso Cook, ma anche personaggi come Eddy Cue, Craig Federighi, Greg Joswiak, Sabih Khan, Deirde O’Brien, John Ternus, Jeff Williams – tutti dirigenti nella parte alta della leadership che si sono fatti le ossa durante la seconda era Jobs, dal 1997 in poi. Molti hanno lasciato o stanno lasciando, vuoi anche per naturale ricambio: penso a nomi come Scott Forstall e Bob Mansfeld, ma soprattutto più di recente il pupillo Jony Ive, cui si aggiunge il demansionamento di Phil Schiller. C’è pure chi, come Johny Srouji, non è tra i pezzi storici di Apple ma lo è diventato proprio grazie ad una mossa di Jobs, acquisendo PA Semi nel 2008 e aprendo la strada ai SoC Ax, che hanno infine portato agli M1.

Proprio i Mac con Apple Silicon sono forse il prodotto odierno che più Steve avrebbe apprezzato. Sin dalla fondazione di Apple, aveva fatto suo un celebre motto di Alan Kay: «Chi fa sul serio col software dovrebbe anche svilupparsi in proprio l’hardware.» Dal 1984 al 2006 i Mac hanno avuto ben poco a che spartire col resto dei PC, a partire dai processori. La perdita di competitività delle soluzioni PowerPC ha costretto Jobs a cedere alle lusinghe di quella Intel che sino a non molto tempo prima era avversata. Un corteggiamento che, tuttavia, come sappiamo veniva condotto in segreto sin dalla release iniziale di Mac OS X (anche prima, visto che NeXTSTEP/OPENSTEP girava già su x86 e per un breve periodo lo fece pure il sistema operativo sperimentale Rhapsody, che ha cementato sul piano tecnico la fusione Apple-NeXT). Considerata la lungimiranza che spesso contraddistingueva le mosse di Jobs, è lecito pensare che la già citata acquisizione di PA Semi occorresse non solo a fare da sé per iPhone e iPad ma proprio a piantare le radici per ritrovare sui Mac l’indipendenza da Intel, come sta avvenendo sotto l’egida di Cook.

Avrebbe apprezzato meno invece vedere zoppicare la qualità del software Apple. Negli ultimi anni abbiamo assistito a più riprese a rilasci difficoltosi, bug di portata seria, funzionalità rinviate a lungo e cantieri aperti (leggasi iPadOS). Il team che si occupò di MobileMe, precursore di iCloud, si prese da Jobs una grossa sfuriata dopo il lancio, a causa delle critiche fioccanti pure dalla stampa tradizionalmente più amica di Apple, come il noto Walt Mossberg. Se Jobs fosse ancora tra noi probabilmente saremmo venuti a conoscenza di molte più sfuriate o avrebbe fatto il possibile per tirare fuori release migliori sin dalla versione .0. Sul fattore estetico, è più difficile valutare cosa avrebbe pensato delle interfacce di iOS e macOS, ma considerato che dopo la fuoriuscita di Forstall nel 2012 gli input di Ive si sono estesi per un po’ pure sul software, è plausibile che lo skeumorfismo sarebbe stato presto o tardi rimpiazzato da uno stile più vicino a quello che conosciamo.

Sul versante dei servizi, credo che la direzione intrapresa da Apple sia la stessa che avrebbe imboccato Jobs. Così come nei primi anni 2000 creò con .Mac, iLife e iWork un’ecosistema di esperienze attorno al Mac, oggi Cook lo sta facendo coi servizi sui vari dispositivi della Mela (e in alcuni casi anche su quelli terzi). Apple Music è una naturale evoluzione di iTunes, così come l’iPhone si è rivelato un’evoluzione dell’iPod – si può dare per buono che il servizio sarebbe arrivato indipendentemente dall’acquisizione di Beats. Gli unici scetticismi sono su Apple TV+: è vero che rientra nella strategia appena citata, ma è pure vero che il fu iCEO aveva rapporti stretti con Disney dopo averle venduto Pixar, ne era diventato di fatto il primo azionista a livello individuale. Magari avrebbe preferito quindi una collaborazione piuttosto che una sfida (sebbene Apple TV+ e Disney+ non possono davvero essere considerati servizi rivali, soprattutto non potendo il primo godere di una library sterminata). Di certo sarebbe amareggiato da Siri, che a distanza di 10 anni progredisce molto lentamente e non contribuisce a trainare Apple nel crescente settore degli smart speaker, come dimostra la poca presa di HomePod sul mercato.

Sono convinto che un prodotto in particolare l’avrebbe apprezzato tanto: l’Apple Watch. E non escluderei che sia proprio il vero, ultimo prodotto di Steve. Rumor di alcuni anni fa sostenevano che prima della morte fosse coinvolto nei piani preliminari. Se si considerano i grandi lanci passati avvenuti sotto la sua supervisione, ovvero iPhone e iPad, potrebbero avere un fondo di verità. Il “Project Purple” partì nel 2003 pensando ad un tablet e cambiò direzione verso i telefoni l’anno successivo: l’iPhone debutterà solo nella prima metà del 2007, molto tempo dopo. Da lì ripartirono gli sforzi sull’iPad, che diedero i loro frutti nel 2010. Considerato che l’Apple Watch è stato presentato a settembre 2014 (per entrare in commercio la primavera successiva) e che lo sviluppo di un nuovo prodotto, mai realizzato prima, richiede ancor più tempo del pianificare “semplicemente” una sua futura generazione, ci sta che Jobs abbia almeno partecipato ai primi brainstorming e magari discusso qualche primissimo bozzetto con Ive. Di sicuro l’ha fatto per iPad 3 e 4 nonché per iPhone 5, prodotti della classe 2012 che al momento della sua dipartita stavano già entrando nella loro fase prototipale. Altrettanto di sicuro era stato coinvolto sui preparativi per il 5s del 2013, nel definirne le principali caratteristiche.

Mi fermo qui. La verità su ciò che avrebbe fatto e pensato Jobs, ovviamente, non la sapremo mai. Non sarebbe corretto nemmeno pontificare su ciò che avrebbe fatto al posto di Cook nei prossimi anni a venire, andando sulla pura fantascienza. La Apple di oggi non è più la sua Apple, piaccia o no; tante cose sono cambiate, in meglio e anche in peggio, a seconda dei vari punti di vista. Ad ogni modo, in una ricorrenza come quella odierna non possiamo che fermarci un attimo a guardare quanto è cresciuta quella azienda fondata in un garage da un giovane brillante ingegnere ed un curioso tipo scalzo col fiuto per gli affari. E dopo esserci fermati a riflettere, ringraziarlo per quanto ha fatto, non solo per Apple ma anche per l’intero settore tech.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.