Durante la WWDC 23 gli ascoltatori più attenti hanno notato che nessun esponente di Apple ha usato la sigla AI in alcun contesto. In realtà, il significato stesso di Intelligenza Artificiale è stato profondamente abusato dal marketing di questi anni, al punto che ne servirà uno nuovo qualora ci si trovasse davvero di fronte ad una macchina “intelligente”. Il più corretto Machine Learning, al contrario, si trova spesso nelle dichiarazioni di Apple, ma evidentemente ha perso gran parte del suo potere auto-esplicativo a seguito dell’avvelenamento da IA.
A prescindere dalle etichette, sistemi come ChatGPT hanno settato un nuovo standard per il settore, soprattutto per la notorietà che hanno saputo raggiungere al di là della sfera squisitamente tecnologica. Sicuramente c’è fin troppo ottimismo sulle capacità reali di una LLM e sulle implicazioni dovute al metodo ed alle fonti di apprendimento, ma è chiaro a tutti il netto distacco rispetto ad un sistema d’interazione vecchio com’è quello di Siri.
Qualche tempo fa, Mark Gurman su Bloomberg aveva riportato la notizia che Apple stesse lavorando dietro le quinte ad una sua versione di chatbot evoluto che integrasse Siri, ricerca e Mappe, ma con limitazioni piuttosto restrittive riguardo l’accesso al sistema e l’uso dei risultati, che non potevano in alcun modo essere usati per sviluppare nuove funzioni destinate agli utenti.
Ieri, in una intervista a Reuters, Tim Cook si è sbilanciato un po’, confermando che sono già anni che fanno ricerca nel settore della IA, cosa che si ritrova anche nell’incremento della spesa in R&D. Ad esempio nei dati del Q3 2023 pubblicati ieri (che, a proposito, sono dell’1% inferiori all’anno precedente, ma comunque superiori alle aspettative per il periodo) si può ritrovare un incremento di 3,12 miliardi per la ricerca e sviluppo anno su anno.
Il problema delle IA generative è che funzionano meglio quanti più dati hanno a disposizione. Ad esempio, OpenAI ha allenato l’attuale versione di ChatGPT con 45TB di dati, ma ancora non sappiamo se la pesca a strascico che ha effettuato sul web porterà problemi di copyright a chi dovesse utilizzare i risultati da esso forniti.
Si diceva che Apple avesse valutato inizialmente di basarsi su OpenAI, ma ha poi scartato l’opzione. Ad oggi l’ipotesi più accreditata è che possa utilizzare il framework di machine learning Google Jax – da cui Apple sembrerebbe aver preso il nome per il progetto Ajax – ma anche su questo c’è un’incertezza di fondo: da dove prenderà i dati? Apple ha un approccio piuttosto diverso rispetto le altre aziende che stanno facendo da apri pista in questo settore, e difficilmente si metterà nella spiacevole condizione di “rubare” dati dal web o dagli utenti sperando di non avere problemi. Ecco perché potrebbe star attendendo ulteriori sviluppi sul piano normativo ed etico delle IA generative, oppure di stringere accordi a viso scoperto con chi potrebbe fornire tanti contenuti (penso ad esempio a Wikipedia e simili).