Il triste stato dei Mac nasce da un sostanziale errore di valutazione di Apple

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La vita a contatto con “la rete” ci offre diversi spunti di arricchimento. Ogni persona è una risorsa e il fatto che siano così tante quelle raggiungibili non fa che estendere i nostri orizzonti. Almeno in teoria. Proprio l’immensa vastità dei possibili collegamenti sta inducendo i principali social network ad aggiungere filtri di affinità, rischiando di farci perdere la visione d’insieme con l’esclusione delle verità che non ci piacciono. Ed è ancora più grave, secondo me, che pure Google utilizzi le nostre informazioni personali in suo possesso per decidere cosa ci interessa di più. Certo è più utile nell’immediato, ma le risposte prevedibili non sono in grado di stimolare una crescita. Sono semplicemente risposte. In questo scenario fatto di nascenti intelligente artificiali che selezionano ciò che (secondo loro) vogliamo sapere, finisce che ci troviamo a leggere sempre le stesse cose, ancora e ancora. Pure le notizie sembrano inserite in un continuo flusso immutabile di corsi e ricorsi. Nella nostra “bolla tech” leggiamo continuamente della causa tra Apple e Samsung, dei produttori asiatici che conquistano l’occidente, degli incassi da record in quel di Cupertino, dei fantomatici problemi del nuovo iPhone e dei leak del successivo, ma anche dei professionisti che si lamentano dei Mac.

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Un fotogramma della storica campagna Mac vs PC

In certo senso è facile credere che anche le notizie seguano la moda del momento. Seppure con numeri ben diversi, è un po’ quello che succedeva tra i banchi di scuola, quando tutti volevano le scarpe o il maglioncino con il marchio più in voga. Il primo influecener degno di nota che si espone e raccoglie una massa critica di consensi finisce per diventare il trendsetter di un incessante coro di voci. Sarà forse questo che sta capitando nel mondo Mac? Gli strenui difensori della mela annuiranno ma io credo che dietro ad un malcontento così diffuso anche in ambienti professionali, tipicamente poco inclini al pettegolezzo, ci sia una realtà vera e tangibile. Questa notte mi è capitato di leggere un articolo di BGR basato sullo sfogo di Quentin Carnicelli, cofondatore della storica software house “solo-Mac”: RogueAmoeba.

Final Cut Pro X è uno dei pochi software professionali che giustifica l’acquisto di un Mac

Si occupano di audio e lo fanno con diversi tool destinati ad una fascia prosumer/professionale in cui ricado io stesso. Utilizzo Audio Hijack per registrare da qualsiasi sorgente audio e mixare i risultati, Nicecast per le dirette audio, Loopback per amministrare strumenti hardware e software, ma conoscerete anche SoundSource, Airfoil, Fission… insomma, non è un’azienda nata ieri o che basa il suo business su marketing virale e spam: qui c’è sostanza e tanta passione, tutta destinata ad uso e vantaggio esclusivo del mondo Mac. Il breve post di Quentin Carnicelli non ci dice nulla che già non sappiamo ma io l’ho letto e assimilato come un’ulteriore conferma del fatto che il problema è reale, non sta solo negli occhi degli osservatori più critici. Una delle prime frasi che mi ha colpito è stata questa:

It’s very difficult to recommend much from the current crop of Macs to customers, and that’s deeply worrisome to us, as a Mac-based software company.

La sensazione di non poter più consigliare l’acquisto di un Mac è un qualcosa che mi infastidisce tanto e a cui non ero abituato fino a 5 anni fa. Pur con i suoi difetti io continuo ad amare questo ecosistema ma non posso scommettere che sarà così per tutti e di sicuro non al punto da giustificare dei prezzi sempre più elevati per le capacità di calcolo offerte, a fronte di una qualità hardware che è sempre eccellente ma non più inarrivabile e decisamente meno infallibile. Per un’azienda che basa il suo business sui Mac il rischio che questi possano vendere sempre meno e restringere la potenziale clientela è tangibile, ma io non credo che sia questo il problema. Il segmento continua ad essere profittevole per Apple e la contrazione del mercato dei computer è un elemento naturale dovuto alla diffusione di smartphone e tablet. Il portatile o il fisso comprati per navigare su internet, controllare la posta, giocare a qualche titolo leggero e gestire documenti, foto e video, non ha più senso a prescindere dalla marca o dal sistema operativo, e ne avrà sempre meno in futuro.

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Il MacBook sarebbe il computer consumer perfetto… con qualche porta in più

Questo è il vero problema dei Mac e quello che Apple non ha ancora capito. Le capacità crescenti degli strumenti da palmo stanno radicalizzando la clientela ed esisterà sempre meno l’acquirente generico. Tolti tutti questi e considerando la scarsa propensione dei Mac a far breccia in ambienti office e nel settore gaming, gli utenti professionali rappresenteranno nei prossimi 5 o 10 anni gli unici che rimarranno ad Apple. Questo non vuol dire che serviranno solo computer ad altre prestazioni, anche un giornalista o un dirigente può avere giusta ragione di preferire un Mac e per quelli gli ultra portatili come il MacBook sono una soluzione perfetta. Per tutti gli altri, però, ecco una seconda frase rilevante di Carnicelli:

At the time of the writing, with the exception of the $5,000 iMac Pro, no Macintosh has been updated at all in the past year.

È proprio così: l’iMac Pro è l’unico computer dell’offerta che sta sotto i 12 mesi di anzianità ed è una cosa assurda. Non dico che si debba entrare in un loop interminabile di inutili update intermedi, ma neanche ignorare per così tanto tempo hardware più nuovo che si trova sul mercato. Gli anni “giusti” erano quelli in cui sui computer più importanti vi erano due update, che Apple identificava con le diciture earlymid e late a seconda del periodo di uscita. E invece oggi assistiamo a dei salti così lunghi e del tutto ingiustificati per un’azienda così ricca e che fa ancora tanti soldi con i Mac.

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Povero Mac mini: ultimo aggiornamento oltre 1300 giorni fa

Non ci sono scusanti per avere a listino un Mac mini 2014 con hardware di 5 anni fa così come un iMac che ancora non si è avvantaggiato dei miglioramenti consistenti dei processori Coffee Lake, che nel mondo PC si sfruttano da oltre 6 mesi. Non provate neanche a trovare una ragione a tutto questo perché non può e non deve esserci.

Their current failure to keep the Mac lineup fresh, even as they approach a trillion dollar market cap, is both baffling and frightening to anyone who depends on the platform for their livelihood.

Sviluppatori, grafici, video maker, modellatori 3D, ingegneri, sono solo alcuni dei professionisti che potrebbero rappresentare il nuovo futuro dei Mac con la progressiva uscita di scena del “consumatore medio” ed Apple li sta deludendo tutti mese dopo mese, computer dopo computer, aggiornamento dopo aggiornamento. Nel settore portatile bisogna lasciare al MacBook (magari con più porte e potenza…) il compito di soddisfare l’utenza base e ridare ai MacBook Pro un senso con migliori CPU e GPU. Nel settore desktop il Mac mini è un tassello utilissimo, valido sia in ambiti professionali che privati e non si capisce proprio perché Apple lo tratti in questo modo.

L’iMac Pro è l’anello di congiunzione tra un all-in-one efficiente ed una workstation mancata

L’iMac (recensione) è il computer che rimane più riuscito nell’offerta attuale, basterebbe aggiornarlo con una frequenza degna per offrire le tecnologie odierne e non quelle dell’anno precedente, mentre l’iMac Pro (recensione) doveva essere una versione da 32″ con CPU serie Extreme e non Xeon. Questi ultimi meritano una macchina scalabile, modulare e upgradabile, cosa che Apple ci ha promesso nel 2017 e speriamo di vedere nel 2019… tempi del tutto inadeguati per un colosso della tecnologia di questa portata e che neanche sappiamo se porteranno davvero a qualcosa di utile in stile Mac Pro fino al 2012, ancora più diffusi ed utilizzati dei successivi.

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

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