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Una WWDC 2020 col botto, quella iniziata lunedì. La modalità tutta virtuale non ha causato alcun problema alla conferenza Apple per sviluppatori, che anzi si è dimostrata la più interessante degli ultimi anni. Forse per tornare a qualcosa di altrettanto stravolgente si deve tornare al 2013 con iOS 7, anche se io andrei addirittura più indietro, al 2005, con la transizione da PowerPC ad Intel. Del resto, a distanza di quindici anni c’è un filo comune tra vecchia ed ultima WWDC: un cambio di architettura. Visto il contesto, l’appuntamento col “buono, brutto e cattivo” di quest’anno si estende da iOS a tutto quanto presentato. Iniziamo con gli aspetti migliori.

Il buono

Posso dire che la realizzazione del keynote mi è davvero piaciuta? Pulita e coinvolgente, ancor più spettacolo degli eventi passati, oserei dire. Non c’è stato il bello della diretta e non ci sono stati gli applausi della platea (e forse ciò ha contribuito ad aumentare la buona riuscita), ma l’aver potuto preparare il tutto meticolosamente ha restituito un risultato davvero diverso dall’era Jobs. Non è un modello che ritengo possa funzionare per tutto, ad esempio la presentazione del nuovo iPhone credo avverrà in maniera tradizionale, anche se magari con zero o poco pubblico in sala, ma per un puro showcase come quello che si può fare col software si sposa benissimo e spero venga tenuto in considerazione con gli opportuni accorgimenti anche quando, si spera già dal prossimo anno, la WWDC tornerà fisica.

Proseguiamo ora con Big Sur. Anzi, oserei dire Big Show. Da lunedì sera usare Catalina in questi mesi di attesa sembrerà di essere già nel passato, non nel presente. Un rinnovamento estetico assai più profondo di quello cui assistemmo in Yosemite, che in fondo fu più un appiattimento di Aqua, per avvicinarlo un po’ più all’allora nuovo stile di iOS, senza cambiare così tanto i connotati. Il tutto contraddistinto dalla classica attenzione della mela per il design, che così risolve pure quell’incoerenza di stili che stava crescendo in macOS (esempio: Finder con la classica barra del titolo, Safari blocco unico con toolbar, App Store da Mojave in poi con canoni estetici totalmente diversi e di fatto anticipatori di Big Sur). Ogni app ed ogni icona è stata sottoposta al maquillage o lo sarà nel corso delle prossime Beta, ma anche degli aggiornamenti minori che inevitabilmente andranno a fare qualche correzione di tiro. Non è nemmeno mancato qualche gradito ritorno, come il suono d’accensione che negli ultimi Mac era disabilitato. Sarebbe bello a questo punto per completare il cerchio rivedere il video introduttivo post-installazione come nelle prime release di OS X; difficile accada, ma chissà mai se più avanti nello sviluppo (questi dettagli sono di solito tra gli ultimi che vengono inseriti) Apple non faccia la sorpresa.

Un rinnovamento così profondo che ha sancito pure un cambio di numerazione: addio versione 10.x, benvenuta 11. Staremo a vedere se ciò significherà un aumento di numero ogni anno (e dunque macOS 12 nel 2021), seguendo la scia degli altri sistemi Apple, oppure aprirà semplicemente un nuovo ciclo di sotto-versioni (ovvero macOS 11.1 nel 2021). Speriamo inoltre che alla ristrutturazione stilistica ne corrisponda una dietro le quinte, per sistemare quelle zoppie manifestatesi nelle ultime versioni, con bug più o meno fastidiosi sfuggiti al controllo. Big Sur non mancherà di attrarre estimatori e detrattori, vista la naturale resistenza umana al cambiamento, tuttavia non si può non dire che siamo davanti a qualcosa di radicale, destinata ad impostare la strada che intraprenderanno i Mac nei prossimi anni.

Però macOS 11 non è tutta la rivoluzione in arrivo per i Mac. Solo una metà, perché l’altra è costituita da Apple Silicon, il termine con cui in quel di Cupertino stanno per ora nascondendo i nomi dei primi SoC ARM specifici per l’uso nei Mac. Avranno delle differenze rispetto a quelli degli iDevice, facendo fronte a categorie di prodotti ed utenti dai requisiti molto più esigenti, ma già ora le demo viste durante l’evento sul Developer Transition Kit basato su A12Z Bionic danno l’impressione di un futuro molto promettente. In larga parte, almeno sulla carta, le mie preoccupazioni riguardo la transizione espresse qualche settimana fa sembrano essersi già sciolte come neve al sole. Abbiamo i nuovi formati Universal 2, che permettono in poco tempo e con pochi sforzi di ottenere app eseguibili su Intel e ARM, Rosetta 2 che ha mostrato impressionanti capacità di emulazione, il supporto nativo da parte dei colossi come Adobe e Microsoft che dà un’enorme spinta al progetto, la possibilità di utilizzare direttamente le app iOS sui Mac Silicon senza modifiche e le tecnologie di virtualizzazione per eseguire altri sistemi operativi. Preparativi che sono stati certamente fatti nel corso di svariati anni, che tuttora continuano, visto che mancano ancora diversi mesi all’arrivo dei primi Mac commerciali coi SoC di casa e la transizione viene stimata nell’arco di due anni.

Certo, finché non potremo metterci mano non sapremo quanto effettivamente saranno potenti questi nuovi Mac e al momento dobbiamo affidarci a quanto mostrato da Apple, suscitando qualche comprensibile dubbio. Tuttavia, in base a quanto visto, sono fiducioso che quanto visto potrà in larga parte confermarsi anche sul campo. Apple ha ripreso il controllo della narrativa sui Mac in maniera ancor più radicale di quando utilizzava i processori 68k e i PowerPC, dato che stavolta è tutto progettato in casa. Se ciò si dimostrerà sul campo e se vedremo oltre a benefici tecnici pure quelli economici (concedetemi qui lo scetticismo), solo il tempo saprà dircelo. Abbiamo in serbo un approfondimento molto più corposo sulla questione Apple Silicon, perciò restate sintonizzati.

Guardiamo ora ad iOS e iPadOS 14, insieme visto che le novità esclusive del secondo non sono così tante (ci tornerò dopo). Non siamo davanti ad un rilascio pieno zeppo di novità, ma quelle che presenti sono indubbiamente tutte ben accette e vanno a migliorare l’esperienza d’uso del sistema operativo. A tal proposito invito alla visione del video soprastante realizzato da Maurizio. I widget, l’app di traduzione, le nuove funzionalità di Messaggi… Anche e soprattutto finalmente la chiamata in arrivo che non occupa più l’intero schermo! Tanti tocchi, piccoli e grandi qua e là, con l’intenzione di espandere quanto fatto in iOS 13, il che fa ben presagire pure per una bella ripulita dietro le quinte al fine di far sparire quei bug che hanno messo la versione uscente in difficoltà agli occhi di vari utenti.

Se suona di qualcosa già avvenuto, lo è: di fatto saremmo davanti ad una ripetizione di quanto avvenuto tra iOS 11 e 12, con la prima release meno fortunata e la seconda che rimedia consolidando efficacemente. A testimonianza di ciò, c’è anche la lista dei dispositivi supportati che non cambia, assicurando un altro anno di vita utile (in termini di aggiornamenti) agli iPad mini 4 e Air 2 che coi loro A8 e A8X non sono più certamente l’ultimo grido. Un sospiro di sollievo l’hanno tirato pure gli utenti di iPhone 6s e SE di prima generazione, che temevano di essere lasciati indietro. Tempo prezioso in più per effettuare l’upgrade verso i modelli più nuovi, che consiglierei di sfruttare dato che le probabilità di vederli ancora supportati in iOS 15 sono decisamente inferiori. Già che mi sono un po’ spinto nel futuro, spero pure che riescano a sfatare questa sorta di maledizione dei rilasci dispari sviluppatasi, garantendo un flusso costante di versioni stabili.

Non ricorderemo watchOS 7 come l’aggiornamento più zeppo di novità per Apple Watch, ma una merita senz’altro l’attenzione. Finalmente è arrivato il monitoraggio del sonno, che mette non solo alla prova i numerosi sensori dell’orologio cupertiniano ma mostra i frutti dell’acquisizione della start-up specializzata Beddit risalente a più di tre anni fa. In generale, watchOS 7 continua a prestare molta attenzione alla salute, con accorgimenti come il controllo del lavaggio delle mani e le nuove funzionalità per il fitness, tutto in attesa di vedere se la prossima generazione di Apple Watch andrà ad aggiungere anche l’ossigenazione del sangue alle sue capacità di rilevamento. Per una caratteristica che va, però, un’altra potrebbe lasciarci: il Force Touch non è supportato da watchOS 7, avviando una dismissione molto simile a quella vista per il 3D Touch su iOS. Resisterà solo sui Mac a questo punto, almeno fino a quando pure lì Apple stabilirà che non ne varrà più la pena.

Il brutto

Col passaggio ad Intel, i Mac non solo avevano ricevuto un trapianto di cuore, ma anche guadagnato una caratteristica non indifferente: la capacità di eseguire Windows in dual boot con macOS, attraverso Boot Camp (volendo, per chi proprio lo desiderasse, ci sono pure i modi per tenere solo Windows, anche se a quel punto è lecito chiedersi se l’investimento su un Mac sia stato valido). In qualsiasi momento, senza dover ricorrere a lente emulazioni come sui PowerPC, si poteva avere tutta la compatibilità in termini di periferiche ed applicazioni offerta dai PC non Apple, un salvagente soprattutto per il binomio privato/lavoro dove nel secondo possono esserci cose funzionanti solo sul sistema Microsoft.

L’arrivo dei Mac basati sui SoC proprietari rimette tutto in discussione. Di Boot Camp non se n’è parlato e le uniche menzioni nella virtualizzazione sono state tutte dedicate a Linux. Un cattivo segnale? Forse sì, forse no. Le chance di perdere una delle peculiarità degli ultimi 15 anni di Mac sono però piuttosto elevate, a meno che Apple e Microsoft non si vengano incontro, visto che pure in quel di Redmond stanno puntando verso ARM con Windows. Ne riparleremo meglio nel già citato approfondimento.

Ne ho parlato più sopra quando ho citato tra gli aspetti buoni i Mac con ARM: essi saranno in grado di eseguire le app iOS e iPadOS in modo nativo, senza alcun intervento da parte dello sviluppatore. Se fossi uno di loro, tuttavia, mi porrei a questo punto una domanda. Perché impegnarmi a sfruttare Project Catalyst, spendendo tempo e soldi per rendere la mia app iOS più a casa su Mac, quando fra pochi mesi non dovrò fare nulla e anzi sarò pure libero dal fardello di supportare due architetture di CPU, come invece sarei costretto a fare con Catalyst? Pur comprendendo la scelta di Apple, che aumenterà in modo rapido ed esponenziale sia il bacino d’utenza delle app iOS/iPadOS sia il parco software per macOS, se fosse dipeso da me avrei evitato. Il rischio è d’impigrire appunto parecchi sviluppatori, che a ragione non sentiranno più la necessità di fare molti sforzi per il Mac lasciando ogni onere alla mela.

Qui si apre poi un’altra domanda: quanto c’è stato di vero in questi anni, mentre ripetevano a più riprese che non avevano alcuna intenzione di unificare iOS e macOS? Con Big Sur e i Mac Silicon si vedono invece decisi segnali in tal senso, sul piano tecnico, su quello estetico (le dimensioni degli elementi grafici sono aumentate, se non sono touch-friendly poco ci manca) e su quello funzionale. Aumentano così sempre più i rischi di uno scontro fratricida, tra MacBook e iPad Pro, che abbiamo già paventato in altre occasioni su queste pagine, col rischio di vedere penalizzato il “computer non computer”. A meno che non si cerchi un’esperienza totalmente touch (magari con Apple Pencil) e/o la connettività cellulare, solo i futuri prezzi potrebbero fermare gli utenti dal considerare un MacBook ARM rispetto ad un iPad Pro, col primo che sarà in grado di offrire tutte le capacità del secondo e pure molto di più.

Il fatto che iPadOS 14 abbia ricevuto modesti miglioramenti esclusivi, al netto di quelli comuni con iOS 14, non aiuta. I widget, che avrebbero beneficiato del largo schermo degli iPad, non possono essere posizionati in qualsiasi punto delle schermate home; non c’è qui alcuna App Library a gestire le applicazioni installate in modo efficace lasciando solo quelle essenziali nella home e nel Dock. Di fatto gli interventi specifici per i tablet si limitano alle (ottime) funzionalità Scribble che converte la scrittura a mano in testi e disegni, al rinnovato Spotlight simile a macOS e alle barre laterali, anch’esse Mac-like, introdotte in molte applicazioni. Non chiedevo certo di vedere realizzata a piene mani la sorta di wishlist che pubblicai ad inizio aprile, però qualcosina in più si poteva senz’altro fare. Dubito che Apple voglia tenere iPadOS col freno tirato, e spero appunto non sia così, dato che sconfesserebbe proprio le intenzioni iniziali dimostrate separandolo da iOS. In tal caso, aumenterebbero i miei interrogativi sul crescente avvicinamento di macOS ai paradigmi del mondo mobile.

Il prossimo punto non è tanto un “brutto” soggettivo per me, quanto per altri che potrebbero ritenerlo tale. In effetti, se devo essere sincero, anch’io ho avuto l’impressione che iOS 14 abbia fatto un po’ di recuperi da Android, con l’obiettivo di pareggiare molti conti. I widget nella schermata home, l’App Library che si avvicina al concetto del drawer nel robottino verde e la possibilità d’impostare browser e client di posta elettronica predefiniti sono i principali indiziati; l’elenco di AndroidPolice è ancora più lungo, lascio ad ognuno il sentirsi più o meno d’accordo. Tuttavia, ed è un concetto espresso pure da Maurizio nel suo video, forse nella forma scelta da iOS 14 ci sono più omaggi al defunto Windows Phone/Mobile, che con le sue tile alternava icone, cartelle e widget di diverse dimensioni nella sua schermata home (singola, a scorrimento).

Voglio essere chiaro: per me che un sistema operativo prenda spunto dall’altro non è affatto un problema. Lo fece il Lisa con lo Xerox, lo ha fatto a più riprese Windows con Mac OS ed è successo pure varie volte tra iOS e Android. Prendere le migliori caratteristiche di uno e portarle sull’altro ne aumenta solo il potenziale bacino d’utenza. Tuttavia, questo può anche essere percepito da taluni come una mancanza d’innovazione, motivo per cui l’ho inserito qui come un “brutto” tecnico, dando voce a più punti di vista.

Il cattivo

La sezione dedicata ai punti “cattivi” fortunatamente non è molto lunga, anzi. Si tratta di due soli punti. Il primo è relativo alla cura delle app: se una larga parte è stata effettivamente coinvolta negli aggiornamenti presentati lunedì, qualcuna è rimasta pressoché inalterata. Guardando all’elenco di novità di iOS 14, si può notare come le menzioni per Calendario e Mail siano sparse qua e là, all’interno di altri discorsi. Specialmente per Mail, dopo diversi anni di trascuratezza e una prima ventata di novità con iOS 13 che ha però pure portato non pochi bug, ci si aspettava di vedere cure più costanti mantenendola più alla pari coi client terzi. Un’occasione persa, anche se possono sempre rimediare già nelle prossime Beta o in un aggiornamento intermedio, senza aspettare iOS 15.

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Il secondo punto è invece uno di quelli inevitabili e dolorosi ogni anno. Se iOS e iPadOS 14 non hanno effettuato tagli alla lista dei dispositivi supportati, lo stesso non si può dire di watchOS 7, che darà il benservito agli Apple Watch Series 1 e 2. Considerato che non ha portato funzionalità così stravolgenti, forse avrebbe potuto pure starci un altro anno di aggiornamenti, ma evidentemente Apple ritiene 4 anni sufficienti (se non altro, uno in più rispetto al primissimo Watch, che si fermò a poco più di tre venendo tagliato nel 2018 da watchOS 5). Vedremo se il Series 3 l’anno prossimo otterrà un’estensione o si fermerà anch’esso alla soglia dei 4 anni. Abbandoni non mancano nemmeno lato Mac, con Big Sur che saluterà la classe 2012 e pure alcuni 2013. Se però i cicli Sierra-High Sierra e Mojave-Catalina sono buoni indicatori, ci sono speranze affinché il prossimo anno non veda depennamenti dalla lista.

Giovanni "il Razziatore"

Deputy - Ho a che fare con i computer da quando avevo 7 anni. Uso quotidianamente OS X dal 2011, ma non ho abbandonato Windows. Su mobile Android come principale e iOS su iPad. Scrivo su quasi tutto ciò che riguarda la tecnologia.

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