Il modello di business "a canone mensile" si sta diffondendo sempre più e non solo per i servizi di streaming (audio o video che siano), ma anche per le app. L'abbandono del classico sistema di vendita è dovuto alla necessità di tenere basso il prezzo di una singola app mantenendola al contempo sempre aggiornata (a meno che lo sviluppatore non ne rilasci una major release). Inoltre, è da considerare che l'abbonamento si sta diffondendo come unico canvas sostenibile per lo sviluppo, per la manutenzione e per l'erogazione dei servizi di assistenza relativi alle app, soprattutto se queste sono destinate ad un'utenza business (Wunderlist ed Evernote in primis), visto che la vendita "secca" (a meno che non avvenga a un prezzo consistente) potrebbe non essere sufficiente per la copertura di tutti i costi di produzione.
Forse proprio in quest'ottica Apple ha deciso di cambiare il sistema di revenue sharing per le app in abbonamento, permettendo agli sviluppatori di trattenere l'85% degli introiti e non più il 70%, ma solo se l'utente rinnoverà la sottoscrizione ai servizi erogati tramite app dopo il primo anno. Secondo quanto riportato da Recode anche Google starebbe pianificando una simile mossa per non rimanere troppo distante dalla rivale, differenziandosi solo per la scelta di non adottare il sistema 85-15 dal secondo anno, ma sin dalla prima sottoscrizione (la misura sarà retroattiva, come nella variante di Apple). Gli sviluppatori potranno beneficiare sin da subito della percentuale a loro più favorevole, a patto ovviamente che le sottoscrizioni avvengano tramite Play Store. Le percentuali per gli acquisti delle app, invece, rimarranno invariate sul solito equilibrio 70-30. Sonni tranquilli per tutti, dunque: i guadagni si assesteranno in egual misura da entrambi gli Store, a prescindere dal dispositivo.