Patrick Rhone di MinimalMac ha scritto un ottimo articolo che evidenzia bene il cambiamento di mentalità di Apple negli ultimi anni, culminato nella presentazione di iCloud al WWDC.
A suo parere sta per finire un’era: quella in cui un ben preciso computer è la tua “presenza” (in senso lato) telematica, vi corrisponde perfettamente. Col tempo, e con i nuovi dispositivi con cui cominciamo ad avere confidenza e a usare nel modo appropriato, i nostri dati non appartengono più ad un solo terminale. Tutt’altro: la portabilità è d’obbligo. Ma portabilità non significa soltanto poter vedere un PDF sull’iPhone trasferendocelo con metodi a dir poco antiquati (sì, sto parlando della condivisione dati integrata in iTunes), ma averlo a disposizione ovunque e in ogni momento senza bisogno di mezzi accessori oltre al dispositivo stesso.
I dispositivi diventano al contempo più personali — inserendo le credenziali dell’Apple ID abbiamo accesso ai nostri dati — e generici — chiunque può “sentirsi a casa”, qualunque sia il metodo di accesso.
L’analisi, così come l’opera di Apple, può apparire scontata. Ma non è affatto così. Fino ad oggi la tecnica che più assomigliava a questo scenario consisteva nell’utilizzo di Dropbox, ma già questo richiede che una sua copia sia presente in ogni computer/tablet/telefono usato e che i nostri dati siano stati spostati in una cartella apposita. Certo, soluzione migliore di come eravamo abituati fino a pochi anni fa, ma anni luce dall’apparire magica.
“Magia”, appunto, è la parola d’ordine di Apple di questi tempi. Clarke disse una volta che “ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia”. Forse, iCloud, lo è davvero.