Foxcoon non è Apple e non lavora solo per Apple, così come Apple non si rifornisce solo da Foxconn. Non è uno scioglilingua, ma un semplice dato di fatto che spesso viene accidentalmente trascurato. Tuttavia il rapporto tra queste due aziende è molto forte, ma se l’immagine del numero 1 di Infinite Loop è fatta di campus spaziali immersi nel verde, i lavoratori della Foxcoon hanno tutt’altre gatte da pelare.
In vecchio monologo Beppe Grillo diceva che per mitigare la crescita economica cinese sarebbe bastato mandargli per qualche mese i nostri sindacati. Al di là della battuta di un comico che piega la verità come i cucchiaini pur di strappare una risata, il basso costo della mano d’opera cinese è in larga parte dovuto a condizioni di lavoro impensabili per gli standard occidentali. La Foxcoon poi è tristemente nota per alcuni casi di suicidio nelle proprie fabbriche (che ora hanno le sbarre alle finestre!) ed era troppo facile seguire il filo economico per risalire a quell’azienda che è la più quotata al mondo.
Con motivazioni legate sia all’immagine che a sani principi industriali, Apple ha richiesto in febbraio una valutazione indipendente alla Fair Labor Association (FAL) che ha visitato tre fabbriche ed ha ascoltato circa 35.000 dipendenti. Il risultato dell’investigazione pubblicata con numerosi documenti evidenzia numerose serie violazioni, come riporta Bloomberg. L’età media è di 23 anni e non ci sono lavoratori minorenni, ma ci sono oltre 50 irregolarità che Foxconn ha dichiarato di voler sanare entro luglio del 2013. Il minimo sono straordinari non pagati, ma di sovente si lavora per 10 giorni consecutivi senza pausa nel weekend e con salari che sono così bassi che il costo/ora è inferiore al prezzo di un Big Mac.
Immaginate il mio stupore quando, seguendo un tweet di @setteBIT, sono capitato sull’articolo di reuters che introduce più o meno così:
Quando il lavoratore cinese Wu Jun heard ha sentito che il suo datore di lavoro, il gigante dell’elettronica Foxconn, darà ai dipendenti delle concessioni la sua reazione è stata preoccupazione, non euforia.
È una mentalità così radicata che ci vorrà del tempo affinché le cosa cambino davvero in Cina e, quando avverrà, difficilmente un’ora di lavoro costerà meno di hamburger.