Apple potrebbe aprire in Europa i suoi sistemi ad app store terzi e sideloading

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Negli ultimi due anni il dibattito sul “giardino murato” di Apple si è fatto più vivo che mai, anche grazie all’importante battaglia legale che l’azienda di Cupertino sta combattendo contro Epic Games, col nuovo round in appello che partirà prossimamente a seguito del primo verdetto emesso a settembre 2021, la cui efficacia è rimasta in sospeso nell’attesa che il processo completi il suo corso. Ancor più della software house guidata da Tim Sweeney, a far cambiare idea ad Apple aprendo le sue recinzioni sono le azioni che stanno intraprendendo le autorità globali, a partire da quella europea che proprio di recente ha premuto sull’acceleratore col Digital Markets Act.

Si tratta di un’iniziativa dell’Unione Europea entrata ufficialmente in vigore dal 1° novembre, dopo lunghi preparativi, e volta a ridurre abusi dominanti da parte delle grandi aziende tech – il pensiero è subito corso inevitabilmente anche ad Apple, in compagnia di altri giganti come Amazon, Alphabet (Google) e Meta (Facebook). La data citata in realtà cela perlopiù un tecnicismo: per l’attuazione è stato infatti stabilito un procedimento per gradi.

L’entrata in vigore del DMA è fissata per il 2 maggio 2023

Da tale data inizierà la definizione dei cosiddetti gatekeeper tra le aziende che forniscono servizi di piattaforma definiti “di base”, un cappello che include diversi elementi costituenti un potenziale ecosistema: sistemi operativi, app store, social network, piattaforme di messaggistica, browser, motori di ricerca, assistenti virtuali ed altro ancora. Offrire solo alcuni di essi non costituirà in sé una potenziale scappatoia dalla legge, dal momento che sarà l’Unione Europea a decidere quanto e come quell’azienda abbia influenza sul mercato al punto da richiedere interventi correttivi.

Dal prossimo 2 maggio, le realtà ritenute soddisfacenti una serie di criteri quantitativi (per sommi capi, si valutano una forte e consolidata posizione economica nonché capacità d’intermediazione tra utenti e imprese) verranno invitate a notificarsi, col termine ultimo previsto per il 3 luglio. Nel corso dell’estate, l’UE valuterà quanto ricevuto, verificando attraverso un’indagine di mercato se oltre agli aspetti quantitativi ne sussistano pure di qualitativi, ossia la presenza di elementi che configurino l’utilizzo di pratiche commerciali scorrette e tali da procurare un eccessivo vantaggio a danno della concorrenza.

Una volta entrate nell’indesiderato elenco dei “gatekeeper”, subentra un’ampia pletora di obblighi affinché l’azienda soggetta ritorni conforme alle normative. In caso d’inottemperanza, oltre ad ulteriori obblighi subentrerebbero sanzioni non piacevoli: multe fino al 10% del fatturato globale annuo, che salgono al 20% se le inottemperanze continuassero nel tempo; mora fino al 5% del fatturato medio giornaliero. Nei casi più estremi si può arrivare anche a soluzioni definibili nucleari, come l’obbligo di vendere uno o più rami d’azienda. Dal momento che avranno la designazione di gatekeeper, presumibilmente entro i primi di settembre (l’UE si è data 45 giorni per esprimersi dalla ricezione dei report a inizio luglio), le aziende coinvolte dovranno adeguarsi entro 6 mesi.

L’UE ha già dimostrato in passato di non scherzare sotto tali aspetti e in generale l’impianto del DMA sarà di sicura ispirazione anche in USA e UK, dunque nessuna big prende sottogamba la situazione, nemmeno Apple, il cui ingresso nell’infausta lista è altamente probabile proprio in virtù delle pratiche di esclusività sulle sue piattaforme – eccettuando macOS – relative alla distribuzione ed installazione dei software terzi.

Del resto, la dirigenza della mela ha già reso chiaro che coi prossimi iPhone si adeguerà interamente alle direttive europee sull’uso della USB-C e non si vede il perché col DMA dovrebbe fare diversamente, al di là di una mera reazione d’orgoglio che avrebbe pesanti ripercussioni economiche. Reazione avversa che, stando quanto riportato da Mark Gurman su Bloomberg, sarebbe appunto destinata a non esserci. Nell’Apple Park ferverebbero già i lavori per prepararsi all’apertura, che comporterebbe non solo l’arrivo di app store alternativi ma pure la possibilità di caricare manualmente app, il cosiddetto sideloading, in modo più comodo (già oggi, al di là dell’area grigia costituita dal jailbreak, la stessa Apple offre alcune modalità per farlo, ma non sono pensate per i comuni utenti né di facile attuazione). In questo modo gli sviluppatori di terze parti avrebbero inoltre la possibilità di scavalcare la commissione del 30% da corrispondere.

Una parte significante dei team di sviluppo si starebbe occupando dell’iniziativa, che potrebbe rinviare alcune altre novità previste per le prossime versioni dei sistemi operativi Apple, termine entro cui quest’ultima vuole farsi trovare pronta ai cambiamenti. Resterebbero ad ogni modo dei requisiti da rispettare, soprattutto in termini di sicurezza, presumibilmente simili a quelli implementati su macOS. Tali verifiche potrebbero avere un costo, su cui Bloomberg non si sbilancia ulteriormente e che potrebbe così essere aggiuntivo all’iscrizione annuale al Developer Program. Oltre a quanto appena scritto, al fine di conformarsi a DMA e similari sarebbero in corso anche altri accorgimenti, come l’apertura a terzi di quelle API sinora rimaste private nonché di specifiche funzionalità hardware (ad esempio il chip NFC per circuiti alternativi ad Apple Pay), la possibilità per i browser rivali su iOS/iPadOS di utilizzare i propri motori di rendering invece di WebKit, attualmente obbligatorio, e una maggiore apertura della piattaforma Dov’è ad accessori non Apple come i tracker Tile che competono con gli AirTag.

Tanta carne al fuoco, ma potrebbe non essere tutta. Non è stata infatti ancora presa una decisione definitiva riguardo all’eventualità di lasciare libertà agli sviluppatori di usare sistemi di pagamento terzi per gli acquisti in-app, così come l’interoperabilità di iMessage con altri circuiti di messaggistica, aspetto su cui il DMA si batterà tanto quanto come sugli app store e dove gli ingegneri software Apple temono la necessità di effettuare spiacevoli compromessi in merito alla privacy. Di certo sembrerebbe restare esclusa l’adozione del protocollo RCS, oggetto di una prolungata campagna mediatica proveniente da Google, che invece su tale standard sta investendo molte risorse. Forse un’occasione persa, se venisse confermata, visto che RCS non è perfetto ma sarebbe una ideale terra di mezzo per garantire interoperabilità tra le varie app di messaggistica, lasciando comunque vantaggi aggiuntivi alle soluzioni native.

In assenza di qualsivoglia conferma ufficiale ed essendo ancora molto lontana la prossima WWDC, dobbiamo sempre utilizzare il condizionale. Come già detto più indietro, appare però poco fruttuoso per Apple andare allo scontro con l’UE e molto probabilmente pure con altre autorità, il che alza sensibilmente le chance di vedere questi rumor trovare riscontro futuro nella realtà. Se queste iniziative basteranno a placare potenziali furie governative e non, solo il tempo saprà dirlo.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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