Se avete un iMac Pro o un MacBook Pro 2018, non dimenticate i backup periodici

Con l’iMac Pro (recensione) Apple ha introdotto il chip T2, evoluzione del T1 presente nei primi MacBook Pro con Touch Bar. Questo piccolo componente ARM ha molteplici funzioni, tra cui uno stretto giro di vite sul fronte sicurezza. Addirittura il disco di boot può essere reso illeggibile anche se smontato dal Mac e montato altrove. Il T2 ha tanti benefici che abbiamo più volte trattato, ma c’è almeno un elemento che pesa sulla bilancia dei contro: la difficoltà del ripristino.

Nei casi non troppo gravi, ovvero quando si tratta per lo più di inconvenienti legati al software, la pagina di aiuto del sito Apple suggerisce l’utilizzo di un altro Mac funzionate collegato via USB-C/Thunderbolt. Ma cosa fare quando i problemi sono più importanti? I primi MacBook Pro con il chip T1 avevano una porta interna che consentiva ai tecnici Apple di effettuare un backup dei contenuti dell’SSD, così da spostarli dal vecchio computer al nuovo riparato (visto che in caso di problemi i centri Apple locali sostituiscono quasi sempre l’intero top case per semplicità, velocità ed economia). Con l’arrivo del T2 questa porta è sparita in seguito all’incremento delle misure di sicurezza. Per questo nella recensione del MacBook Pro 13″ 2018 ho inserito nei punti “da considerare”:

Il backup è obbligatorio: in caso di interventi i dati non saranno recuperabili

Vista tale condizione, avevamo un po’ tutti le antenne drizzate per scorgere novità sull’argomento e non poteva passare inosservato il post di ieri di 9to5mac:

Apple introduces new data recovery process for Macs with T2 chip

Gli ho dato una prima lettura con la speranza di scorgere il miglioramento dovuto al nuovo processo di recupero citato, tuttavia non ho notato differenze rispetto quello che ci aveva descritto a dicembre dello scorso anno il buon Razziatore su queste pagine.

Il ripristino dell’iMac Pro può richiedere il collegamento a un altro Mac

Vero è che in quel caso c’era un “può” nel titolo, ma dipendeva principalmente dalla speranza che il tempo avrebbe portato allo scoperta di nuovi e più pratici metodi. Purtroppo non sembra questo il caso. Era stato il solito Steve Troughton-Smith a lanciare la bomba l’anno scorso, sottolineando come fosse necessario portare l’iMac Pro (il primo con T2) in DFU.

Se questa sigla non vi è nuova il motivo è semplice: l’avrete già sentita nominare un milione di volte parlando di iPhone e iPad. La modalità di Device Firmware Upgrade è praticamente quella, poiché il T2 è un piccolo dispositivo ARM a tutti gli effetti ed è lui che si occupa delle fasi di avvio del sistema, verificandone l’integrità passo dopo passo ancor prima di passare la palla all’hardware principale. Ebbene la procedura descritta dal post di 9to5mac è esattamente la stessa e rimangono dunque i medesimi limiti: serve un altro Mac e quello che non funziona deve comunque potersi accendere. Se la scheda logica e così danneggiata da non consentire l’avvio neanche con alimentazione esterna, non c’è nulla da fare, allora come ora. Rimane dunque valido il consiglio inserito nella recensione del MacBook Pro 2018, perché in caso di problemi all’hardware la possibilità che i dati vadano persi è molto elevata. Una buona politica di backup è consigliata sempre e a tutti, ma ancor di più a chi utilizza i computer con il T2, attualmente solo l’iMac Pro e il MacBook Pro 2018.

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.

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