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Con questa recensione, molto più che con altre, ho avuto difficoltà ad iniziare a scrivere. Ho deciso di dirvelo per rompere il ghiaccio, ma anche perché sappiate che, ancora oggi, non sono riuscito a maturare un giudizio univoco sul MacBook Pro 13″ 2016 senza Touch Bar. In realtà non gradisco alcune scelte che Apple sta facendo nel settore computer in generale, ma non allarmatevi, in questa pagina non leggerete solo lamentele. Anzi, vi dico subito che ho adorato usare questo Mac.

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Con il recente rinnovo della linea di portatili Pro di Apple sono cambiate tante cose, praticamente tutte, anche se ad una prima occhiata non si direbbe. Le immagini questa volta non rendono giustizia, perché dal vivo la differenza di volume rispetto ai modelli precedenti si percepisce molto più evidente. Non hanno la forma a cuneo degli Air (ereditata dal nuovo ultraleggero di casa, il MacBook) ma lo spessore massimo è di soli 1,49 cm, contro gli 1,7 dell’Air 13″ in corrispondenza della cerniera. Quest’ultimo era considerato una piuma con i suoi 1,35 Kg, ma il nuovo MacBook Pro da 13″ ne pesa solo 1,37 pur essendo di categoria superiore. È chiaro che con il passare del tempo ci si aspetta una progressiva miniaturizzazione dell’hardware, ma il risultato è davvero notevole.

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Dall’alto: MacBook 12″, MacBook Pro 13″, MacBook Air 13″

L’elemento più caratteristico di questo aggiornamento si chiama Touch Bar: una striscia OLED dinamica che sostituisce la riga di tasti funzione e alla cui estremità destra è stato inserito il Touch ID per il riconoscimento dell’impronta. L’unico che non possiede questa interessante novità è il modello in prova, ovvero il 13″ base gamma (il primo ad essere disponibile sul mercato). Questo ha una CPU Intel Core i5-6360U da 2GHz, GPU Iris 540, 8GB di RAM ed SSD da 256GB. Già da questi dati capiamo una serie di cose, ad iniziare dal fatto che anche per il modello d’ingresso Apple ha scelto un processore con una GPU integrata di classe superiore e non la HD Graphics che troviamo sui MacBook. A questo è dovuto il fatto che i MacBook Pro 13″ 2016 montino CPU Intel di sesta generazione (Skylake) e non di settima (Kaby Lake), dato che per quest’ultima le dual-core con grafica Iris arriveranno più tardi. Sempre per limiti tecnologici abbiamo RAM LPDDR3 da 1866 MHz, che è il massimo supportato dal Core i5-6360U (gestirebbe pure le DDR4 a 2133MHz, ma non quelle a basso consumo indicate per questo computer).

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Togliamoci subito il dente e parliamo delle prestazioni. È già da qualche anno che il cambio di generazione in casa Intel non produce miglioramenti importanti, cosa che si conferma anche in questo passaggio da Broadwell a Skylake. Secondo i nostri test con Geekbench, rispetto al medesimo modello del 2015 c’è però un incremento del 20% in single-core, mentre è ben più misero quello del 4% in multi-core. Lato GPU si nota un miglioramento delle prestazioni della Iris 540 rispetto alla vecchia 6100, ma nulla di eclatante onestamente. Per fortuna l’interfaccia Retina scorre bene sul display integrato, mentre con uno esterno 4K via USB-C/HDMI sembra faticare. Apple parla di supporto fino al 5K via Thunderbolt 3, ma gli adattatori in commercio non funzionano per le ragioni già note, per cui bisognerà attendere il rilascio dei nuovi display di LG o degli adattatori di seconda generazione realizzati dalla stessa Apple.

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A sinistra MacBook Pro 13″ 2015 (Iris 6100) a destra il 2016 (Iris 540)

Davvero ottime le prestazioni dell’SSD/NVMe, che arriva a superare i 3GB/s in lettura e sfiora i 2,5GB/s in scrittura, andando a segnare un punto di riferimento per questa categoria di portatili. Il computer si avvia in un lampo, così come le app, e il multitasking appare sempre rapido e reattivo nelle operazioni del quotidiano. Fintanto che l’ho adoperato in modalità blogger, con consultazione web, email, gestione social, documenti leggeri e piccolo fotoritocco, ne ho apprezzato l’assoluta fluidità, cosa che nel MacBook 12″ si perde mano a mano che si incrementa il numero di app in esecuzione e si passa dall’una all’altra.

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Le precedenti valutazioni mi portano a considerare molto positivamente questo nuovo MacBook Pro 13″ base per tutti gli utenti che non abbiano esigenze troppo avanzate. È un discorso simile a quello che si sente fare per il MacBook 12″, ma c’è una differenza importante: non c’è un Thermal Trottling incombente qui, per cui le prestazioni rimangono costanti. Inoltre la CPU riscalda mediamente poco e la ventola (silenziosissima) parte solo sotto sforzo prolungato. Insomma, il passo in avanti rispetto al piccoletto di casa è davvero percepibile nell’uso, molto di più di quanto i benchmark possano suggerire, ma questo non vuol dire che ci si possa spingere molto più in là in termini di richieste.

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MacBook Pro 13″ 2016 a sinistra, MacBook 12″ a destra

Facciamo un piccolo esperimento insieme. Proviamo a considerare il termine “Pro” solo come una differenziazione tra le linee di prodotto, qualcosa che serva per dire che l’una è superiore all’altra (come “Plus” per gli iPhone). Da due anni pieni (e volendo anche di più se si considera che l’ultimo refresh dell’Air è stato più di forma che di sostanza), Apple tiene aggiornate due linee di portatili: MacBook e MacBook Pro. Il primo è disponibile solo nel taglio da 12″ e con CPU/GPU a bassissimo consumo, ottenendo buona autonomia anche con batterie piccolissime e riducendo veramente al minimo pesi e dimensioni. I secondi sono prodotti con schermi più grandi (13″ e 15″) ed hanno CPU/GPU di classe superiore, offrono dunque prestazioni migliori a fronte di un leggero aumento di dimensioni e peso, mantenendo comunque elevata l’attenzione su questi ultimi e sui consumi. Vista così non c’è molto da ridire e tutto torna alla perfezione.

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Tuttavia noto discussioni molto accese in merito al fatto che questi MacBook non siano pensati per professionisti, per cui dico la mia il più brevemente possibile. Da precisini si potrebbe asserire che se si usa un dispositivo per svolgere una professione questo è automaticamente professionale. Per quanto mi riguarda si tratta di una forzatura, perché quando le richieste sono davvero minime qualsiasi computer e persino uno smartphone è sufficiente, ma ciò non li rende professionali. Da sempre si considera Pro l’utilizzo che richiede potenze di calcolo più elevate della media o connessioni e supporti altamente specifici, quelli che, per definizione inversa, non sono necessari all’utente consumer. Storicamente i computer Apple sono stati i preferiti dai creativi e i MacBook Pro (per rimanere nell’era x86) utilizzati per lavorare in settori quali ricerca, audio, foto, video e animazione. Per come è strutturata l’attuale linea, il 15″ può essere ancora competitivo in tal senso (ma dipende dai software in uso, lo vedremo più avanti), mentre sul 13″ nutro più di qualche dubbio; specie in questa sua incarnazione più economica. Non ne faccio una questione di nomenclatura, mi interessa poco che vi sia o no il termine Pro dopo MacBook, perché questo ormai è usato dovunque solo per darsi un tono. Mi sembra di aver visto persino una carta igienica pro, quindi di che stiamo parlando?

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Passando dalle parole ai fatti, devo spezzare non una ma due lance a favore di Apple e della sua strategia in ambito portatili. L’utenza che ha effettivamente bisogno di una potenza di calcolo superiore a quella di questo MacBook Pro 13″ entry level è sempre più ristretta. Certo è quella che un tempo era più affezionata ai computer made in Cupertino, ma questo è un discorso ben più ampio che non è il caso di approfondire in tale sede. La seconda cosa importante, che chiunque può constatare con un Mac, è che le prestazioni espresse dai benchmark possono tradursi in risultati molto differenti in base al software in uso. Apple ha sempre inseguito il principio dell’ottimizzazione, riuscendo ad offrire una migliore esperienza d’uso a parità di specifiche, oppure specifiche inferiori meglio sfruttate dal software. In questo senso il problema attuale si chiama Adobe, un gigante nel settore della produzione multimediale che sembra particolarmente reticente a seguire come si deve l’ambiente Mac. Senza scendere in tecnicismi, ecco un paio di numeri rilevati con questo computer:

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Due esempi che evidenziano l’importanza dell’ottimizzazione software

macbookpro13-2016-software-test-2Questi dati non ci dicono tutto, sono solo due degli infiniti esempi possibili, ma credo restituiscano un’idea di come il software può incidere sulle prestazioni di un computer. Le applicazioni Adobe su Mac appaiono molto più pesanti e lente che su Windows, ed anche il recente supporto per Metal (ancora parziale) non ha risolto il problema. Purtroppo molti professionisti, tra cui io stesso, sono profondamente legati a questa suite, ma altrettanti hanno iniziato a guardarsi intorno e, fortunatamente, le alternative ci sono. Affinity Photo e Affinity Designer, ad esempio, possono sostituire Photoshop, Lightroom e Illustrator per un libero professionista (un po’ meno nelle grandi aziende, dove un cambio del genere richiede più tempo e risorse). Final Cut Pro X è sempre stato più veloce di Premiere su Mac e penso lo sarà sempre, ricorda un po’ Edius su Windows in termini di ottimizzazione delle risorse. Il succo è che se si utilizzano software perfettamente ritagliati per queste macchine, anche il MacBook Pro 13″ base può riuscire a destreggiarsi con saltuari impieghi che vadano al di là dell’operatività più semplice. Per tutto il resto c’è il MacBook Pro 15″.

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MacBook Pro 13″ 2016 sopra un MacBook Air 13″

Ho già detto che il nuovo design ha comportato una riduzione di pesi e dimensioni, ma è interessante notare quanto il Pro 13″ sia più piccolo dell’Air 13″ a parità di schermo. Ovviamente qui mi riferisco alla diagonale, perché la qualità è completamente diversa. In ogni generazione Apple riesce a ridurre i riflessi del vetro frontale e questa volta è aumentata anche la qualità del pannello. Grazie al supporto dello spazio colore DCI P3, i MacBook Pro 2016 offrono una ricchezza di colori ed un contrasto formidabili. La differenza con quelli di precedente generazione richiede un confronto diretto, ma con le fotografie e le immagini giuste è piuttosto evidente. La risoluzione rimane uno dei punti forti, non tanto per la modalità di default a 1440 x 900 pixel (lo schermo è effettivamente 2560 x 1600), quanto per la possibilità di simulare la risoluzione intermedia superiore, la quale offre uno spazio di lavoro equivalente a 1680 x 1050 con una qualità eccellente. Certo le scritte diventano un po’ piccole e bisogna avvicinarsi, ma l’ambiente diventa gigantesco per un 13″ e si riescono ad usare software più complessi oppure ad affiancare tante finestre.

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La risoluzione “più spazio” offre un’area di lavoro immensa per un 13″

Altro elemento rinnovato è la tastiera, sia nella struttura esterna che interna. Come sul MacBook 12″, troviamo il meccanismo a farfalla, qui rivisto e migliorato nella versione 2. La differenza più importante è che i tasti hanno un’escursione leggermente più elevata, per cui si ha una sensazione di scrittura più piacevole fin da principio. Oltretutto è stata perfezionata anche la corsa, che era già guidata e composta nella prima generazione, ma adesso è ancora più precisa, anche premendo i tasti dallo spigolo. Questi sono ampi e ben spaziati, con una superficie leggermente concava che accoglie i polpastrelli. Non è una tastiera per gli amanti degli switch meccanici, questo è chiaro, ma per essere così sottile regala un’ottima esperienza di scrittura. Io alterno spesso tra la Magic Keyboard del Mac Pro e quella integrata nel MacBook 12″: questa si posiziona più o meno a metà per il feedback. La differenza più evidente rispetto a quella di prima generazione è la risposta alla pressione, che nel MacBook 12″ è così delicata da richiedere tempo per abituarsi e capire di aver effettivamente digitato una lettera. Rispetto alla Magic Keyboard, invece, i tasti scendono giù più facilmente, ma fanno più rumore e risultano più leggeri, quasi come fossero vuoti. La retroilluminazione è cambiata rispetto quella di tutti gli altri portatili Apple, con LED forse meno luminosi a massima intensità, ma che riescono ad “accendere” solo le lettere in modo precisissimo. Anche guardando di lato e da vicino, non si nota luce parassita che fuoriesce dai bordi del tasto, e l’effetto è molto gradevole.

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Il Trackpad Force Touch è diventato davvero enorme, copre tutto lo spazio tra la fine della tastiera e il bordo del computer. Rispetto quello del MacBook 12″ la pressione simulata dal Taptic Engine è più chiara e precisa, ma anche questa mi è sembrata stranamente vuota, sia nella risposta fisica che sonora. Non è una brutta sensazione, ma all’inizio mi ha un minimo spiazzato. L’uso risulta davvero ottimo, preciso nei movimenti e con tantissime funzionalità integrate con il sistema operativo. Se ci ci abitua, diventa persino più comodo di un mouse.

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Il fatto che sia così grande risulta comodo perché non si arriva mai al bordo: c’è sempre spazio disponibile per muoversi in ogni direzione. Con i palmi non si rischia di muovere il puntatore involontariamente o almeno questa è la sensazione, ma potrebbe anche dipendere da una perfetta implementazione software del palm rejection. Una cosa che invece mi ha infastidito, è che tenendo il portatile sulle ginocchia piegate a letto, il Trackpad qualche volta tocca sull’addome e interferisce con il movimento. Ma non è una novità per me, mi succede anche con il MacBook 12″, dove le proporzioni sono analoghe.

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Le nuove casse stereo poste ai lati della tastiera sono un enorme passo avanti rispetto alla soluzione del precedente 13″. Il volume è forte e la qualità assolutamente godibile, per cui non si sentirà la necessità di speaker esterni nella maggior parte dei casi. L’uscita mini-jack per le cuffie è fortunatamente rimasta, ma ha perso il segnale ottico/digitale. Sicuramente non era una caratteristica molto utilizzata, ma che da sempre denotava un approccio più avanzato all’audio nei computer di Apple.

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Franco Solerio sfrutta tutt’ora questa caratteristica per gestire nel migliore dei modi le dirette di Digitalia, trasferendo l’audio tra i due Mac della regia senza conversione analogica. È solo un esempio di una cosa che non sarà più possibile, ma è vero che in generale non sarà una grave perdita per la maggior parte degli utenti.

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Passando rapidamente su Bluetooth 4.2 e Wi-Fi 802.11ac, che si sono comportati adeguatamente durante la prova, un altro elemento che farà certamente discutere è quello delle porte. Nel 2015, recensendo il primo MacBook 12″, avevo detto: “affermare che possa esistere un computer con una sola porta, significa anche portare il peso delle conseguenze di un eventuale fallimento”. Avendo usato per lungo tempo quel computer, che possiedo tutt’oggi, mi sento di dire che non vi siano né vincitori, né vinti per il momento. Apple ha ancora una volta anticipato i tempi eliminando tutte le vecchie connessioni, ma in questi due anni il vantaggio è stato solo per i produttori di adattatori. Certo abbiamo ottenuto computer più snelli, che ci piacciono sempre in mobilità, ma le occasioni in cui si debba usare un “intermediario” per connettere una periferica continuano ad essere la maggioranza. Nel MacBook Pro 13″ 2016 senza Touch Bar, le porte USB-C sono due, cosa che ci consente molta più flessibilità, e soprattutto non sono le USB 3.1 gen 1 ma Thunderbolt 3 con USB 3.1 gen 2 (che va due volte più veloce).

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Le due porte USB-C 3.1 gen 2 / Thunderbolt 3

Nei mesi a seguire si parlerà sempre più spesso di queste connessioni e cercheremo di fare chiarezza quanto più possibile, ma una cosa è certa: il futuro va in questa direzione. Apple ci ha ancora una volta “visto lungo” e se non fosse stata Intel a tardare, forse avremmo avuto questa nuova generazione di connessioni già nel MacBook 2016, mentre ora l’appuntamento appare rimandato all’aggiornamento del 2017 (ma Thunderbolt 3 potrà davvero arrivare sulle CPU a bassissimo voltaggio?). Il vantaggio principale di questa porta, oltre al fatto di essere reversibile, è che consente di gestire praticamente ogni cosa. In un futuro che si sta facendo sempre più vicino, tutte le periferiche in ambito informatico sfrutteranno la USB-C, cosa potenzialmente utilissima ma non senza risvolti negativi. Mi metto dalla parte dell’utente medio – quindi non mi riferisco a voi lettori assidui di SaggiaMente – al quale non sarà facile digerire il fatto che la forma del connettore non lo aiuterà più a capire quali dispositivi sono effettivamente collegabili. Potrebbe sembrare solo un vantaggio quello di avere una porta unica, ma non lo è completamente se questa può supportare specifiche diverse.

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Il messaggio che appare su MacBook 12″ collegandolo al Pro 13″ 2016 via cavo USB-C

Diciamo di avere davanti una porta USB-C: questa potrebbe essere una USB 3.1 gen 1 o gen 2 ma anche una Thunderbolt 3, che a sua volta differisce se associata ad un chipset USB 3.1 di prima o seconda generazione. A parte il discorso della velocità inferiore o superiore, che può essere un problema tanto e non quanto, il problema è che i dispositivi compatibili con una specifica possono non esserlo con l’altra. Banalmente non possiamo far funzionare una periferica Thunderbolt 3 su una porta USB-C che è solo USB 3.1 (come quella del MacBook 12″), anche se la forma è identica e il connettore si inserisce. Oppure potremmo voler connettere il nostro hub USB-C ad uno smartphone con quella stessa porta, per poi scoprire che magari non supporta l’uscita video HDMI o non regge il carico delle periferiche connesse. E addirittura la stessa Thunderbolt 3 non è compatibile con i dispositivi Thunderbolt 3 se i chipset USB 3.1 annessi non sono della medesima generazione. Infatti nel MacBook Pro 2016 Apple ha messo la USB 3.1 gen 2 al di sotto della Thunderbolt 3, ma tutti i dispositivi già in commercio usavano il chipset precedente e sono risultati incompatibili. Inoltre la capacità massima della Thunderbolt 3 (ovvero 40Gbps) può essere limitata se non ci sono abbastanza linee PCIe disponibili, infatti le due porte a destra del MacBook Pro 13″ con Touch Bar non raggiungono la piena velocità (che poi difficilmente sarà un problema ad oggi, visto che dispositivi che saturino anche la metà di quella banda sono rari come una Chimera). È chiaro che qui la colpa non è di Apple, ma ci sono due sostanziali problemi secondo me. Il primo è temporaneo ed è dovuto a questa fase di transizione, la cui durata è comunque imprevedibile (ricordo che si vendono ancora oggi computer con USB 2.0), il secondo rimarrà ancora per lungo tempo ed è l’impossibilità di definire la compatibilità tra due prodotti con porta USB-C senza conoscerne nel dettaglio le caratteristiche tecniche. Per fare un ulteriore esempio, quando passo da un Mac al successivo, sono solito collegarli con un cavo diretto per recuperare velocemente i dati. Anni fa usavo la Firewire, poi la Thunderbolt, ma avendo due porte strutturalmente uguali c’era sempre la possibilità di connettere due Mac e metterne uno in modalità Target. Se si passa da un MacBook 2016 ad un MacBook Pro 2016, invece, la porta è apparentemente uguale ma ciò non è possibile perché la prima è USB 3.1 gen 1 e la seconda Thunderbolt 3/USB 3.1 gen 2.

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Dall’alto: MacBook 12″, MacBook Pro 13″ 2016, MacBook Air

Un altro potenziale problema che vedo per l’utente medio, è che ora anche la ricarica passa da USB-C. Non fraintendetemi, il vantaggio è enorme, perché possiamo usare cavi ed alimentatori di terze parti e tutti i dock e i display moderni potranno anche alimentare il computer con una sola connessione, anche quelli non pensati esclusivamente per i computer Apple. Però questo avvicinerà molto l’approccio alla ricarica a quello tipico da smartphone, per il quale è facilissimo si ricorra ad alimentatori comprati a basso prezzo nei centri commerciali o su internet, con il rischio (se non certezza) di deteriorare la batteria. Non sto giustificando la persona a cui verrà in mente di caricare un portatile da 2000€ con un alimentatore importato dalla Cina da 5€, dico solo che se prima non si poteva fare a causa dei connettori proprietari, ora scenari del genere saranno effettivamente possibili. E quando una cosa è possibile, state pur certi che succederà, sperando che rimangano casi isolati. E non sto parlando solo di Mac adesso: questa è una potenziale “insidia” per un consumatore non molto esperto qualunque computer con USB-C compri.

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So che quanto detto potrebbe farmi apparire come uno che non apprezza questa nuova connessione e non capisce che rappresenta un grande passo avanti rispetto la schiavitù di cavi con cui siamo abituati ad avere a che fare. Spero però che i lettori più scrupolosi non abbiano questa impressione e che capiscano l’importanza di informare ed essere informati. Tra qualche anno tutte le USB-C saranno di gen 2 (almeno) e la porta Thunderbolt 3 (risolte le attuali incompatibilità) rimarrà in un ristretto ambito professionale composto da utenti che sanno cosa comprano, per cui problemi non ce ne dovrebbero essere. In questo momento, invece, siamo obbligati a fare un po’ i pignoli e ripetere le stesse cose più e più volte, fintanto che la maggioranza degli utenti abbiano acquisito un quadro completo.

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Con due porte USB-C / Thunderbolt 3, abbiamo la possibilità di connettere un totale di 12 dispositivi in cascata sul piccolo MacBook Pro 13″ senza Touch Bar (l’altro ne ha quattro). Possiamo pilotare uno schermo 5K (anche se la specifica DP 1.2 non lo permetterebbe Apple ha trovato il modo sfruttando la banda in più della Thunderbolt 3), ricaricare il computer, collegare pendrive e dischi velocissimi, nonché usare schede PCIe con opportuni case. La differenza rispetto la singola porta del MacBook 12″ (che per altro è solo USB-C) si rivela determinante sia nel quotidiano che per usi avanzati. Già il semplice fatto di poter caricare il computer tramite una porta e connettere nell’altra una qualsiasi periferica USB vecchio tipo (Type A) con un adattatore da 6€, si rivela utilissimo praticamente ogni giorno. Quello che invece non digerisco è l’assenza del lettore di SD. Non sto qui a dire se ci fosse o meno la possibilità di inserirlo, anche se onestamente penso di sì, ma sono certo che per me sarà una grande seccatura. Di sicuro sono un caso limite, perché tra fotocamere e smartphone (microSD con adattatore), sul MacBook Pro precedente lo usavo praticamente ogni singolo giorno, anche più di una volta al giorno. Ma proprio ora che le SD sono migliorate e sono diffuse anche su fotocamere e cineprese professionali, ecco che Apple ce lo toglie. Il Wi-Fi non è una alternativa valida, sia per velocità che per praticità, per cui qui non vedo mezze misure, è stato un errore bello e buono. La soluzione sono i lettori esterni, o quelli nuovi USB-C (questo è ottimo) o i vecchi con adattatori, per cui chi deve leggere frequentemente da memorie microSD ed SD, avrà questa seccatura in più di doversi portare dietro l’accessorio adatto e di doverlo attaccare all’occorrenza. Pazienza.

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Sull’autonomia Apple dichiara 10 ore su tutti i modelli, sia 13″ che 15″, con o senza Touch Bar. Io ho provato solo questo per ora e 7 ore le raggiunge, a 10 non ci arriva. Va pure detto che loro le contano in base a riproduzione film da iTunes (che ha la codifica giusta) o in semplice navigazione web, mentre io di certo lo sfrutto di più. È comunque una durata molto buona, anche se mi sembra strano che sia la stessa del modello con Touch Bar visto che quest’ultimo ha hardware che consuma di più e una batteria leggermente più piccola (54,5 Wh vs 49,2 Wh). Ah, dimenticavo, qui sono riusciti a mettere una videocamera frontale FaceTime HD (720p), che è sempre “poco” in senso assoluto ma almeno è accettabile visto lo spessore dello schermo. Speriamo che migliorino anche quella del MacBook 12″ nella prossima generazione.

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Conclusione

Proviamo a fare una sintesi di quanto detto senza risultare troppo ripetitivi. Ci troviamo di fronte ad un portatile molto compatto e leggero, che però dispone d una CPU dignitosa ed una GPU buona – tra le quelle integrate. La dotazione di RAM di base è sufficiente e l’SSD super veloce. La costruzione è come sempre al top, il display spettacolare, la tastiera molto comoda ed il trackpad godurioso. Ha solo due porte di connessione, è vero, ma sono le più avanzate presenti sul mercato, con funzionalità e tanta banda da impallidire. Per di più c’è macOS, cosa chiedere di più? Beh, magari un prezzo un tantino più abbordabile. Il MacBook Pro 13″ 2016 (senza Touch Bar) parte da 1.749€, cifra con cui si acquista un portatile bellissimo, comodissimo, efficientissimo e tutti gli altri issimi che vi possono venire in mente, ma che se si destreggia bene nei compiti di un consumatore medio, fatica un po’ quando messo in mano a chi lavora con grafica e fotografia, e fatica di più in settori ancora più specifici. Non è una novità per il Pro 13″, ma più aumenta il prezzo e più è lecito aspettarsi qualcosa in cambio. Per Apple questo qualcosa mi sembra sia l’esperienza d’uso, intesa non solo per il software quanto per l’ergonomia e la qualità dei dispositivi di input ed output, ambito dove ha fatto centro ancora una volta. In questo gioco di equilibrio Apple è orientata in modo preciso, il tutto è capire se soddisfa le nostre esigenze. Altrimenti con la stessa cifra il mercato offre prodotti che magari hanno una o due specifiche migliori a fronte di altre peggiori e difficilmente si trova qualcosa che sia comparabile a tutto tondo con un MacBook Pro. Il dubbio Touch Bar sì o Touch Bar no è assolutamente lecito, perché il modello da 13″ base che comprende questa interessante novità costa 350€ in più ed include anche il Touch ID ed un upgrade di CPU, GPU, RAM (solo per velocità) e porte (con il raddoppio delle porte Thunderbolt 3). Tuttavia oltre ad arrivare a ben 2.099€, bisogna considerare anche che ancora non sappiamo quanto questa sia veramente utile all’atto pratico. Bisognerà attendere le prime consegne per scoprirlo, visto che i modelli con Touch Bar sono arrivati con un po’ di ritardo, per cui il mio consiglio e di non essere troppo frettolosi. Potrebbe rivelarsi un inutile orpello estetico, è vero, ma inizio a pensare che non sarà affatto così.

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PRO
+ Peso e dimensioni sempre più contenuti
+ Costruzione che migliora di generazione in generazione
+ Display eccellente
+ Tastiera comoda e precisa
+ Trackpad Force Touch ampio e funzionale
+ CPU e GPU di discreta potenza e ridotti consumi
+ SSD NVMe dalla velocità imbarazzante
+ Buona autonomia
+ Ha solo 2 porte, ma solo le più avanzate e veloci

CONTRO
- Prezzo elevato
- Non c’è il lettore di SD
- Non c’è la possibilità di configurarlo con hardware molto performante

DA CONSIDERARE
| La porta Thunderbolt 3/USB-C è la scelta giusta, ma al momento costringe troppo spesso all’uso di adattatori
| L’uscita audio non supporta più il segnale ottico/digitale
| Incompatibilità con i primi dispositivi Thunderbolt 3 / USB-C gen 1 presenti sul mercato

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

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