Recensione: MacBook Pro 13” Touch Bar (2018), un deludente passo avanti

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Prima del 2010 il portatile più iconico di Apple era probabilmente il MacBook bianco, mentre è stato l’Air a dominare la scena nei 5 anni successivi. Oggi il MacBook ha cambiato completamente connotati, da computer personale ed economico a costoso ultrabook, e l’Air è stato abbandonato al suo destino, senza aggiornamenti significativi da 3 anni a questa parte. Il MacBook Pro, invece, è stato da sempre il portatile amato dai creativi di professione, nonché il più acquistato nella fascia alta del mercato cui appartiene. Gli hanno tolto la mai abbastanza compianta mela luminosa, è sparito il geniale MagSafe, lo schermo è più delicato per l’assenza del vetro, le porte sono un po’ sacrificate per l’uso in mobilità senza dongle, la tastiera con meccanismo a farfalla ha portato ad un programma di richiamo e non ci è rimasto un solo componente non saldato che l’utente possa sostituire, eppure è sempre nell’Olimpo dei portatili più cari e al tempo stesso desiderati. Il modello presentato quest’anno è uno dei più attesi di sempre, sia perché ha tardato ad arrivare che per le importanti novità dovute al cambio di architettura. Ad un occhio disattento potrebbe apparire come un aggiornamento intermedio di poco conto, visto che il design non ha subito variazioni, eppure di novità ce ne sono diverse.

Benvenuti 2 core in più

Uno degli aspetti più importanti è sicuramente il passaggio all’ottava generazione di processori Intel Core, nome in codice: Coffee Lake. Il processo produttivo impiegato è sempre quello a 14nm – che si potrebbe definire vecchio senza sbagliare, essendo nativo di Broadwell e poi usato anche su Skylake e Kaby Lake – ma c’è una graditissima novità per gli utenti: l’incremento di core. Sia il 13″ che il 15″ ne guadagnano due a testa in tutte le configurazioni, fin da quella base. Il salto maggiore è chiaramente quello del piccolino di casa, che con il raddoppio netto di core e thread cerca di proporsi come computer adatto anche a scopi più impegnativi. Nel 15″ si hanno per la prima volta 6-core e addirittura una CPU i9 opzionale, ma con i limiti di dissipazione di questi case super sottili non si potranno mai sfruttare del tutto le prestazioni, perché il tetto del Turbo Boost rimarrà un miraggio. In più qui si partiva già da un quad-core e quindi il margine di miglioramento è tanto ma proporzionalmente inferiore.

Potremmo dire che il MacBook Pro 13″ nel 2018 è finalmente maturato dopo diversi anni in cui era sempre troppo vicino alle soluzioni più economiche (Air) e lontano dalle mire di chi avesse necessità di calcolo anche solo medie. Il limite rimane quello della GPU, poiché Apple non è riuscita ad inserire nel 13″ una soluzione discreta come la NVIDIA MX150 che si trova in computer simili della concorrenza, per cui ci si dovrà accontentare della iGPU Intel Iris Plus Graphics 655 con 1,5GB di memoria condivisa. Decente sì, ma sicuramente inadatta per chiunque abbia a che fare con applicazioni che sfruttino la potenza di calcolo della GPU.

Il problema del Thermal Throttling

Ne abbiamo già parlato tanto, con diversi articoli ed approfondimenti, ma un brevissimo recap è necessario. Queste nuove CPU scaldano più delle precedenti perché c’è una sostanziale parità di processo produttivo ma un numero superiore di core ed uno scarto maggiore tra le frequenze di base e quelle in Turbo Boost (addirittura +1,9GHz nell’i9). In sostanza anche se il TDP appare identico a quello delle generazioni passate, per sfruttare pienamente i vantaggi di Coffee Lake serviva un intervento progettuale mirato, sia dal punto di vista hardware (pasta termica migliore, ventole più performanti, materiali diversi o qualsiasi altra cosa) che software (algoritmi intelligenti per privilegiare prestazioni o silenziosità in base alle necessità dell’utente). Da questo punto di vista, Apple ha mancato il bersaglio: non solo ha mantenuto la medesima e già sottodimensionata dissipazione dei precedenti MacBook Pro, ma ha anche sbagliato nel regolare l’alimentazione causando degli sbalzi nelle frequenze così marcati da generare un bel po’ di caos mediatico. Poco dopo l’inizio delle lamentele è stato rilasciato un aggiornamento per stabilizzare il clock ma rimane il fatto che più salgono le esigenze termiche delle CPU (frequenze e core in pieno utilizzo) e più aumenta la forbice tra prestazioni teoriche e quelle reali. Le prime ce le può dire bene Geekbench, un test che assegna un punteggio all’hardware senza spingerlo a massimo regime, le seconde sono quelle che constateranno gli utenti quando svolgeranno task di lavoro intensivi (e che vedremo in questa recensione). Per ora ho deciso di provare il 13″ base, che mi sembrava il più interessante dell’offerta per diversi motivi: numeri ottimi per un portatile così piccolo (grazie quad-core!), prezzo e dimensioni contenute e, soprattutto, minore rischio di raggiungere la soglia termica oltre la quale le prestazioni aggiuntive “teoriche” verrebbero vanificate dal sistema di areazione. Più avanti proverò anche un 15″ ma, per ora, concentriamoci su questo che sulla carta si potrebbe definire il MacBook Pro 13″ migliore di sempre. Senza ironia.

Tastiera con meccanismo a farfalla: terzo tentativo

Com’è il detto? Ah giusto: “non c’è due senza tre”. Il tentativo di realizzare una tastiera con un meccanismo più sottile e preciso non è andato a buon fine al primo colpo e si è resa necessaria una seconda generazione l’anno successivo. Anche quella ha incontrato numerose contestazioni ed una casistica di blocchi tale da indurre Apple ad attivare un programma di riparazione gratuita per i modelli 2016 e 2017. Terzo anno, terzo tentativo: con il MacBook Pro 2018 è stato perfezionato il sistema ed introdotta una sottile guaina che evita alle particelle sottili che scivolano sotto i tasti di bloccare il meccanismo a farfalla.

Immagine iFixit

La versione ufficiale è che questo espediente serva per ridurre la rumorosità ma è chiaro che a Cupertino abbiamo cercato un modo per prendere due piccioni con una fava. Se l’esperimento riuscirà lo sapremo solo tra qualche mese, quando sarà dato il tempo ai computer venduti oggi di incontrare eventuali problemi, ma fin da subito si nota la differenza sotto le dita. Il rumore è effettivamente più attenuato, anche se non tanto quanto immaginavo, mentre è piuttosto diverso il feedback alla pressione: più gommoso e meno secco. Se fossi in Apple inizierei a pensare ad una quarta generazione di questo meccanismo perché ci si è allontanati ancora da una scrittura davvero sicura e precisa al primo contatto. Senza dubbio ci si abitua e non si può dire che sia una tastiera scomoda, soprattutto se si considera il minimo spessore occupato, ma sperare che possa migliorare è più che legittimo. Se si usa prevalentemente il portatile ci si sentirà a casa dopo una settimana, o magari meno, se si alterna con le tastiere desktop, anche quelle degli stessi Mac, allora si avvertirà tutte le volte una differenza che reputo sia a sfavore del MacBook Pro.

Inoltre c’è il discorso Touch Bar: Apple ha evidentemente deciso che questa sarà obbligatoria di qui in avanti, tant’è che non ha proprio aggiornato l’hardware del modello da 13″ che non la possiede e nel 15″ nuovo è sempre stata presente dal 2016. Decisione ragionevole in prospettiva ma che non posso condividere visto che fatico a trovarla davvero utile, mentre noto il fastidio dell’assenza di un tasto Esc fisico e del feedback alla pressione. Speravo che Apple approfittasse di questa generazione per aggiungere il Taptic Engine sotto la Touch Bar, ma niente da fare. Speriamo nella prossima.

Sicurezza in stile iOS

Insieme alla Touch Bar c’è l’utile Touch ID per il rilevamento dell’impronta, entrambi pilotati dal T2. Questa nuova generazione del chip ARM realizzato da Apple è diversa dalla precedente, in quanto annovera più funzionalità. Mantiene le nostre informazioni biometriche (e non solo) nella Secure Enclave – lontane da occhi indiscreti e dallo stesso sistema operativo – e ci permette di richiamare sempre “Hey Siri” (che con macOS Mojave guadagna più funzioni).

Il T2 è in realtà un dispositivo ben più complesso di quanto si possa immaginare: è quasi come avere un computer nel computer. Ad esso Apple ha assegnato tutte le funzionalità di base della macchina, dal boot allo sleep, passando per la gestione termica (SMC), dell’audio e altro. Lo abbiamo già visto all’opera nell’iMac Pro (recensione) e rappresenta il metodo trovato da Apple per portare la sicurezza di iOS sul desktop. Il T2 è posizionato a monte del resto dell’hardware ed ha il compito di verificare che ogni componente lanciato durante l’avvio sia integro, evitando la corruzione del bootloader e gli attacchi. Per quanto non sia troppo sbandierato, questo piccolo elemento è destinato a diventare sempre più importante in futuro, andando a tracciare un netto solco rispetto al resto dei computer in commercio.

L’unico svantaggio finora rilevato è che con la scheda logica ed il T2 inservibili non è possibile accedere al contenuto del disco protetto con FileVault. Non è proprio una novità ma sui modelli precedenti c’era una porta interna che consentiva ai centri assistenza di recuperare i nostri dati, spostandoli dal vecchio disco al nuovo (entrambi saldati) in caso di sostituzione del top case. In sostanza molti mandavano il computer in assistenza per un tasto rotto e il centro Apple sostituiva tutto il blocco inferiore per praticità, potendo comunque mantenere i dati grazie ad una sorta di clonazione. Ora questa backdoor non c’è più, il ché significa che nessuno, neanche il produttore ed i suoi tecnici, possono leggere i nostri dati direttamente dal disco scavalcando FileVault. Personalmente mi sembra un’ottima notizia in termini di privacy, a patto che si abbia già una solida politica di backup. Dal momento che l’attenzione media degli utenti in tal senso è molto bassa, mi aspetto non poche lamentele nei prossimi mesi, quando le persone inizieranno a sentirsi dire che per un qualsiasi problema dovranno dire addio a tutti i loro dati. Speriamo che Apple attivi una qualche campagna di sensibilizzazione volta a stimolare l’uso di strumenti anche molto semplici, come lo stesso Time Machine, così da evitare che questo elemento sostanzialmente positivo possa essere trasformato in chiave negativa. Basterebbe una email inviata agli acquirenti dei nuovi MacBook Pro secondo me.

Lo schermo è più rilassante

Il pannello dei MacBook Pro 2018 non ha subito variazioni tecnologiche degne di nota ma Apple ha introdotto pure qui la funzionalità True Tone. A patto che non si lavori con la grafica — le foto, il video o qualsiasi altro settore in cui la fedeltà cromatica sia un aspetto rilevante – si tratta di un espediente che rende la visione dello schermo molto più confortevole di notte o nelle zone poco illuminate. Ho sempre ritenuto erroneo il nome, perché True Tone sembra suggerire una resa dei colori più “vera” quando è esattamente il contrario, visto che non fa altro che introdurre il classico filtro blu che ingiallisce lo schermo. Personalmente è tra le prime cose che disattivo, poiché lavoro nel settore foto/video dove fa più danni che altro, ma per i programmatori, i sistemisti, gli scrittori e tante altre attività è effettivamente comodo, specie se si tende a lavorare di sera tardi o con le luci spente. Anche se Apple non è più inarrivata per risoluzione ed accuratezza cromatica, questo display rimane davvero bello e comodissimo per la sua possibilità di cambiare risoluzione senza che questa impatti negativamente sulla qualità di testi ed immagini (Microsoft, prendere nota prego!). Anche i riflessi eccessivi dei primi modelli sono un lontano ricordo e la luminosità è davvero elevata. Unico neo la delicatezza: da quando non c’è più la copertura in vetro lo schermo si riga piuttosto facilmente (io utilizzo un panno specifico per proteggerlo).

Disambiguazione: il nostro assiduo lettore Stefano è un po’ confuso, poiché legge sul sito Apple che il vetro c’è ancora. Fino al 2012 nei MacBook Pro era presente una copertura di vetro sopra lo schermo, che si poteva anche sostituire in caso di rotture. Era sconveniente perché aggiungeva spessore ed allontanava visivamente il pannello dalla superficie, ma nel passaggio ai modelli Retina è stata rimossa. Chiaramente rimane il substrato che è insito nella struttura degli LCD, che contiene i cristalli liquidi e ci lascia vedere attraverso senza perdite di luminosità. Questo è sempre tecnicamente di vetro (da qui la dicitura sul sito Apple) ma è più simile ad una pellicola. È stato rinforzato per avere un minimo di funzione protettiva, ma rimane troppo sottile ed incline a rigarsi, così come lo è il trattamento antiriflesso (che però oggi è molto efficace). I nuovi modelli Thunderbolt dal 2016 non hanno migliorato le cose e la sola pressione della tastiera a schermo chiuso causa spessissimo dei segni che i centri di assistenza riparano senza battere ciglio, proprio perché consapevoli del problema.

Autonomia

Almeno su un fronte Apple ha tenuto conto dell’impatto dei nuovi processori, aumentando la capacità delle batterie nei MacBook Pro 2018 al fine di garantire la medesima autonomia massima di 10h con navigazione semplice. Nel modello da 13″ si passa da 49.2 Wh a 58 Wh, una differenza niente affatto trascurabile che rimette le cose nel giusto ordine visto che il modello senza Touch Bar prima era superiore, avendo 54,5 Wh già dal 2016. In tutti i casi si tratta di un miglioramento di necessità e non di virtù, dato che non fa altro che pareggiare i conti e garantire la stessa autonomia. Anzi, se si spinge tanto con operazioni in multi-core che spremono l’hardware la batteria dura di meno rispetto al mio dual-core del 2017.

Connettività: grandi vantaggi o grandi sofferenze?

Breve paragrafo per non trascurare alcune altre novità rilevanti, la prima delle quali è la presenza di quattro porte Thunderbolt 3 a piena velocità, mentre nei modelli precedenti le due di destra erano limitate per via del minor numero di linee PCIe nelle CPU Intel prescelte. La seconda è l’arrivo del Bluetooth 5.0, del quale ci si rallegra anche se per ora non ho notato impatti positivi concreti nel mio utilizzo tipico del computer. Non ci hanno ridato lo slot per le SD se ve lo state chiedendo, quindi dongle, dongle, dongle e ancora dongle. Ormai ci abbiamo fatto un po’ tutti il callo, ma continuo a pensare che essendoci lo spazio per mettere quello o persino USB full-size, l’aut-aut dato da Apple ai suoi utenti “Pro” si sia dimostrato solo punitivo fino ad oggi. Nel 2024 ci potremo forse fregiare di essere stati i primi ad adottare la porta del futuro nel passato, ma avrei fatto volentieri a meno di questo switch-off esclusivo e netto, visto che nel presente è stato prevalentemente fastidi e spese. Questo ovviamente per un utente professionale con decine di periferiche di alta fascia ed esigenze di connettività potenziale a 360°, per chi ha due pendrive e un paio di dischi in croce il problema non si pone.

Da notare che la scelta di utilizzare ancora LPDDR3 sui modelli da 13″ e la DDR4 sui 15″ ha un senso: i processori utilizzati non offrono alternative e nei piccoli si è preferito dare priorità ai minor consumi mentre con i secondi si è data una risposta concreta agli utenti che chiedevano 1) più prestazioni e 2) il raggiungimento dei 32GB. Infine va citato il disco, che qui supera i 3GB/s sia in lettura che scrittura… cifre da capogiro!

Prestazioni

Se si tratta di scegliere tra CPU di pari generazione in cui cambia solo la frequenza di clock, personalmente evito di spendere dei soldi in più per i miglioramenti marginali che se ne ottengono. Di norma si guadagna un 5/10%, a volte qualcosa in più, ma nell’economia generale di utilizzo tendo a considerarli trascurabili. Diverso è il discorso relativo ai nuclei di calcolo e il vantaggio offerto da queste CPU quad-core rispetto le vecchie dual-core è sostanziale, almeno nei benchmark.

Come ho ribadito più volte, Geekbench è un test che valuta le prestazioni in condizioni d’uso “leggere”, ma non ci dice come regge l’hardware quando si sfrutta al massimo. In questi casi, infatti, l’efficienza della dissipazione termica gioca un ruolo rilevante, poiché determina la possibilità o meno che si possa mantenere il tetto di performance per periodi di tempo prolungati (che può significare anche pochi minuti, non necessariamente ore). Apple evidenzia la velocità massima del Turbo Boost finanche nell’elenco sintetico dei propri modelli, quello che non dice è che rimarrà sostanzialmente un miraggio. Nelle mie prove sul campo ho visto sfiorare la velocità massima di 3,8GHz raramente e solo per pochissimi istanti. Di contro il fenomeno del Thermal Throttling è abbastanza raro.

In esportazione video H.264 da Premiere Pro CC, che da qualche versione supporta nativamente la codifica hardware Intel Quick Sync, si riesce a rimanere stabili a circa 3,6GHz per diversi minuti, ma quando si raggiungono i 90/95° iniziano le montagne russe. E questo dopo il fix di Apple e con l’ultima versione del software Intel Power Gadget, immaginarsi prima… Il fatto è che la sofferenza maggiore si ha tirando in ballo anche la GPU con OpenCL/OpenGL/Metal, perché in quel caso la temperatura del “pacchetto” sale di più e i benefici del Turbo Boost svaniscono quasi del tutto, con un clock che varia da 2,3 a 2,6GHz e può scendere anche ben al di sotto dopo alcuni minuti di lavoro.

Colpa di Adobe? Beh, in effetti con prove alternative si regge un po’ meglio il carico stando alle frequenze, ma l’erogazione di energia scende notevolmente e con essa le prestazioni. Con OpenCL i 3,1GHz di base del vecchio modello dual-core non si vedono, figurarsi i 3,8GHz teorici del Turbo Boost.

Attenzione quindi a non farsi ingannare dai benchmark sintetici. Guardando solo al numerino che ci indica Geekbench sul multi-core, verrebbe facile portarsi a casa una convinzione di questo tipo: visto che i 16870 punti del nuovo MacBook Pro 13″ Touch Bar base sono l’85% in più rispetto ai 9131 punti del precedente di pari livello, allora ogni operazione sarà altrettanto più rapida. Sarebbe bello se fosse così, ma non lo è affatto.

Intanto esistono ancora operazioni ed applicazioni non beneficiano del multi-core, per cui il confronto diventa di 4664 contro i vecchi 4306, con miglioramenti percentuali ben più contenuti e che possono variare tanto da test a test. Nel senso che eseguendolo più volte sul modello nuovo si hanno anche numeri molto diversi. Inoltre il multi-core è ottimizzato per consentire più operazioni in parallelo e parte del beneficio dovuto ai due core in più si concretizza in una maggiore reattività del sistema mentre questo già lavora in background. Infine c’è l’aspetto più importante che riduce il vantaggio reale ed è che nell’ultima generazione Coffee Lake per mobile Intel ha spesso ridotto la frequenza base delle CPU aumentando la forbice del Turbo Boost, con l’obiettivo di minimizzare i consumi nell’uso semplice ma fornire comunque prestazioni elevate se necessario. Per capirci: nel medesimo modello 2017 (base con Touch Bar) Apple aveva scelto un i5-7267U da 3,1GHz stock, mentre nell’attuale ci ha messo un i5-8259U che parte da 2,3GHz. Quindi anche se non si scendesse mai sotto questa frequenza la stessa è molto inferiore a quella del vecchio esemplare analogo. Ecco perché i vantaggi reali sul campo risultano così esigui.

Nel complesso è un computer valido, su questo non si discute, ma sarebbe stato necessario avere un sistema di dissipazione tale da sfruttare tutto il Turbo Boost disponibile sulla carta, così che il numerino di Geekbench potesse trovare un corrispettivo più consistente nel mondo reale, cosa che purtroppo non è. Tra gli esempi ci metto anche Premiere Pro CC ma non è una cosa che riguarda lui.

Ipotizzando che Apple non vada a migliorare il progetto termico dei MacBook Pro in futuro (cosa che ritengo possibilissima), per vedere davvero l’efficienza dei processori quad-core e 6-core sui 13″ e 15″ ci sarà da aspettare una futura generazione di Intel con processo produttivo a 10nm, che dovrebbe ridurre notevolmente il calore generato. Purtroppo non sarà la nona in arrivo ad ottobre, poiché anche questa partirà a 14nm (in futuro si vedrà, Intel ha chiarito che ormai non c’è correlazione diretta tra generazione e architettura).

Un altro handicap di questo computer è la Iris Plus 655 integrata. Intendiamoci, ci sono infiniti scenari di utilizzo per cui i suoi limiti non si avvertiranno più di tanto, ma ciò non toglie che sia un collo di bottiglia. Alcune delle migliori offerte del mercato al di sotto dei 15″ includono già una GPU dedicata, spesso un NVIDIA MX150 con prestazioni nettamente superiori.

Quella integrata di Intel rimane a disposizione per carichi leggeri e per consumi ridotti, ma una scheda video di questo calibro avrebbe reso molto più completo il piccoletto di casa, che già con il quad-core donatoci da Coffee Lake un passo in avanti, per quanto piccolo, lo ha fatto.

Conclusione

Voto 4/5Non scherzavo dicendo che questo rischiava di essere il MacBook Pro 13″ migliore di sempre. Trovo più che lecita l’affezione ai modelli pre-Retina del 2012, che molti hanno usato per diversi anni andando ad aumentare la RAM e mettendoci un SSD. Erano dei carri armati rispetto agli attuali e si portavano dietro i loro difetti, però si pagavano abbastanza bene anche in Italia ai loro tempi ed hanno dimostrato di reggere alla prova del tempo, tra piccoli upgrade ed una buona dose di connessioni. Oggi il concetto di portatile professionale si è estremizzato ed è piuttosto borderline se si considera che questo MacBook Pro 13″ è più compatto di quelli che pochissimo tempo fa chiamavamo ultrabook. Non c’è dubbio che la maggioranza degli utenti preferiscano la mobilità e l’autonomia con prestazioni sufficienti piuttosto che spingere queste ultime al limite, trovandosi con dei bestioni che oggi non vogliono quasi nemmeno più gli appassionati di gaming. Tra i due estremi, però, c’è una sfumatura di portatile professionale perfetto (PPP?) che Apple non ha nella sua offerta. Finché si stava con i dual-core, quello che oggi chiamiamo MacBook Pro mi sembrava il perfetto erede spirituale dell’Air, del quale è comunque più piccolo. Quello che manca oggi è un vestito più adatto a contenere adeguatamente un vero “Pro” di questo calibro (ancor di più con il 15″ 6-core). Parlo di aggiungere 1 mm di spessore al massimo per avere una tastiera più robusta e precisa, una ventilazione più efficace, batteria più longeva e porte comode, ovvero usabili nel presente così come sono. Il punto è che un prodotto del genere non è chiaramente nelle mire di Apple, quindi è anche stucchevole continuare a chiederlo. Quel che abbiamo è un portatile leggero e compatto, con connessioni poco pratiche nel quotidiano ma che garantiscono una grande flessibilità (con il giusto investimento) e finalmente dotato di buoni processori quad-core (che non si sfrutteranno pienamente per limiti termici). Il tutto non è più all’ultimo grido in termini di estetica ma è comunque difficile trovare di meglio se si considera l’insieme, macOS incluso. Certo è caro e a questo prezzo uno sforzo per metterci una GPU discreta anche base di AMD avrebbe rappresentato un giusto motivo di soddisfazione, ma anche così ha i suoi pregi. Prima di questa prova pensavo che la CPU migliore per il 13″ fosse questa base ma ora direi che possa valere la pena investire per la CPU opzionale i7 (+360€): partendo da un clock di 2,7GHz e con il Turbo Boost che vacilla, il miglioramento in prestazioni reali potrebbe essere rilevante.

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PRO
+ Dimensioni e peso contenuti
+ Ottima costruzione, molto curata per materiali e finiture
+ Processori quad-core in tutte le configurazioni
+ Dischi SSD PCIe con velocità incredibili
+ Ampia flessibilità di connessione grazie alle quattro Thunderbolt 3
+ Trackpad Force Touch di qualità superiore
+ Nuova tastiera, un po’ più silenziosa e (si spera) robusta
+ La Touch Bar ci dà una bella sensazione di un futuro presente
+ Il Touch ID è ottimo
+ Maggiore sicurezza e privacy grazie al T2
+ Lo schermo è davvero buono e il True Tone può essere molto comodo
+ Buona autonomia, ma solo se non gli si tira il collo

CONTRO
- Prestazioni teoriche distanti da quelle reali
- Prezzi elevati e gli upgrade in fase d’ordine sono gli unici possibili
- Nel mondo attuale T3 e USB-C ci rendono ancora schiavi degli adattatori
- Si sente molto l’assenza di un feedback fisico sulla Touch Bar
- Una GPU dedicata ci starebbe tutta con questo hardware e questo prezzo

DA CONSIDERARE
| RAM ancora LPDDR3 (ma è logico per favorire i consumi)
| Il backup è obbligatorio: in caso di interventi i dati non saranno recuperabili

Maurizio Natali

Titolare e caporedattore di SaggiaMente, è "in rete" da quando ancora non c'era, con un BBS nell'era dei dinosauri informatici. Nel 2009 ha creato questo sito nel tempo libero, ma ora richiede più tempo di quanto ne abbia da offrire. Profondo sostenitore delle giornate di 36 ore, influencer di sé stesso e guru nella pausa pranzo, da anni si abbronza solo con la luce del monitor. Fotografo e videografo per lavoro e passione.